A metà degli anni '90, in Spagna, c'è un giovane imprenditore che scalpita per diventare Presidente del Real Madrid. Si chiama Florentino Perez, è un giovane ingegnere madrileno, fa politica da sempre ed è già consigliere comunale. Presiede la OCP Construcciones SA, che da lì a poco diventerà la fruttuosissima società di ingegneria ACS Actividades de Construcción y Servicios, oggi prima società costruttrice iberica. Il suo pallino, però, è il calcio. Un'ambizione che quasi supera la passione, per le merengues. Il primo tentativo, però, non va. E' il 1994, e nonostante le situazione finanziaria del Real, denunciata violentemente da Florentino, sia assodata, perde le Presidenziali contro Ramón Mendoza, che pochi mesi dopo lascerà l'incaricoper via della crisi economica societaria. Gli succede Lorenzo Sanz, che ristabilisce l'onore, anche e soprattutto sportivo, dei blancos, e riesce a portarsi a casa - grazie all'immenso contributo di Raúl, Mijatovi?, Redondo, Šuker, Seedorf, Roberto Carlos, Morientes, McManaman e Casillas - ben due Champions League. Difficile, se non impossibile, a quel punto, riuscire a strappare all'ex proprietario del Málaga il patronato del club più prestigioso del Paese. Ma la brama e la dimestichezza mediatica di Florentino non hanno confini, e nella tarda primavera del 2000, quando a Madrid si rivota per le elezioni Presidenziali del Real, l'annuncio elettorale è tanto fragoroso quanto funzionale: se verrà eletto, Perez non solo cancellerà i debiti, ma strapperà agli acerrimi rivali del Barcellona Luis Figo, il talento più scintillante della sua generazione. Che è sì un calciatore in grado di far cambiare volto a qualsiasi squadra, ma ha anche quasi 28 anni ed è profondamente entrato nel cuore dei catalani. Mai avrebbe pensato, all'epoca, che un giorno sarebbero stati gli stessi tifosi blaugrana, durante un clàsico, a lanciargli addosso la testa d'un maiale.

Questione di settimane. Poi, a metà luglio, il tradimento si compie. Ai blaugrana vanno i 10 miliardi di pesetas previsti dalla clausola rescissoria più il 16 per cento di tasse, per un totale di circa 140 miliardi di lire. In euro, 62 milioni circa: per il portoghese viene realizzato l'acquisto più costoso della storia del calcio, superato un anno dopo da Zidane, per cui vengono investiti 150 miliardi di lire. Un fiume di denaro, proveniente soprattutto dalla vendita per 470 milioni della Ciudad Deportiva Castillana al Comune di Madrid. E' qui che inizia l'era dei Galacticos: uno alla volta, al Real arrivano Ronaldo e David Beckham, Owen, Samuele e Robinho. L'era dei galattici, in Spagna, però, non produce alcun altro risultato continentale apprezzabile: la realizzazione calcistica del progetto si rivela più simile a quella degli Harlem Globetrotters che ad una vera e propria All-Star Team, e l'epopea Perez naufraga. Fino al febbraio del 2006, quando decide di dimettersi lasciando campo libero a Ramón Calderón. Tornerà in pista solo tre anni dopo, replicando il clamore suscitato in pieno giubileo regalando alle merengues Kakà, per il quale vengono versati 67,2 milioni di euro al Milan: ma questa è un'altra storia.

Estate del 2013. La Juventus, già scudettata, vende per 11 milioni al Milan Matri, e con 9 più bonus strappa alla concorrenza degli stessi rossoneri - che già erano andati vicinissimi all'Apache in almeno altre due occasioni - Carlitos Tevez, trascinatore di altri due titoli nazionali. Quando l'argentino va via, dopo la finale di Champions persa contro il Barcellona, lo sostituisce con Dybala, a cui durante la medesima sessione vengono affiancati Alex Sandro e Khedira. In rosa ci sono già la B-B-B-C, Evra e Marchisio, ed è per questo motivo che a Torino, résisi conto che l'obiettivo non può più non essere la scalata continentale, tra giugno e luglio di quest'anno succede un pandemonio. Quella orchestrata da Marotta, Agnelli e Paratici è oggettivamente la migliore campagna acquisti mai realizzata dai tempi proprio di Perez e dei galacticos. A Pjaca, Benatia, Dani Alves e Pjanic va sommato il riscatto di Lemina, per un totale pari a 67,50 milioni. Ed a questi, da lunedi, 45 milioni per la prima tranche del pagamento del miglior centravanti puro in circolazione: per Gonzalo Higuain, difatti, la clausola è da 90 - e non 94,7 - milioni, e pagabile in due tranches. Totale, circa 110 milioni. Tutti soldi che la Juventus ricaverà dalla cessione di Paul Pogba allo United, per il quale sinora i red devils si sono spinti sino proprio sino a quota 110: la Signora, che sa il fatto suo, però sa bene che circa 20 milioni dovranno andare a Raiola per il suo gioiello, e per questo motivo chiuderà intorno ai 125. Il tutto, senza intaccare minimamente la rosa - visto che il sostituto del francese, ovvero Pjanic, è già arrivato da tempo - ma soprattutto lasciandosi ampi margini di realizzazione per almeno un altro rinforzo, e di valore, a centrocampo.

