Un paio di precisazioni, anzitutto. 

I fantomatici 'eredi', nel calcio, non esistono. Esistono delle epoche, dei contesti, delle realtà diverse. E i calciatori non hanno degli eredi calcistici se non nei rarissimi casi in cui sia la loro stessa progenie a ricordarli in campo, non solo nella fisicità e nei movimenti, quanto a livello visivo e caratteriale. E' il caso, per intenderci, di Federico Chiesa, che a 20 anni già mostra delle giocate, ed un modo di stare in campo davvero molto simile a quello che era di Enrico. Il ruolo, certo, è leggermente diverso, ma stanti le prospettive che questo ragazzo consente di pianificare per quanto concerne il suo futuro, ed il fatto che abbia potenzialmente dinanzi a sé ancora almeno 13-14 anni di carriera, non è assolutamente detto che prima a poi non possa diventare una seconda punta di rara estetica ed efficacia qual era suo papà. Caso più unico che raro, per intenderci, visto che Maradona, Maldini, van Basten, Platini e Baggio non hanno eredi. Li hanno cercati, decantati, sognati, ma mai effettivamente trovati. Perché l'eterno è eterno in quanto tale, e per quanto la storia di qualcuno, per più o meno brevi tratti possa ricordare quella di un Dio di questo gioco, mai sarà riconducibile a quella dell'originale. Messi (così come i due Ronaldo) non avrà mai un erede, né mai ci sarà un calciatore in grado di ripetere le sue gesta. Di somigliargli, beh, sì, è ovvio. E di somiglianze, più o meno marcate, tra Dybala e Messi effettivamente non ce ne sono poche.

Sono, anzitutto, entrambi argentini. E mancini. Oltre che dotati di un talento fuori dal normale, questo è fuori di dubbio, oltre che di un fisico non proprio adònico. Di entrambi, da ragazzini, si diceva addirittura che non potessero competere ad alti livelli per quant'erano mingherlini. Un preconcetto dei troppi, purtroppo, dopo decenni e decenni di classe diffusa da esili corpicini che andavano a ridicolizzare vichinghi fin troppo piantati sulle proprie certezze. 

Sono, poi, entrambi dei numeri 10. Non nel senso tattico dell'accezione, ovviamente: avendo la sfortuna (o la fortuna, dipende dai punti di vista) di esser nati nell'era dei trequartisti in via d'estinzione, come tutti loro si sono lentamente tramutati in seconde punte (altri, invece, si sono spostati in regia o sulle fasce). La scelta ottimale, in ogni caso, per entrambi, visto che grazie ad un bagaglio tecnico immenso ed all'appartenenza a squadra di alto rango riescono a segnare tanto quanto (spesso, addirittura di più) dei rispettivi numeri 9. Ovvero, a dismisura. Una mutazione - legata sì alla posizione in campo ma soprattutto alla consapevolezza dei propri mezzi - che Messi ha realizzato molto più giovane del suo connazionale, intorno ai 21 anni: stagione 2008-2009, da Barcellona va via Ronaldinho, arriva Guardiola, e Messi diventa, oltre che punto di riferimento e idolo, anche un bomber implacabile. Passa dai 16 stagionali del 2007-2008 ai 38 che gli regaleranno il primo dei tanti Palloni d'Oro della sua carriera. 9 dei 38 gol li fa in Champions. Competizione in cui, ancora adesso, a poche settimane dai 24 anni, la Joya è fermo ancora a quota 5. Due dei quali segnati proprio contro il Barcellona, lo scorso anno, in quella che ancora oggi è la sua unica partita internazionale in cui il paragone, scomodo e improprio, è stato non solo azzardato, ma per la prima volta anche azzeccato, seppur a posteriori. 

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L'evoluzione tecnico-tattica di Dybala, difatti, risale ai giorni nostri. Anzi, a dirla tutta a questi giorni. Mentre scriviamo il nuovo numero 10 della Juventus ha già segnato 8 gol in campionato in 4 gare, alla media di 2 a partita, a cui vanno sommati i 2 in SuperCoppa che portano il suo parziale stagionale a quota 10 in 6 gare. Numeri, questi sì, alla Messi, che sempre in questo istante ne ha realizzati 8 in 7 partite. Poca roba, verrebbe da dire. Ma i numeri hanno valore non solo in senso assoluto. Ed anzi, in molti casi non hanno nessun valore, se non statistico. Se si volessero analizzare e paragonare quelli di entrambi, pur partendo dall'assunto che tra i due ballano circa 6 anni di differenza, il paragone non avrebbe alcun senso. Eppure da oggi, dopo la sublime tripletta al Sassuolo, pur venendo da una debacle, quella del Camp Nou, ancora calda, torneranno a far breccia negli approcci al tema di ardimentosi tifosi e avventati giornalisti. E allora, perché?

