Manca ancora la finale di Champions League della prossima settimana, ma di fatto, almeno per quanto ci riguarda e per quanto risulta necessario per fare un resoconto della stagione, non serve più nulla per guardare in faccia la realtà delle cose presentata ancora una volta dall'unico tribunale inappellabile: il campo da gioco.

Campo da gioco che, allargando un attimo lo sguardo a tutta l'Europa, ci sta dicendo che esiste attualmente una regina incontrastata in tutto lo scenario pallonaro: la Spagna, realtà che per gli Europei si può permettere di lasciare fuori dalle convocazioni gente come Torres, Diego Costa, Mata, Borja Valero, e che domina incontrastata nelle coppe per club del Vecchio Continente. Il Siviglia continua a scrivere la storia dell'Europa League guidata da mister Emery e dalla mente di tutta questa meraviglia, mente che risponde al nome di Ramon Rodriguez Verdejo, o più semplicemente Monchi, d.s. dominatore assoluto in termini di calciomercato; il Barcellona è il Barcellona e gli si può perdonare un passaggio a vuoto (ha comunque vinto la Liga), tanto nel frattempo la finale di Champions se la giocheranno le due di Madrid, Atletico e Real. In generale, il dominio iberico negli ultimi dieci anni è clamoroso: più della metà dei trofei per club vinti (13 su 22), una spagnola non perde in finale contro una qualunque altra compagine dal 2007, nazionale capace di vincere due Europei (2008 e 2012) ed un Mondiale (2010). Superiorità imbarazzante.

Una superiorità, fatte le dovute proporzioni, che assomiglia a quella della Juventus dalle nostre parti: cannibale tricolore, ed anche in Coppa Italia da quand'è arrivato Allegri sulla panchina bianconera, il doppio double consecutivo non era mai riuscito a nessuno, giusto per rendere l'idea di quello che stanno facendo in questi anni Buffon e compagni al di là del pokerissimo in campionato. Vecchia Signora ora chiamata al definitivo salto di qualità in Europa, impresa proibitiva, ma, dopo la finale di Berlino la scorsa stagione ed aver terrorizzato il Bayern quest'anno, da tentare prossimamente: si capirà molto di quali saranno le gobbe intenzioni in base ai movimenti di mercato delle prossime settimane. Restiamo sintonizzati.

Per quanto riguarda il Milan, pochi dubbi: nonostante l'ottima prova del'Olimpico, non si scopre di certo stasera la confusione che regna in casa rossonera. Vedere uno dei fiori all'occhiello del calcio italiano in queste condizioni fa piangere il cuore, serve una sterzata immediata prima che sia troppo tardi: Berlusconi lo sa, forse non vuole convincersene, ma continuare in questo modo non gli fa onore, e soprattutto riempie di lacrime gli occhi di quei tifosi che per anni hanno fatto il bello ed il cattivo tempo in giro per il mondo.

Le speranze da alimentare, invece, sono quelle di Napoli e Roma: le due squadre più vicine alla Juve negli ultimi anni, ma mai veramente capaci di impensierire il monopolio bianconero, adesso dovranno obbligatoriamente pensare di fare il passo decisivo per crescere sia fra le mura amiche che in Europa. Da Sarri ad Higuain, da Spalletti a Totti (!), il materiale per proseguire il cammino intrapreso c'è, però in entrambi i contesti va trovato il modo di azzerare le influenze esterne delle piazze: il calore dei tifosi è spesso e volentieri un'arma in più, ma gli eccessi evidentemente rischiano di condizionare anche il rendimento della squadra non sempre in maniera positiva al 101%. Superata tale prova di maturità, ne potremo vedere delle belle. Discorsi analoghi si possono fare anche relativamente ad Inter, Fiorentina e Lazio, senza dimenticarsi del miracolo Sassuolo, ma ci sarà modo e tempo per parlarne.

