Sarà anche brutto da dire, ma lo dicevo in tempi non sospetti che la Spagna sarebbe stata meglio della Croazia.

Perché ci serve una storia da ricordare, una vendetta da compiere, una fame atavica da saziare, per fare quello che sappiamo fare, al meglio. E quello che sappiamo fare, evidentemente, non è solo correre a perdifiato come matti, grondando sudore per il campo. Certo, questo è quello che sappiamo fare meglio, ma, come diceva la poetessa, "oltre le gambe c'è di più". 

Conte, nell'immediato post-partita, ci ha tenuto a specificarlo ai microfoni: "Io insegno a giocare a calcio, non a difendersi". Nessuno lo ha mai messo in dubbio, ma è pur sempre oggettivo constatare come sia la difesa il nostro miglior grimaldello. Nelle 3 partite sinora giocate dalla premiata ditta Buffon-Barzagli-Bonucci-Chiellini non abbiamo subito neanche un gol e sono stati disinnescati, nell'ordine, Hazard, Lukaku, Ibrahimovic e Morata, solo per citare i più altisonanti. Come da punto [7], peraltro, del decalogo post-Irlanda, la conoscenza reciproca tra l'attaccante ed i difensori bianconeri ha fatto pendere la bilancia dalla parte della maggioranza. Perché Morata non è un fenomeno, né per intensità né per valori tecnici, a differenza dei nostri 4, là dietro. Rodati come un motore giunto al 500millesimo chilometro e affiatati come un poker di gemelli siamesi, riescono ad avvinghiarsi - talvolta anche con troppa tenacia - agli intrusi d'area con rara e diligente meticolosità, sino a stringerlo in una morsa letale. Annientante. Annichilente. Sfibrante.

Poi, quando finalmente si inizia anche a giocare bene in contropiede, e a non sbagliare i passaggi orizzontali a centrocampo, le cose vanno bene anche davanti. E questa sì che è una novità. Certo, avessimo dei fenomeni anche in attacco, e se De Gea non avesse vissuto la sua giornata di grazia, probabilmente Italia - Spagna sarebbe finita 5-0, con tanto di sussulto di gloria del buon Gigione Buffon che al 92' si sarebbe preso il godereccio lusso di rivolgersi agli assistenti del riprovevole signor Cakir urlando con espressione superficiale, e tono sommesso, "referee, please, respect for the rival. Respect for Spain!". 

La verità, allora, è davvero che oltre le gambe c'è di più. Che i valori tecnici possono essere azzerati dal furore agonistico, dall'organizzazione di gioco e dallo spirito di gruppo. Che la voglia e la tenacia d'un tecnico così preparato, che ha scelto i più brutti, sporchi e cattivi a dispetto dei belli & bravi, possano avere la meglio. 

Certo, con la Germania sarà molto più difficile. Anzitutto perché i tedeschi sono l'unica squadra che ha subito meno gol di noi. In secundis perché, in quanto a rabbia, sincronismi e specificità tattica, sono la squadra che più c'assomiglia, in questo Europeo. Con una differenza sostanziale, però: anche loro, davanti, hanno dei fenomeni. Tutta gente che i nostri, dietro, hanno già affrontato (e fermato) più volte, per carità. Ma la famosa fame, con tanto di caccia della rivalsa, di cui sopra, stavolta sta dalla loro. Sono decenni, ormai, che li buttiamo fuori da ogni manifestazione internazionale, e statistica e cabala, in tal senso, sono scienza: prima o poi dovrà arrivare il nostro momento. Il momento della loro, di vendetta. 

Ovviamente non è detto che questo sia il momento del "prima". Le Nazionali cambiano, e con esse allenatori e giocatori. Il loro, Low, tra una sniffatina allo sbarabaus ed una fragranza ascellare ai suoi ragazzi dovrà dire poco: "Questa volta tocca a noi" (che google mi traduce "Diesmal ist es unsere turn"), o qualcosa del genere. In ogni caso, chiusa da una bella parolaccia made in Germany, per fare colore (e odore, per coerenza). Conte, questa ulteriore iniezione di rabbia, ai suoi non potrà regalarla. Dovrà tenerli però in costante tensione, alzare ulteriormente l'asticella dell'attenzione e ricordare che così come non eravamo fenomeni dopo il Belgio, e brocchi dopo l'Irlanda, non siamo nuovamente fenomeni adesso. E, magari, anche a rischio di richiamare alla mente la scarsa, virile mascolinità dell'inarrivabile Kevin Kline di 'In & out', mettere a palla negli spogliatoi "Siamo donne" di Jo Squillo e Sabrina Salerno. Non per il ritmo, né per le tonalità pop. Ma solo per ricordare ai ragazzi due passaggi fondamentali che, decontestualizzati, possono fare benissimo il loro dovere. Uno, lo dicevo prima, è riferito al fatto che questa squadra, evidentemente, oltre ai bicipiti, ha molto altro, all'altezza del cuore e della testa. La seconda, invece, è riferita ai pochi che dovessero essersi fatti prendere dai facili entusiasmi. Sarà lì che il mister dovrà prendere il "pivello" per il bavero, fulminarlo con gli occhi della tigre, e gelarlo con tre, semplici, parole: "Attento, che cadi".