Il presente e il futuro sorridono, ma in passato non è sempre stato così. La storia dei calciatori brasiliani alla Juventus è piuttosto altalenante: si va da autentici pezzi da novanta, portatori di titoli e indiscussi simboli del club, a vere e proprie meteore o clamorosi flop tutt'altro che annunciati. Un singolare matrimonio verdeoro-bianconero che parte nel 1972 con José Altafini (199 partite e 37 gol con la Vecchia Signora) e prosegue con Julio Cesar da Silva, pilastro della difesa juventina a inizio anni Novanta. Le due pietre angolari di un processo destinato a diventare la prassi.

Già, perché con l'avvento del nuovo millennio il "trend sudamericano" ha subìto una notevole accelerata. In prima fila troviamo il "Puma" Emerson: dopo l'importante quadriennio a Roma, le due stagioni a Torino al servizio di Fabio Capello. Per intenderci, quelle (ancora oggi) tanto discusse al centro dello scandalo "Calciopoli". Sorvolando sull'oggetto misterioso Gladstone Pereira della Valentina (solo un'apparizione in Coppa Italia nel 2006), la tappa successiva risponde al nome di Amauri Carvalho de Oliveira. Arrivato nell'estate del 2008 e accolto quasi come il Messia, le aspettative sul suo conto erano elevatissime, considerato il fresco biennio fenomenale a Palermo e la cifra spesa per strapparlo ai rosanero (circa 23 milioni di euro, all'epoca un gruzzolo davvero importante). Risultato? Buon inizio e poi un calo spaventoso, fino al puro anonimato e alla cessione al Parma nel gennaio del 2011.

La Juventus lascia? Macché, raddoppia! Tra maggio e luglio del 2009 ecco il doppio 'colpo' brasileiro: prima Diego Ribas da Cunha, poi Felipe Melo. Quasi 50 milioni di euro per due delle delusioni più cocenti nell'epoca recente bianconera. L'ex Werder parte forte ma si spegne rapido come una candela chiusa sotto un bicchiere di vetro, finendo con l'essere ceduto a fine stagione al Wolfsburg per 15.5 milioni (minusvalenza di 7.5). Il centrocampista di Volta Redonda riuscirà a resistere dodici mesi in più, prima di essere 'defenestrato' con direzione Galatasaray. In questo caso, saldo ancor più negativo: preso a 25, rivenduto a 14.5.

Altro giro, altra corsa. Nel 2012 tocca a Lucio, uno dei simboli del Triplete dell'Inter. Tradotto significa: ragazzo mio, cominciamo male. In effetti la partenza non è praticamente nemmeno arrivata: giusto il tempo di alzare al cielo la Supercoppa italiana l'11 agosto a Pechino contro il Napoli, poi la rescissione consensuale quattro mesi più tardi, il 17 dicembre. Totale: quattro presenze ufficiali e un ricordo non esattamente indelebile lasciatosi alle spalle. Il resto è storia piuttosto recente, col solito leitmotiv della spartizione tra gioie e dolori: il 2015 è l'anno di Neto come vice-Buffon, di Hernanes, preso a sorpresa il 31 di agosto ma mai entrato nel cuore dei tifosi, e soprattutto di Alex Sandro, faro e aratro della corsia mancina sotto la gestione Allegri. Sulla fascia opposta, ultimo in ordine cronologico, quel Dani Alves decisivo in tutti i momenti cruciali della passata stagione. Tranne uno, e non c'è bisogno di ricordare quale.

Ora tocca a Douglas Costa. Un investimento che, premesse e numeri alla mano, potrebbe e dovrebbe spostare ulteriormente gli equilibri. Un dato, intanto, l'ha già messo a referto, entrando a modo suo di diritto negli archivi del club: con un prestito oneroso fissato a 6 milioni e un riscatto obbligatorio a 40, sarà il brasiliano più costoso di sempre, in generale il terzo più pagato di sempre dopo Higuain e Buffon. Per non parlare dell'ingaggio: 7 milioni l'anno che lo rendono a tutti gli effetti un top player del nostro campionato. 

Un consiglio? Che non andasse a vedere quanto fatto dai suoi connazionali predecessori alla Vecchia Signora. Oppure, se proprio avesse intenzione di farlo, che scegliesse come esempio da seguire i nomi giusti. Per la gioia (anche) dei tanti fantallenatori già pronti a svenarsi per portarselo a casa.