Una considerazione dovuta è, invece, da fare sulle tre retrocesse in B di quest'anno; al di là delle visioni romantiche che inevitabilmente finiscono per investire le menti di tutti gli appassionati di calcio, forse per un senso di romanticismo nostalgico che trova sempre più spazio fra i tifosi soprattutto di una certa età, era quasi scontato che finisse com'è finita: al di là della gestione isterica del Palermo durante tutto l'arco di questa stagione, non era difficile pronosticare che Carpi e Frosinone finissero la stagione come l'hanno finita; tanto orgoglio, ma nel calcio spesso e volentieri non basta solamente questo fattore per raggiungere gli obiettivi sperati. Piccola sorpresa (ma neanche tanto considerando che l'Hellas non si è mai staccata dalle zone sabbiose della classifica) il Verona, ma quando un giocattolo si rompe e non si fa nulla per aggiustarlo subito, poi le conseguenze sono inevitabilmente già marchiate a fuoco. Qual è la soluzione per rendere meno scontati e più interessanti i finali di stagione? Risposta abbastanza scontata: abbassare il numero delle squadre nel massimo campionato non sarebbe la panacea per tutti i mali, ma di certo alzerebbe la competitività del campionato, e probabilmente lo renderebbe anche più incerto rispetto alle ultime dodici edizioni: da quando in Serie A si gioca in venti, eccezion fatta per il primo anno (2004/2005), c'è quasi sempre stata una squadra tagliata fuori dal discorso salvezza dall'inizio (Treviso, Ascoli, Livorno, Bari, Cesena, Pescara, Parma hanno fatto a gara negli anni per battere record negativi), e praticamente mai è successo che si sia arrivati all'ultima giornata con tutti i verdetti ancora da decidere.

Detto tutto ciò, adesso è tempo di lasciare spazio all'Italia di Conte, un c.t. di cui si conosce già il futuro prossimo (lascerà la Nazionale per accasarsi al Chelsea), ma che rappresenta una delle poche ancore di speranza per l'Europeo francese ormai alle porte: gli Azzurri arrivano alla rassegna continentale come forse mai l'Italia è arrivata ad una qualunque competizione internazionale, e cioè come una squadra di terza o quarta fascia, almeno sulla carta, e con probabilità di successo quotate 100 a 1. La soluzione Lippi-Ventura ha l'apparenza di una disperata voglia di ritorno al passato, o meglio un aggrapparsi all'esperienza dei due per cercare di rivoltare un movimento calcistico che per troppo tempo ha badato più al "tutto e subito" anziché cogliere gli evidenti segnali di disagio già manifestati in tempi non sospetti nel post-Calciopoli. Giusto per fare un esempio - ed uno solo per non dilungarci eccessivamente - di qualcosa che sarebbe servita e che ancora non esiste nel nostro calcio, citiamo le squadre B: oltre all'evidente utilità che queste potrebbero avere soprattutto per i club poi impegnati nelle coppe europee (vedi parametri Uefa sugli under-21 e sui giocatori di proprietà), non c'è dubbio che un qualunque giovane di belle speranze avrebbe più spazio in una seconda squadra comunque di proprietà della società d'appartenenza anziché "elemosinare" qualche minuto di tanto in tanto in prestito per anni ed anni prima a destra e poi a manca sino ad uscire totalmente dai radar dei palcoscenici più blasonati. Non tutte le ciambelle, si sa, riescono col buco, ma proviamo a fare qualche nome di baby-promesse (mai mantenute) che hanno dominato il calcio giovanile fra la fine degli anni '90 e gli anni recenti, e che poi invece hanno passato e/o stanno passando le proprie carriere nei campi di periferia: Chiumiento, Benjamin, Siligato, Gerbo, Dell'Agnello, Piscitella, qualcuno ha idea di che fine abbiano fatto? Nessuno ad oggi è ancora capace di vedere come vanno le cose in eventuali mondi paralleli, ma forse oggi qualcuno fra i prima citati sarebbe potuto essere qualcosa in più di una semplice meteora.

Pensiero finale dedicato ancora all'estero: secondo voi che tipo di campionato si giocherà l'anno prossimo in Premier League? Gli amici inglesi si divertiranno a vedere giocare le squadre dei vari Guardiola, Conte, Klopp, Mourinho, per non dimenticare il campione in carica Ranieri e tutti gli altri, ed ovviamente anche ad ascoltare le loro guerre dialettiche? Noi per non sbagliare un occhio ed un orecchio di tanto in tanto lo sintonizzeremo su quelle frequenze, non vorremmo perderci lo spettacolo.