Alessandro Nesta nel 2000 (getty)

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31 agosto 2002. Il Milan, che già stava prendendo le sembianze della grande squadra che poi sarebbe diventata, cede due giovani rincalzi come Beloufa e Coloccini e si appresta a piazzare un colpo che avrebbe sconvolto la storia del calciomercato. Dopo una serie infinita di smentite, conferme solo sibilline, e frasi ad effetto, difatti, viene strappato alla Lazio Alessandro Nesta. 26 anni, già qualche infortunio di troppo alle spalle, ed una carriera che per almeno altri 10 anni riserverà solo qualche delusione, ma soprattutto grandi gioie. A partire dalla prima stagione, quella della Champions League ai danni dell'acerrima rivale bianconera. A Cragnotti, che poche settimane prima aveva parlato di "120 miliardi di lire in contanti” per il suo capitano, vanno giusto la metà: 60 miliardi e spicci. E' in quel momento che il calcio italiano delle '7 sorelle' realizza che c'è qualcuno, forte dei propri investimenti ma anche dei propri risultati, può permettersi, semplicemente, di scegliere. Nesta era, all'epoca, il miglior difensore al mondo - insieme a Cannavaro, Ferdinand e Thuram: le classifiche in tal senso non mi esaltano -, ma soprattutto l'unico in grado di governare il reparto con l'atavica sicurezza d'un Riccardo Muti e muoversi in campo, al contempo, con la sobria eleganza d'un Roberto Bolle. Berlusconi e Galliani lo scelsero. E lo presero, anche approfittando delle gravose morosità della sua società: 2 mesi dopo, difatti, sarebbe iniziato il calvario della Lazio, che avrebbe portato al default dei bond Cirio ed alle aquile nelle mani delle banche. Una situazione, ovviamente, che nulla a che vedere con quella della Juventus, la società più finanziarmente sana, oltre che sportivamente lungimirante, del nostro Paese. Non è un caso, d'altra parte, se solo 6 mesi fa Marotta e i suoi presero ad un prezzo ragionevole, viste le potenzialità (15 milioni di euro più eventuali 4 di bonus), Mattia Caldara. Ovvero, il calciatore italiano più simile, in prospettiva, per caratteristiche tecniche e ruolo in campo, a Leonardo Bonucci. La cui operazione di trasferimento, dalla Juventus al Milan, per molti tratti ricalca quella dell'epoca. Quando Nesta arrivò a sugellare un reparto che per molti anni, da lì in avanti, resterà efficiente e simile a sé stesso.

Si diceva, della lungimiranza. Anche troppa, se si considera che a gennaio i primi, considerevoli, scricchiolii, nel rapporto tra il capitano in pectore (prima analogia con Nesta) della Signora, e Max Allegri, ancora dovevano arrivare. Solo un mese più tardi, d'altra parte, sarebbe deflagrata la bomba di Oporto, con il difensore viterbese reo di aver attaccato duramente il tecnico in Juve - Palermo (e poi litigato con lui negli spogliatoi), relegato in tribuna. Mestamente appollaiato in piccionaia, ad assistere all'ennesimo successo dei suoi compagni. Ed anche con alcuni di loro le cose non inizieranno ad andare benissimo.

Frame da Premium Sport

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Quando l'attenzione mediatica poi s'allontana, le cose, per settimane, sembrano rimettersi al loro posto. D'altra parte la Juventus è la squadra che veleggia trionfalmente verso finali e sesto scudetto consecutivo, e le mirabilie della B-B-B-C continuano a produrre, in campo, i soliti effetti positivi. In allenamento, però, si mormora di incomprensioni e mancati sorrisi. Nulla di spropositato: d'altra, se anche fosse, parte tràttasi di professionisti affermati. Gente che prima di sbottare, e farsi influenzare, ce ne vuole. A meno che anche un sogno comune come la Champions League, svanita a seguito d'un intervallo a dir poco rumoroso, non evapori. a quel punto le acredini ed i traumi pregressi non possono che accentuarsi. Le ferite ricominciare a sanguinare, e quelle che fino a poco tempo prima erano solo i classici rumors di mercato diventare delle concrete opportunità. Nessuno saprà - almeno per i prossimi anni, quando qualcuno dei protagonisti smetterà e, forse, ce lo racconterà - mai cosa sia successo veramente negli spogliatoi di Cardiff. Continuare a negare che però qualcosa sia successo, oggi, è semplicemente ipocrita. Non sappiamo se Dani Alves se ne sia andato davvero per quel motivo, o semplicemente perché a Parigi guadagnerà cifre sprezzantemente superiori rispetto a quelle percepite a Torino. Quel che è ipotizzabile è che l'ormai romanzatissimo quarto d'ora di Bristol - che pare abbia coinvolto, oltre ai suddetti e ad Allegri, anche Barzagli, Dybala e Mandzukic - ha prodotto degli strascichi. E neanche tanto silenziosi. Perché, diciamola tutta, non si cede colui che è universalmente riconosciuto come il miglior difensore al mondo - insieme a Piqué, Thiago Silva e Sergio Ramos, analogia con Nesta numero II - ad una potenziale rivale per lo scudetto. Se non da qui a 10 mesi, probabilmente da qui a 2-3 anni. E, soprattutto, non lo si cede a cifre così basse: vero, parliamo comunque di un calciatore di 30 anni, ma ancora perfettamente integro, affamato, e pronto a giocare altre 5-6 stagioni ad altissimo livello. Un anno fa, dall'Inghilterra (nella fattispecie il City), si arrivò a mettere sul piatto, per quello che era il sogno proibito di Guardiola, 60 milioni. E solo 7 mesi fa quello stesso calciatore rinnovava il suo contratto, a cifre altissime, per l'epoca: 5 milioni all'anno, fino al 2021. Blindato, blindatissimo. Con una promessa, mai dichiarata, ma paventata verso l'avvenire: la fascia di capitano dopo Buffon. Altra onorificenza designata per i pochi. Per gli eletti. Quale Bonucci é. O almeno, i tifosi juventini pensavano che fosse.

