Riassumendo, in Italia non esistono i razzisti. Ed, evidentemente, non esiste neanche il razzismo: perché quello che si palesa negli stadi, a bordo campo, e financo durante le interviste televisive, è qualcos'altro. Qualcuno la chiama 'goliardia', alla stregua di quanto accaduto con i manichini impiccati dai tifosi laziali. Qualcun altro ci ride su, ci gioca, ci sdrammatizza: e probabilmente fa anche bene. Il problema è che tutto ciò che fa da esempio, in un'arena in cui ci sono decine di migliaia di persone, o peggio ancora dinanzi alle telecamere che trasmettono per milioni di spettatori, la goliardata diventa messaggio. Ed il messaggio, per i protagonisti - o le vittime - e la sua natura, diventa virale. E si diffonde, sino a generare emuli e trasporre il verbo, per quanto sbagliato. D'altra parte la giustizia fa fatica a colpevolizzare ed a penalizzare, soprattutto se gli artefici sono difesi dalla coperta di Linus dell'anonimato e del qualunquismo. Prendiamo coloro - centinaia o decine, a seconda dei punti di vista e d'ascolto - che la scorsa settimana urlavano contro Muntari. Il ghanese, reo peraltro di aver lasciato il campo, in disaccordo con l'arbitro che non ha sospeso la gara, è stato squalificato (e poi riammesso) e da più parti anche attaccato. Il problema è che, soprattutto in una gara che per la tua squadra non vale nulla a livello di classifica, la reazione è più che giustificata. L'arbitro, nella fattispecie, non ha ritenuto opportuno far nulla, e come a fine gara ha spiegato il ghanese quegli stessi pseudo-tifosi tra una settimana, un mese o un anno saranno legittimati nuovamente a ripetersi. Perché i colpevoli non esistono. Così come non esiste il becero comunicatore misterioso che in cuffia, a Mehdi Benatia, ha dato del 'marocchino di m...'. E' un caso vero, quello che da ieri sera produce delicate investigazioni da parte della TV di stato, alla caccia smodata di colui che la stessa emittente ha definito un "non dipendente Rai" però ancora non individuato. Un razzista che vive ancora nell'ombra, che non è un dipendente - lo ha ribadito anche Mazzocchi - e neanche uno di coloro in studio. Un fantasma, insomma, che non accenna a palesarsi, in quanto ipocrita e vigliacco. E se anche lo facesse, cosa cambierebbe? Poco o nulla, ovviamente. Così come nulla cambierà, e nulla si farà nei confronti di quei tifosi juventini che, a loro volta, hanno dato dello 'zingaro di m...' a Mihajlovic, furioso a fine derby. Un po' come fece Vieira, anni fa, in campo, nei confronti dello stesso Sinisa, che ci tenne a ribadire, pochi mesi fa, di avergli ribattuto non con un 'negro di m...', ma semplicemente con un 'nero di m...'. 

Tanto cosa vuoi che sia? Siamo il Paese dell'integrazione necessaria ma non funzionale. Della solidarietà parlata, del rispetto sulla carta. Un Paese in cui, è vero, arriva chiunque, senza regole, e non c'è rispetto per nessuno. Come se le due cose debbano per forza essere collegate. E se di rispetto non ce n'è per chi viene legittimamente idolatrato negli stadi, guadagna milioni di euro all'anno, e rappresenta città e Nazioni intere, come pretendiamo che ce ne sia o ce ne possa essere per chi fa l'ambulante in strada? Quanto è assurdo pensare che la stessa parola con la quale descriviamo episodi di questa natura, che dominano talk-show, partite di calcio ed eventi internazionali in genere, scompaia dalla nostra quotidianità? Parecchio, purtroppo. E allora teniamoci questo tenore sociale, queste ripercussioni, queste paure. Questa colpevole ansia di danneggiare chi vive la sua repulsione per il prossimo - zingaro, nero o marocchino che sia - come un elemento di routine. Fin quando non inizieremo ad accorgercene. O, peggio, ad essere noi stessi, in quanto italiani, dileggiati per la nostra provenienza. Cose che già accadono, d'altra parte, tra meridionali e settentrionali. E tra vicini di regione. E vicini di provincia. E di città. E di casa. Poi sarà il momento in cui ci urleremo contro da soli, davanti allo specchio. Ed in quel momento, per trovare un minimo di conforto e solidarietà, ci guarderemo intorno. E non troveremo nessuno.