42 gol subiti (13, peraltro, solo nell'ultimo mese) in 33 giornate non sono pochi. Soprattutto se vuoi andare in Europa League. Ed a maggior ragione se, nel giro di pochi mesi, una nuova e ben messa proprietà ha investito circa 180 milioni. Per acquistare, nell'ordine:

- Un eccezionale centrocampista, Gagliardini, per 25 milioni;

- Un ottimo tuttocampista, Joao Mario, per 40;

- Un attaccante mai impiegato in una stagione intera, Gabigol, per 30;

- Un'ottima ala, Candreva, per 22;

- Un discreto terzino, Ansaldi, per 10.5.

Senza contare i riscatti, molti dei quali obbligati e previsti, di Eder (10), Miranda (9), Dodò (8), Brozovic (5) e quello di Jovetic (13.5), che per fortuna rientrerà. Una cifra semplicemente pazzesca, per ristrutturare, dalla cintola in su, una squadra che in realtà ancora oggi in difesa continua a campare dei soli, ultimamente un po' più rari, miracoli di Handanovic, per sopperire alle carenze strutturali di un reparto mal messo ed eterogeneo. In cui D'Ambrosio, uno che per mesi era stato messo in disparte, ricopre un ruolo fondamentale, e Medel e Miranda sono obbligati a fare gli straordinari, pur non essendo dei difensori di livello. Uno dei due, peraltro, lo si è evinto una volta per tutte in occasione del gol in contropiede di Babacar lanciato da Vecino, non lo è neanche di ruolo. A gennaio, quando c'era la possibilità, e forse anche la necessità di colmare il vuoto - solo numerico, in verità - lasciato da Ranocchia, si è andati a giocare con il Jiangsu, per prendere l'innocuo e sconosciuto Sainsbury. Tanto basta, a definire i motivi del recente tracollo dell'Inter di Pioli, terzo allenatore stagionale ad aver inquadrato e raddrizzato solo a corrente alterna una squadra che continua a impazzire appena è sotto pressione, o se dinanzi ha qualcuno di più motivato e armonico. Ed, in questa fase, è occasione tutt'altro che rara. Il tutto, a pochi giorni dall'ennesima dimostrazione di forza a livello continentale della Juventus. Che a differenza dell'Inter non può permettersi neanche un raffreddore, tra i suoi attaccanti, per non restare scoperta, e che continua a dominare anche in Champions per via dello stesso reparto che l'Inter oggi maledice: la difesa, che è riuscita nell'impresa, vera, di non farsi bucare dal Barcellona in oltre 180 minuti.

Forse è da qui che Suning, Ausilio e chi per essi dovrà ripartire. Forse uno sforzo, anche immane, dovrebbe esser fatto per portare a Milano qualcuno in grado di mantenere i medesimi standard offensivi, ma soprattutto andare a dare un senso ad una fase difensiva che, tecnicamente e tatticamente, ha bisogno di ben altro. Non è un caso, allora, se i due nomi che la società agogna con maggior ardore siano quelli di Conte e Simeone: due maestri, in tal senso, capaci di far rendere al massimo i propri reparti arretrati anche con uomini non necessariamente straordinari. Non Spalletti, né Emery, che hanno altre peculiarità: sacrificare piuttosto, seppur a malincuore, anche un Perisic, un Brozovic o un Gabigol, per andare a investire in un ingaggio spropositato per chi vorrà, e saprà, ripartire dalle macerie. Da una fase intera da rigenerare, e dall'ennesima, mancata, partecipazione europea. Anche per questo, da oggi, oltre ad un nuovo percorso tecnico, Manolas non deve esser più un semplice obiettivo, ma una priorità. I Caldara, i Rugani ed i Romagnoli sono sfuggiti perché l'attenzione, nell'ultimo biennio, era stata riposta maldestramente altrove. Ora bisogna cambiar rotta. Sempre che  non si voglia perseguire nella strada che porterebbe all'ennesimo, futile, scudetto d'agosto.