Milano vicino all'Europa

Milano a portata di mano

ti fa una domanda in tedesco

e ti risponde in siciliano

poi Milan e Benfica

Milano che fatica

Milano sguardo maligno di Dio

zucchero e catrame

Milano ogni volta

che mi tocca di venire

mi prendi allo stomaco

mi fai morire

Milano senza fortuna

mi porti con te

sotto terra o sulla luna

Milano lontana dal cielo

tra la vita e la morte

continua il tuo mistero

Frammenti estratti dal testo di Milano, di Lucio Dalla

Una volta, due, tre. Se la faccenda si ripete, allora meglio almeno concederle la benedizione, o meglio, la maledizione. Il caso non vuole prove, impone la sua volontà, suona il suo violino e, talvolta, anche senza richiesta, concede il bis, in certi casi pure il tris. Lo ha fatto Milano, in un remake da psicodramma. Le dannate sono tre, ancora oggi compenetrate in una disperazione silenziosa che vuole Benfica, Valencia e Atletico Madrid accomunate dallo stesso destino. Attenzione, c’è il diavolo di mezzo. Una trama lunga più di mezzo secolo. Ci sono dentro sogni e fatiche di oltre sessant’anni di calcio, quello che quasi sempre pretende ossequio al suo gota e molte resistenze oppone a chi vuole farvi ingresso. La Milano che tra Inter e Milan di Coppe dei Campioni ne ha viste conquistare ben dieci, ne ha vietate tre, in tre finali disputate a San Siro (sulle 4 del computo totale), a tre squadre diverse, e, per ostinata sponda del demonio, tutte alla ricerca di una rivincita.

È la sera del 24 maggio 2014, quando al minuto 93 l’Atletico Madrid accarezza già la "Coppa dalle grandi orecchie". Mancano pochi secondi alla fine della partita che l’altra faccia di Madrid sta aspettando dal 17 maggio del 1974, quando l’Atletico perde la sua prima finale di Coppa dei Campioni contro il Bayern Monaco. Eppure, nonostante la sconfitta, l’Atletico avrà accesso alla finale di Intercontinentale, a causa della rinuncia dei tedeschi.

24 maggio 2014, quarant’anni dopo. La Madrid che sembra essersi messa alle spalle il franchismo (l’Atletico viene fondato da un gruppo di studenti baschi, ma, dopo la guerra civile spagnola, il club decide fondersi con una rappresentativa dell’aviazione riscuotendo simpatie dal Caudillo), sta per coronare il sogno massimo di ogni tifoseria del calcio europeo. È a quel punto che Sergio Ramos stacca di testa e pareggia il goal di Godin. L'Estadio da Luz, Lisbona, lo stadio dove gioca il Benfica, registra il silenzio dei tifosi dell’Atletico e l’esplosione di gioia dei blancos per una finale che sembrava perduta. Ai supplementari si assiste al tracollo fisico e mentale degli uomini del “Cholo” Simeone. Il Real dilaga e si aggiudica la sua decima coppa con un 4-1 che ha dell’incredibile. (Video)

Passano due anni e la Champions edizione 2015\2016 affida il suo verdetto alla stessa finale di due anni prima. Un altro derby di Madrid. Il Real di Cristiano Ronaldo e l’Atletico di Simeone, ormai considerato profeta del “cholismo”, la dottrina di nuova generazione che ha rielaborato il più speculare ed essenziale dei sistemi di gioco. La partita si gioca a Milano. La storia serve ai “colchoneros” (così chiamati per le loro divise originariamente ricavate dai tessuti dei materassi) l’occasione per una rivincita. Il goal in extremis di Ramos a Lisbona è una ferita ancora aperta.

I primi minuti sono di marca bianca. L’Atletico sembra stordito dall’avvio indomito delle merengues che, dopo pochi minuti, trovano il goal del vantaggio. Sergio Ramos, ancora lui, il giustiziere di Lisbona. L’Atletico non si perde d’animo e, poco a poco, riesce a guadagnare campo. A un quarto d’ora dal termine, dopo un errore dal dischetto di Griezman, quando il Real sembra poter condurre fino alla fine il vantaggio, Carrasco segna il goal del pareggio. Stavolta la rimonta ha invertito il suo verso.

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L’Atletico pare aver iniziato a gustare la sua vendetta. Si deve nuovamente ricorrere ai tempi supplementari. Gli extra time si trascinano tra interruzioni, crampi e frequenti richieste di soccorso alle panchine. Una finale stanca, affaticata tra pensieri muscolari e nervi a pezzi. I calciatori sono stremati. Si va ai rigori. Dieci tiri dal dischetto. Nove vengono realizzati con grande freddezza. Uno finisce sul palo. Juanfran è l’unico calciatore che non è riuscito a segnare dagli undici metri. Juanfran gioca nell’Atletico. Il suo palo assegna la coppa al Real. Adesso qualcosa di velenoso accarezza la ferita apertasi il 24 maggio 2014 a Lisbona  

Una quindicina di anni indietro e la storia si ripete. Pardon, aveva anticipato il "dramma" Atletico. Stesso luogo, stessa situazione. Stavolta, però, a farne le spese è il ValenciaGli uomini allenati da Hector Cuper sono reduci da una bruciante sconfitta nella finale di Champions edizione 1999\2000. Il Real Madrid di Vicente del Bosque conquista il suo ennesimo trofeo continentale con un secco 3-0 (video) ai danni di un Valencia che nell’annata successiva riesce nuovamente ad approdare alla finale. Edizione 2000\2001, l’ultimo atto prevede la sfida tra gli spagnoli e il Bayern Monaco, che nel 1974 aveva battuto l’Atletico nella sua prima finale. Il Valencia ha subito l’opportunità di una rivincita. Sede della finale, Milano.

