307 chilometri separano Taranto e Napoli. Eppure lui, tarantino di nascita, ne ha percorsi molti di più con gli scarpini al piede prima di arrivare all’ombra del Vesuvio: parliamo di Francesco “Ciccio” Montervino, l’ex capitano azzurro che oggi compie 39 anni. E’ a lui che dedichiamo il Memento di oggi, alla sua storia fatta di lacrime e di sudore, di gioie e di lotte in mezzo al campo: un mastino pugliese dal cuor di leone, adottato da una città che non l’ha mai dimenticato. 

La storia che inizia nel gennaio 2003. Dopo 6 anni all’Ancona, Montervino, allora 25enne, lascia la squadra marchigiana per trasferirsi in prestito al Napoli, una squadra completamente diversa da come la conosciamo ora: era l’epoca di Naldi, delle difficoltà societarie, della “sopravvivenza” e della difficoltà in B, con una salvezza raggiunta nonostante il doppio cambio in panchina (Colomba/Scoglio/Colomba). Ma Montervino gioca poco (con Colomba il rapporto non è idilliaco), così preferisce andare in prestito al Catania per mettere minuti nelle gambe.  

Poi arriva il 2004, l’annus horribilis per tutti: falliscono sia il Napoli che l’Ancona e “Ciccio” si ritrova improvvisamente senza squadra, proprietario del suo cartellino. Un produttore cinematografico romano, mai interessatosi prima al calcio, rileva la società campana, sbaragliando la concorrenza di Gaucci. Il 23 agosto 2004: nasce ufficialmente la Napoli Soccer: Aurelio De Laurentiis presidente, Pierpaolo Marino direttore generale, Giampiero Ventura allenatore e solo quattro giocatori in rosa, presenti al raduno nell’Hotel Ariston di Paestum: Stendardo, Montesanto, il Pampa Sosa e ovviamente “Ciccio” Montervino. Non c’era nulla: né un campo d’allenamento, né le divise societarie, ognuno arriva col proprio completino e i propri calzoncini, come quattro ragazzi che si preparano ad un calcetto tra amici. Eppure non sono i soldi a convincerli, ma il progetto ambizioso: riportare il Napoli in Serie A.

Il primo ostacolo si chiama Serie C1, un cammino per Montervino e compagni lungo e pieno d’imprevisti: dall’entusiasmo del 3-3 all’esordio con il Cittadella con 60mila persone al San Paolo (io c’ero, ndr.), alla delusione del playoff perso contro l’Avellino che rimanda la promozione di un anno; dall’arrivo di Edy Reja in panchina alla fascia di capitano guadagnata sul campo, fino a quel 15 aprile 2006 e al 2-0 al Perugia (reti di Calaiò e Capparella) che promuove matematicamente il Napoli in B con 3 giornate di anticipo. Il primo passo è compiuto.

Montervino è sempre più l’anima del gruppo, un leader riconosciuto da tutti. Nella stagione 2006/7 il Napoli si rinforza con giocatori di qualità, ma “Ciccio” è ancora lì, grintoso come sempre, “a recuperar palloni e a lavorare sui polmoni” (Ligabue cit.). Le soddisfazioni sono tante: da quel 8-7 ai calci di rigore contro la Juve in Coppa Italia al primo gol in maglia azzurra realizzato contro il Treviso. Ma la gioia più grande arriva all’ultima di campionato, il 10 giugno, giorno di Genoa-Napoli. Lo 0-0 maturato al fischio finale spedisce entrambe le squadre dritte in Serie A, complice il pareggio della Triestina a Piacenza che evita ad entrambe la bagarre dei playoff. Quel sogno maturato da 4 ragazzi in un hotel di Paestum, senza campo d’allenamento e senza divise, ora è finalmente realtà..

Nella stagione successiva, con l’arrivo di gente come Pazienza, Blasi e Gargano, Montervino deve cedere il posto in campo, ma non certo nel cuore dei tifosi. La stagione è un continuo saliscendi, come le montagne russe al lunapark: dalle vittorie contro Inter (che poi vincerà il campionato) e Juventus, alle batoste contro Cagliari, Palermo e  Catania, per un’annata chiusa al 12°posto. “Ciccio” chiuderà l’esperienza azzurra giocando 544 minuti in stagione, entrando spesso dalla panchina. Ma all’ultima giornata riuscirà anche a segnare il suo primo (e unico) gol in Serie A, contro il Chievo, prima di lasciare definitivamente il golfo di Napoli e trasferirsi una cinquantina di chilometri più a sud, a Salerno, per gli altri 5 anni della sua vita da calciatore.

Di tempo ne è passato, ma l’amore per Napoli non si è esaurito. Ora Francesco è tornato in città come direttore tecnico per l’Afro Napoli United (squadra che milita promozione) e opinionista televisivo. Dopotutto chi lotta con questa maglia non potrà mai essere dimenticato: basta vedere lo striscione con cui la Curva azzurra difese il suo capitano nel giorno dell’esordio in Serie A, il 26 agosto 2007. 

Dopotutto, come diceva Venditi, “Certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano…”