16 agosto 2008, Pechino: al National Stadium si corre la finale dei 100 metri piani. In pista manca Tyson Gay, clamorosamente eliminato nelle semifinali. C'è però quello che è già l'uomo più veloce del mondo: Usain Bolt. Non ha ancora compiuto 22 anni, il giamaicano, e non ha corso molto sui 100 visto che da sempre si concentra sui 200, eppure ha già dato inizio a una nuova era della velocità, la sua era della velocità: a New York, due mesi e mezzo prima, ha battuto il record che apparteneva al connazionale Asafa Powell: 9.72. Roba che di terrestre ha poco. Roba che però Bolt, a 22 anni non ancora compiuti, può ancora migliorare.

E può migliorarla nonostante sia un ragazzo particolarmente esuberante, e nonostante sia stato messo da giovanissimo di fronte a un divismo che avrebbe messo a rischio la carriera di qualunque adolescente. Da piccolo Bolt, cresciuto a Sherwood Content, una piccola città della campagna giamaicana, giocava a calcio e, soprattutto, a cricket, la sua grande passione. Il mito comincia proprio su un campo da cricket: l'allenatore della squadra della sua scuola lo vede correre, lo immagina su una pista: lui aveva già corso prima, a 12 anni era il più veloce della sua scuola sui 100, e accetta il consiglio di riprovarci. Cominciano gli allenamenti, le prime gare, le prime vittorie: è primo nella gara dei 200 ai campionati delle scuole superiori (sì, in Giamaica prendono lo sport in seria considerazione) nonostante il suo fisico fosse oltre gli standard del velocista: a 15 anni è già alto uno e novantasei, tantissimo, e ha una gamba più corta dell'altra di un centimetro e rotti. Ma Bolt, nonostante tutto, corre più di tutti.

Nel 2003, la prova del nove: i mondiali giovanili, in Canada. Ha 16 anni, vince i 200 in 20.40, il re della distanza Michael Johnson lo incorona e lo avverte: “Allenati con serietà, stai attento alle distrazioni, i prossimi anni saranno i più importanti per te”. Il mondo comincia a parlare di lui: il giorno dopo quella gara, The Indipendent titola: “Il ragazzo chiamato fulmine fa paura”. Simon Turnbull ci vede lungo e scrive: “A meno che non siate aficionados dell'atletica, probabilmente non avete mai sentito parlare di Usain Bolt. Ricordate questo nome. Lo sentirete molto spesso”. Lui si allena, ma non seguendo per filo e per segno i consigli di Johnson: è un grande autore degli scherzi, forse troppo; ama disperatamente i fast food, va avanti ad hamburger e patatine fritte; non si nega mai una notte a ballare, soprattutto dancehall giamaicana. Sono cose che tendenzialmente non vanno mischiate con l'atletica. Come il suo carattere, giocoso eppure arrogante. Ma Bolt, nonostante tutto, corre più di tutti.

Bolt vince i 200m ai Mondiali Giovanili di Atletica (getty)

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Finito il periodo juniores, le università americane gli offrono borse di studio su borse di studio per trasferirsi negli States. Lui, innamorato della sua terra, gentilmente declina e si accasa alla giamaicana University of Technology. Per alcuni anni soffre diversi infortuni, e di fatto torna alle gare vere solo nel 2006, quando riesce a scendere per la prima volta sotto i venti secondi nei 200: al Grand Prix di Losanna ferma il cronometro a 19.88: è terzo dietro Xavier Carter e Tyson Gay. Vuole provare anche a correre i 100, ma il suo allenatore crede sia meglio si concentri sulle medie distanze. Il testa a testa si risolve in una scommessa: batti il record giamaicano sui 200, e io ti faccio correre i 100. Ai campionati nazionali Bolt chiude in 19.75, battendo il 19.86 di Don Quarrie, uno dei suoi idoli: un record che resisteva da 36 anni. Ecco i 100, quindi: li prova a Creta, finisce in 10.03. Insiste, si allena, e duramente, mettendo da parte dancehall e BigMac. Ai mondiali di Osaka del 2007 finisce secondo nei 200, ancora dietro a Gay. Un anno dopo, corre i 100 in 9.76: un miglioramento al limite dell'assurdo, che a qualcuno puzza di doping. È a 0.02 dal record del mondo di Asafa Powell. Lo batte, il 31 maggio 2008, a New York: 9.72. Bolt corre più di tutti.

E corre più di tutti pure a Pechino, al National Stadium, la sera del 16 agosto 2008, finale dei 100 metri delle Olimpiadi cinesi. Corre sessanta metri pazzeschi, passa gli ultimi a battersi il petto e a esultare: 9.69. Per Glen Mills, il suo allenatore, se fosse rimasto concentrato per tutti i 100, avrebbe potuto chiudere in 9.52. Si è scomodata anche l'Università di Oslo: vero quello che dice Mills, in parte: avrebbe chiuso in 9.55. Per quell'esultanza anticipata viene criticato, e non poco: lui si giustifica dicendo che non era preventivato, che stava solo esultando. Bolt era, è, e sarà questo. Un metro e novantasei di velocità e arroganza. Lo era prima del primo oro olimpico, lo è stato a ogni record e a ogni medaglia, lo è quando si paragona a Mohammed Alì, lo sarà dopo l'ultimo passo in pista.