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Dopo tre minuti il Valencia passa in vantaggio. Mendieta trasforma un calcio di rigore e la partita sembra mettersi sul binario migliore per gli spagnoli. Il Bayern, però, grazie un penalty realizzato da Effenberg, a inizio ripresa fa 1-1. La gara è equilibrata. Si arriva ai calci di rigore. La prima serie non basta. Parità anche in quella. Si procede a oltranza. Decisivo è l’errore di Pellegrino, dopo il quarto rigore "supplementare". Pellegrino gioca nel Valencia. La coppa è del Bayern Monaco. Sotto il cielo di Milano un’altra rivincita mancata nella finale di Champions League. Quel Valencia sarà comunque capace, negli anni successivi, di conquistare, sotto la guida di Rafa Benitez, grandi successi nazionali e internazionali, ma mai la Champions. L’amarezza dei suoi tifosi è rimasta inchiodata alla rivincita sfumata per un errore dal dischetto, a Milano. 

Il salto all’indietro stavolta è un po’ più lungo. Quarant’anni e il calcio ha il simbolo di quella grande squadra che Bela Guttmann, una delle leggende assolute della storia del calcio, forgia in un collettivo considerato tra le più grandi squadre di tutti i tempi. Il Benfica di quel Portogallo ancora in mano a un regime (consolidatosi nell’era Salazar) che terminerà con la "Rivoluzione dei Garofani". Le aquile portoghesi, sotto la guida tecnica di Guttmann, conquistano due Coppe dei Campioni consecutive, nel 1961 e nel 1962, battendo il Barcellona prima e il Real Madrid di Puskas e Di Stefano poi. Nella finale del 1962, ad Amsterdam, Eusebio e compagni battono il Real più grande di sempre con 5 goal. Se l'Angola è la media tragica tra il Brasile e il Portogallo, se ancora oggi resta uno dei luoghi più significativi della storia delle colonizzazioni, Eusebio, che in sé ha sintetizzato la trinità euro-afro-sudamericana del futbol, è la gioia cinica di una squadra-nazione. Con lui, prima di lui, la perizia tattica e strategica di un maestro del pallone. Bela Guttmann, stregone spietato pure con la sua creatura più riuscita. Una volta l'allenatore ungherese ha definito quella che è passata alla storia come la Mistica benfiquista: "Piove? Fa freddo? Fa caldo? Che importa? Anche se la partita fosse durante la fine del Mondo, tra le nevi del monte o in mezzo alle fiamme dell'inferno, per terra, per mare o per aria, loro, i tifosi del Benfica, vanno lì, appresso alla loro squadra. Grande, incomparabile, straordinaria massa associativa!"

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Il Benfica, anche senza il suo allenatore che nel frattempo, a causa di divergenze con i dirigenti, ha lasciato il Portogallo maledicendo il Benfica ("Il Benfica senza di me non vincerà mai una Coppa dei Campioni" ) - una maledizione che ancora dura, perché da allora i portoghesi hanno perso ogni finale europea disputata (in Champions 5 sconfitte in altrettante finali) - si qualifica per la terza finale di Coppa dei Campioni consecutiva. A Londra, però, il grande Benfica, nonostante il vantaggio iniziale di Eusebio, deve inchinarsi al Milan di Nereo Rocco. Una doppietta di Altafini ribalta il risultato regalando il prestigioso trofeo ai rossoneri.

I portoghesi, però, due anni dopo tornano in finale. La quarta nelle ultime cinque edizioni. Il 27 maggio del 1965 il Benfica, allenato da Elek Schwartz, affronta l’Inter campione d’Europa in carica. Le aquile più celebri del continente possono rifarsi della sconfitta di due anni prima, rimediata dall’altra milanese. Una nuova finale per la rivincita. Sede dell’incontro, Milano. Al 42’ del primo tempo Jair segna il goal partita. Complice una papera del portiere avversario, beffato pure da un terreno di gioco in condizioni precarie. Jair gioca nell’Inter. La gara termina col punteggio di 1-0 per i nerazzurri, capaci di bissare il successo ottenuto nell’annata precedente con il Real Madrid. Per il Benfica, invece, un altro dispiacere, il primo di una lunga serie. A Milano, di fatto, la maledizione di Guttmann segna il lungo calvario dei lusitani. 

Il 6 maggio del 1970, all'indomani del mondiale messicano che vedrà il trionfo del Brasile di Pelè, la finale di Coppa dei Campioni si gioca a Milano. Si affrontano Feyenoord e Celtic Glasgow. Finale inedita, che vedrà il trionfo degli olandesi grazie a un goal di Kindvall ai tempi supplementari. Quasi sempre, in Champions League, l'ultimo palcoscenico viene riservato a squadre di primissimo rango. Storicamente una competizione in cui l'élite del soccer fa da padrona. Una delle eccezioni è stata registrata proprio a San Siro, nella finale del 1970. Ma la città meneghina sembra sia più disposta a mettere il dito nella piaga, piuttosto che concedere sollievo a chi tenta di rifarsi. Se si cercano rivincite in una finale di Champions, meglio stare alla larga da Milano. In fondo, qualcosa sta scritto pure in questa canzone.