25 giugno 1988, Monaco di Baviera: all'Olympiastadion si gioca la finale degli Europei tedeschi. Ci sono arrivati, non senza affanni, l'Unione Sovietica di Zavarov, Belanov e del portiere Dasaev, e l'Olanda milanista, controparte nazionale del Milan olandese campione d'Italia, guidata come la squadra di Sacchi da Rijkaard, Gullit e van Basten. I sovietici di Lobanovskij vengono dalla semifinale vinta 2-0 contro una delle migliori (e più sfortunate) nazionali italiane della storia: una partita difficile, che li ha messi alla prova più degli altri impegni (qualcuno la ricorda come una delle partite più fisicamente dispendiose della storia). Non più facile il cammino oranje: il ct Michels riesce a vendicare la finale del mondiale 1974, persa dall'Arancia Meccanica di Cruijff, battendo gli stessi rivali, la Germania-ancora-dell'Ovest: gol di Matthaus su rigore ribaltato da Koeman e, a due minuti dalla fine, da van Basten.

Ecco, van Basten: l'uomo del momento, 24 anni ancora da compiere, pronto a cominciare il momento migliore della sua carriera. Veniva da un'annata, la prima in Italia, complicata dalla caviglia che lo costringerà al ritiro, poco più che trentenne, a metà anni novanta: gioca solo 11 partite, segna 3 gol, resta fuori sei mesi. Tanto più che all'inizio Michels gli preferisce Bosman (solo omonimo del giocatore che diede il nome alla legge sui trasferimenti) salvo poi tornare sui suoi passi dopo la prima partita, persa 1-0 – coincidenza del destino – proprio contro l'URSS. Marco ripaga il mister con la tripletta nella partita vinta 3-1 contro l'Inghilterra, quella che gli fa mettere un piede nella fase finale - che mica era come oggi, no: dai due gironi di quattro squadre passavano il turno fuori solo la prima e la seconda, che si affrontavano subito nelle semifinali.

I pronostici finali sono tutti per l'Olanda, soprattutto per la prevedibile stanchezza dei sovietici nonché per l'assenza di Kuznjecov, il forte difensore ammonito in semifinale e squalificato. Il muro regge per una mezz'ora, poi crolla, senza l'uomo migliore fra li arretrati sulle palle alte: sponda di van Basten, colpo di testa preciso e potente di Gullit, 1-0. Ma non bisogna mai pensare che l'URSS lasci l'orgoglio a casa: a inizio secondo tempo regala tre minuti infuocati in cui Michels sembra rivedere gli spettri e gli si fa sotto il timore di perdere un'altra finale: Belanov prima coglie il palo dopo un'azione confusa in area arancione, poi si fa parare un rigore da van Breukelen.

Arriva il 7' del secondo tempo, il 52'. E gli orologi si fermano.

Dalla trequarti Vanenburg allarga verso Mühren, che dalla fascia sinistra fa partire un cross. Sulle prime sembra lungo, troppo lungo. Largo, troppo largo. Nel momento in cui Mühren calcia, van Basten è al limite dell'area: segue con lo sguardo la traiettoria, adatta il passo ai giri del pallone. Dal momento in cui Mühren calcia, van Basten fa uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove, dieci passi: con l'ultimo blocca il piede sinistro sul terreno. Rats, il difensore sovietico, gli ha dato l'ultimo sguardo prima che entrasse in area, poi si è occupato di seguire il pallone: è lungo, è largo, al massimo può crossare, nessuno è così pazzo. Nessuno, forse, tranne quel ragazzone di nemmeno 24 anni: piede sinistro a terra, il corpo si torce, le braccia si allargano, la coordinazione è perfetta, l'impatto è preciso, la traiettoria è giottesca: Dasaev, il portiere più forte del dopo Yashin – Dasaev, la cortina d'acciaio – può solo guardare, ed entrare nella storia come l'uomo che ha subito il gol più bello dei campionati europei, quello di un attaccante straordinario contro l'URSS ad Euro 1988 – quello che regalò all'Olanda il primo successo, quello che regalò a Marco van Basten l'eternità.