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Semplicemente perché il calcio ha bisogno tanto di sé stesso, quanto dei suoi emblemi e punti di riferimento. E di rinnovarsi, ciclicamente, per non perdere mai di vérve e appeal verso il suo universo, fatto per metà di incalliti nostalgici, e per l'altra metà di sfrontati futuristi. Sono questi ultimi (oltre a qualche tifoso imparziale) a spingere per l'inaudito paragone. Che ad oggi, però, regge solo in determinanti frangenti. Ovvero, quando torna di moda il ritornello del "Barcellona squadra finita" e del "Messi non è più quello d'una volta". E' soprattutto in tali contesti che si rende fisiologicamente necessaria la caccia all'inappropriato erede, che si rende più credibile quando (quindi, sempre più spesso) Dybala regala perle che per la nostra Serie A sono ambrosia purissima. Perché, oggettivamente, parliamo del migliore calciatore in assoluto, e per distacco, del nostro campionato. Che però a sua volta è ancora molto, molto indietro rispetto alle migliori squadre spagnole ed alla Spagna stessa: le ultime due partite, in ordine cronologico, della Juventus contro Real e Barcellona, e la disfida di Madrid tra azzurri e furie rosse ne sono non solo testimonianza ma anche schietta esemplificazione. Dybala, in definitiva, è solo - e non è poco - Dybala. Ovvero il fuoriclasse della sua squadra, che ancora però cerca di distinguersi nella sua Nazionale. Dove ormai da due anni viene costantemente impiegato e cerca ancora uno squillo, e dove invece alla sua età Messi pur senza successi internazionali ne aveva già messi una quindicina. Oggi, però, giocano insieme, fianco e fianco, ed a rifornire un numero 9 che più 9 non si può come Icardi. E nonostante tutto faticano, come non mai, per portare l'albiceleste ai Mondiali di Russia. Perché il calcio non è fatto soltanto di attaccanti splendidi e cannonieri indefessi. Quelli che risolvono le partite, ma se dietro subisci tanti gol non possono certo far sempre e comunque la differenza. E perché nel calcio, nonostante tutto, chi non subisce neanche un gol ha il 66% di possibilità di non perdere. Nonostante ad essere osannati e pagati decine di milioni siano sempre i Messi e i Dybala. 

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Per concludere, forse dovremmo un po' tutti semplicemente smetterla di cercare futilmente eredi a chiunque, ed utilizzare i numeri e le teorie per confutare o suffragare sterili ipotesi comparative. Dovremmo goderci le giocate di tutti, senza intuitivamente ricondurle a qualcun altro, introducendone per forza le skills in scomode ed arraffazzonate classifiche. Dybala è un giocatore splendido, che deve iniziare a splendere di luce propria anche al di fuori dei confini nazionali, e con la stessa continuità di Messi, se vorrà anche solo avvicinarsi alle gesta del suo amico e connazionale. Che, ad oggi, è semplicemente un campione senza età né eredi, proprio come solo altri 7-8 prima di lui. E Dybala un ottimo numero 10, uno dei pochissimi con dei numeri da 9, che quando calcia col sinistro richiama alla mente la classe di chi, alla sua età, invece già era una stella di primissima grandezza. Appunto, richiama alla mente. Facciamo che sia così, almeno finché potremo. Perché la speranza, ovviamente, è che il calcio ed i suoi interpreti siano sempre più godibili e spettacolari. Cosa che ormai da anni sta facendo Messi. E che già da qualche mese a questa parte sta facendo anche Dybala. Perché due è meglio che uno. E senza alcuna necessità di confrontarli, per gioco o per convinzione. Quando poi, tra 30 anni, entrambi saranno dei fior di allenatori, o di dirigenti, lasceremo ai posteri l'arduo, e comunque improprio, compito o (dis)piacere di paragonarli.