Tanto ancora in ballo, tantissimo. Troppo per buttare tutto all’aria, con manifestazioni di autolesionismo che non giovano a nessuno. Negli occhi, della tremenda e beffarda notte del San Nicola, ben oltre la tremenda e beffarda notte del San Nicola, ben oltre la triste remuntada con il Novara prima epicamente cucita, e poi strappata come nell’epica tradizione di Penelope, c’è il brutto finale.

Paparesta a “confronto”, diciamo così, con la fetta più calda della Curva Nord biancorossa, che dopo aver rifiutato l’omaggio sotto la curva di Romizi e compagni, si è trattenuta a lungo per un ragionamento, civile ma accesissimo, con il presidente. Che non è parso scendere a compromessi: no, non tutto è da buttare, dell’annata biancorossa. Non tutto da rifare. Le accuse da rispedire al mittente.

“Paparesta non è fortunato con i playoff”, si sente nel frattempo dire sui gradoni, nella parte più quieta (e probabilmente più ragionevole) della Nord. Che, va detto, è quella che non ha smesso di incitare i biancorossi, neanche sullo 0-3. Scelta legittima, diversa da quella, altrettanto legittima perché corroborata dalla civiltà, di fischiare e contestare: lo stesso Camplone lo ha detto, “giusti i fischi, giusta la contestazione”. Già, sarà che non è fortunato a playoff, Paparesta. Gli va dato atto, però di averli giocati due volte in due stagioni e spiccioli da presidente. Dopo aver salvato i biancorossi dalla Serie D. Che, forse, avrebbe facilitato le cose da diversi punti di vista, a cominciare dal suo. Ma avrebbe fatto male al cuore, eccome. Altro che playoff per la A.

Il Bari, questo Bari, poteva e doveva fare qualcosa in più per salire, senza dubbio. Ieri sera, e molto prima di ieri sera. Il Bari, questo Bari, ha probabilmente compiuto uno scempio di mercato a gennaio, dopo una buona estate, suicidandosi sulle laterali di difesa, senza le quali ti è difficile giocare anche se sei Guardiola. Ma, nel momento più caldo, dalla Est è partita la più folle delle accuse: “Paparesta come Matarrese”, cantava uno sparuto gruppo in tribuna, mentre il presidente discuteva con la curva, lì sotto. Nessun commento su quanto sia risibile come considerazione, come trovata, come goliardata, come urlo di frustrazione. Che è quella di tutti. Ma insomma. Insomma.

Non tutto da buttare. Finale brutto, bruttissimo, e non vi è discussione. Ma non tutto da buttare. Non tutto, se è vera quella folle corsa di Puscas, dei suoi compagni, della panchina nessuno escluso, non solo in campo ma sotto la curva, la stessa curva infuriata, che al 3-3 per un momento si è di nuovo unita ai suoi giocatori, perché la pazza gioia era più potente della rabbia. Una corsa e un abbraccio “da ingagnati”, ma nonostante tutto, da cui ripartire. Retorica? Può darsi. Ma anche verità. Ma anche intelligenza.