Poi tutto cambia. E nel giro di un semestre. Il piccolo Matteo, per fortuna, sta meglio, ma per tutta una serie di motivi è bene che rimanga in Italia, dove è stato ben curato. Dall'Inghilterra ricominciano però a chiamare: stavolta è il Chelsea di mister Conte, che però oltre a lui vorrebbe anche Alex Sandro, ancora oggi tutt'altro che certo di restare a Torino. Bonucci declina, ma il mandato al suo agente di trovargli una nuova squadra, lontano da Allegri, è già stato conferito. E allora, perché non parlarne con il Milan, dove Lucci già assiste Montella, potrebbe portare Cuadrado, e da dove ha portato via Bertolacci? D'altra parte è la squadra che sta facendo il mercato più importante d'Europa, e dove le prospettive, certo, non mancano. Certo, significherebbe restare per una stagione ancora lontano dalla Champions, ma la rosa è stata costruita per tornarci, ed anche subito. E allora via alla trattativa. La Juventus chiede Romagnoli o Locatelli, oltre a De Sciglio (di cui si parla già da mesi), ma Fassone declina. I giovani rossoneri - e non ce ne sono tanti, reduci dalla rosa della scorsa stagione - più talentuosi non si toccano. L'AD meneghino, in coabitazione con la solita dedizione di Mirabelli, ribatte. E parte basso: 30 milioni più De Sciglio. Che, però, viene valutato 15 dal Milan e 10 dalla Juventus: quindi, nulla da fare. Il terzino andrà comunque alla Juventus, ma in futuro. Nel breve, futuro, per la precisione. Si torna a parlare di cash: la Juventus, stante la volontà del calciatore di andare, chiede 50, il Milan, che era già arrivato a 40, se la gioca coi bonus. A quota 42, bonus (facili) compresi, si chiude. E nel giro di neanche 48 ore Bonucci svuota l'armadietto, saluta i compagni (tutti-tutti?), sale in macchina e va a Milano, dove firma il contratto che lo rende il calciatore italiano più pagato della Serie A. 6.5 milioni a stagione più bonus: roba da Dybala, per intenderci. Uno di quelli con cui, si dice, non andasse più tanto d'accordo. Come con Chiellini, che nel giro di una manciata di minuti - che caso? - cambia profile pic sui social e impugna il logo bianconero. 

Il tutto mentre Silvia, sorella dell'altro centrale bianconero orfano di una 'B', ci mette poco a schizzar veleno, sempre sui social.

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Leo, intanto, è già a Milano da qualche ora. A Casa Milan pare concordi con Fassone l'assegnazione della fascia di capitano rossonera (che però deciderà Montella, come ribadito da lui stesso a distanza, dalla Cina), e contestualmente pubblica una lettera d'addio che contiene l'ennesimo messaggio al suo "nemico" Allegri. Mancato protagonista - parole di Bonucci - di "una splendida storia, degna di concludersi nel pieno rispetto e affetto, senza intaccare ciò che ho vissuto insieme alla Società, al Capitano, ai compagni e ai tifosi". Non insieme all'allenatore, evidentemente. Di cui però non parla e non parlerà. Ai tifosi bianconeri delusi che lo hanno salutato a Vinovo, venerdi, e che lo interrogavano in merito alla notte malata di Cardiff, Bonucci s'è limitato a dire "è acqua passata". Un indizio, l'ennesimo, efficace, in merito quantomeno alla presenza dell'acqua. In questo lago di passione e dimenticanza d'è tuffato il Milan, cogliendo l'occasione come fece, 16 anni prima, ed acquisendo il cartellino a condizioni sufficientemente vantaggiose (analogia con Nesta numero III) tali da rendere l'affare il più importante dell'intera sessione in corso di svolgimento. Non per le cifre, ma per l'entità, il valore, l'esperienza dell'interessato, e delle parti coinvolte. Che da qui a breve si ritroveranno a duellare per le prime posizioni e, se tanto ci dà tanto, anche in Europa. Con un Bonucci in meno da una parte, ed uno in più dall'altra, però: il gap tra le due è ancora straordinariamente ampio, ma la scelta di iniziare a rimarginarlo partendo dall'indebolimento dell'avversaria è saggia. Bonucci, di fatto, è il primo dei 10 acquisti sinora operati dalla M&F a spostare davvero gli equilibri. Perché ricolloca un reparto, sulla carta, solo "buono", nell'eccellenza. E lo rende peraltro anche futuribile ed intelligibile in ottica azzurra. Ad oggi, sulla carta, quattro quinti della difesa titolare del Milan (Conti-Romagnoli-Bonucci e Donnarumma) sono anche dei Nazionali, e lo saranno teoricamente anche in Russia. Fino a ieri, invece, era così per la Juventus. Che però, tra un anno, non avrà più Barzagli e Buffon (che hanno il contratto in scadenza) e dovrà riuscire presto a portare Caldara, Szczesny e Rugani ai livelli dei loro predecessori. Possibile, plausibile, probabile. Oggi, però, l'unica certezza difensiva del nostro calcio è Bonucci. Ed è del Milan. Così come 16 anni fa lo divenne Nesta. Fatte le dovute proporzioni, l'epica cornice (analogia numero IV) resta. E non può che far rumore. 

Forse più di quello che esasperò gli animi negli spogliatoi di Cardiff.