Se quelli, a posteriori, erano davvero degli Harlem Globetrotters che avevano abbandonato la palla a spicchi per riciclarsi in quella penta-esagonale, questo è tutt'altra cosa. E' un progetto serio, di senso compiuto, mai così sobrio e scientemente studiato. Fa quasi specie che ci siano addirittura dei detrattori della scelta societaria di investire sul Pipita, nonostante la spesa sia così elevata. Al di là del numero dei gol realizzati, è esattamente dai tempi dell'ultima, pregevole, annata (la 2007-2008) di Trezeguet che alla Juve mancava un centravanti puro di questo spessore. Ed i centravanti, così come i difensori, ad oggi sono merce rara: quelli di livello internazionale, già pronti e collaudati per la realizzazione delle grandi imprese, si contano sulle dita di una mano. E non costano meno della clausola rescissoria imposta dal Napoli al suo ex beniamino, oggi solo un reietto vendutosi al potere ed alla brama di vittoria. Qualcosa che oggettivamente merita più di molti altri, e che evidentemente in azzurro ha realizzato non poter raggiungere. Una scelta di campo, obiettivamente comoda, ma non per questo visceralmente contestabile. 

Lo è maggiormente, in realtà, l'atteggiamento della sua società. Sfrontata, nell'affrontare questo calciomercato con la ferrea convinzione che nessuno potesse mai sfiorare il suo giocatore-cardine, vincolato com'era da una cifra tale. Senza, però, fare i conti con l'oste: ovvero con una squadra che, scelta di Pogba di tornare a Manchester a parte, Higuain avrebbe potuto prenderlo anche senza sacrificare il francese. 25 milioni per Zaza, 15 per Pereyra (somma già concordata, peraltro, con lo stesso Napoli), 5 per Isla. Tre cessioni insignificanti, rispetto alle ambizioni bianconere, che sarebbero bastate per pagare l'intera prima rata del Pipita, lasciando al tempo - ed agli introiti Champions - la responsabilità di pagare la seconda. Perché è così che si fa calcio(mercato). Con la programmazione, la lungimiranza e la convinzione delle proprie scelte. Di certo non sperando nel mancato pagamento delle clausole rescissorie, vedendosi poi costretti a migrare in fretta e furia presso altri, ed ovviamente meno prestigiosi, lidi, che hanno a loro volta prezzi fuori da qualsiasi logica. E' ciò che sta accadendo, in queste ore, a De Laurentiis, che perso Higuain ed incassati i primi 45 milioni ha trovato un accordo di massima con lo scontento Icardi (5.5 milioni più parte dei diritti d'immagine). Peccato che adesso dovrà scontrarsi contro un muro: quello nerazzurro. Inevitabile, d'altra parte: perché Suning non vorrà certo presentarsi ai tifosi con una cessione di questo tipo, e nonostante le pressioni di Wanda Nara sparerà altissimo, a maggior ragione considerato che sa bene quale sia oggi la disponibilità del patron azzurro. Da quel che sappiamo noi, l'Inter parte da una valutazione del suo attaccante non inferiore ai 60 milioni. Circa 20 in più rispetto alla prima proposta che farà il Napoli. Un gap estremamente difficile da colmare, se non con l'inserimento nella trattativa di Gabbiadini, pallino di Mancini alla pari di Yaya Touré e Candreva. In ogni caso, un calciatore come Icardi verrà strapagato rispetto al suo reale valore, e nonostante la giovanissime età: cosa, questa, che paradossalmente finirà per rendere più consona la cifra spesa dalla Juventus per Higuain. Che, a differenza di Maurito, al di là delle profondità che assicura, ha una virtù fondamentale: riesce a segnare anche prescindendo dall'assistenza della squadra. Icardi, invece, è un centravanti purissimo, che nel suo bagaglio tecnico non ha gli strumenti necessari per risolvere la partita in completa autonomia. Un po' come Bacca, che costa quasi la metà, e che sarà la "ruota di scorta" di De Laurentiis: al Milan - che aveva già concordato con il West Ham la cessione per 30 milioni - sono stati proposti 20 milioni più El Kaddouri, ma vuoi che una società in crisi finanziaria ed ancora in attesa d'una svolta societaria attesa da anni accetti di introitare 10 milioni in meno?

Un caos calmo, ma sostanzialmente diffuso, che volge interamente a vantaggio della Juventus. L'All-Star Team della Serie A che riesce, tra una smentita e l'altra di Marotta - ormai, nei confronti della stampa sportiva, più falso d'una moneta da 3 euro - , ad accumulare campioni su campioni, ed a intavolare un discorso atto a minimizzare il gap che la separa dalle grandi d'Europa. Tutte, da qui a un paio d'anni, pronte a darsi battaglia. Al Barcellona di Luis Enrique, al City di Guardiola, al Real di Zidane, al Bayern di Ancelotti, al PSG di Emery ed allo United di Mourinho, da quest'estate in avanti potremo tranquillamente sommare anche la Juventus di Allegri. La squadra delle squadre, che ha preso il meglio dalle sue concorrenti italiane, disegnandosi intorno una voragine, e che un po' come fece Perez, 16 anni fa, con Figo, ha iniziato il suo percorso galattico. Possibilmente, sperano i tifosi bianconeri, con ben altri risultati. A margine di questa campagna trasferimenti, che comprenderà l'acquisto più oneroso della storia del calcio italiano e la plusvalenza più alta della storia di quello mondiale, li meriterebbero tutti. Proprio come Higuain, che in futuro verrà giudicato per la sua scarsa "etica", il suo mancato attaccamento alla maglia e la sua poca riconoscenza verso la società che lo ha reso ciò che oggi è, ma che oggi, calcisticamente parlando, merita traguardi molto più importanti di quelli sinora raggiunti. Giusto fargliene un torto? Forse sì, se si continua a intravedere il calcio come un gioco per bambini e non una professione, né un business di proporzioni incommensurabilmente superiori rispetto a quelle in cui c'erano le bandiere, e le fedi calcistiche paragonabili a quelle religiose.

L'importante è che, tra qualche tempo, non gli si scagli addosso una testa di maiale.