Quando nel 1967 la UEFA decide di assegnare il nuovo modello della Coppa dei Campioni, quella che sarà battezzata come la “Coppa dalle grandi orecchie”, Helenio Herrera fino a ventisette minuti dal termine della finale di Lisbona cullerà il sogno del tris europeo. Dall’altra parte ci sarà il Celtic di Glasgow a rovinare la festa all’Inter più grande di sempre e a portarsi a casa la nuova Coppa dei Campioni, non ancora Champions League, il trofeo che con diecimila franchi svizzeri e un lungo lavoro di preparazione sostituisce quello che fino al 1966 era stato molto somigliante alla coppa del Campionato europeo per nazioni.

L’attuale trofeo, il più ambito al mondo tra le competizioni per club, oggi porta le stesse sembianze di quello presentato per la prima volta in un assolato pomeriggio di fine maggio del 1967, a Lisbona, in occasione della finale tra Inter e Celtic di Glasgow, prevista per le 17,30. Nel corso del tempo soltanto alcune piccole modifiche hanno ritoccato la coppa dagli otto chili pensata dallo svizzero Hans Stadelmann. Il regolamento, fino a pochi anni fa, ha previsto che chi fosse stato in grado di vincere cinque volte la Coppa dei Campioni o per tre volte consecutive, avrebbe avuto il diritto di conservare per sempre il trofeo originale. Poi, dopo il 2008, la regola è stata abrogata. I club che oggi conservano un “originale” della coppa sono Real Madrid, Milan, Ajax, Liverpool e Bayern Monaco. Gli ultimi a giovarsene sono stati gli inglesi, grazie alla rocambolesca finale vinta ai danni del Milan nell’edizione 2004\2005.

Quando allo Stadio Nazionale di Jamor Mazzola dopo sette minuti di gioco trasforma un calcio di rigore, la strada per i nerazzurri si fa in discesa. A concedere quel penalty è l’arbitro tedesco Tschenscher, quello che nel 1968 lancerà la monetina che consentirà alla nazionale italiana di qualificarsi per la finale del campionato europeo, nella celeberrima semifinale che vedrà l’allora Unione Sovietica lasciare l’europeo per mano della sorte.

Nel 1964 e nel 1965 l’Inter aveva scritto il suo nome nella storia del calcio battendo il grande Real Madrid, quello di Gento, Di Stéfano e Puskás, e, nella finale dell’edizione successiva, il Benfica di Eusébio. Due anni dopo, la squadra milanese, che ai quarti ha battuto per 2-0 e per 1-0 proprio gli spagnoli del Real, si qualifica per una nuova finale e per conquistare per la terza volta il massimo trofeo continentale. Le formazioni iniziali presentano due undici esclusivamente “nazionali”. Nessuno straniero. Undici scozzesi da una parte e undici italiani dall’altra. L’Inter vede l’assenza di due uomini che erano stati fondamentali nei due successi precedenti: Jair da Costa e Luis Suarez. Gli scozzesi del Celtic sono allenati da Jock Stein, leggenda del calcio d’oltremanica, l’uomo che guiderà la nazionale scozzese fino all’ultimo respiro, quando, subito dopo il fischio finale del Galles-Scozia che nel 1985 regalerà la qualificazione ai mondiali ai Tartan Army, il suo cuore si fermerà per sempre.

Dopo il vantaggio interista, il Celtic di Wallace e Chalmers si scuote e inizia poco a poco a impadronirsi del gioco. L’Inter, paga di un vantaggio che sembra essere voler difeso troppo presto, imbastisce una lunga fase difensiva. Al rientro dagli spogliatoi il Celtic appare ancora più agguerrito, cingendo d’assedio l’area nerazzurra. Sarti diventa l’uomo in più di un’Inter che sembra cedere al gioco di una squadra che, paradossalmente, paga lo scotto di essere passata in vantaggio troppo presto. Al 63’ Gemmell batte Sarti con un gran tiro dal limite dell’area. Il muro interista cade per la prima volta sotto i colpi della compagine scozzese. Quando ormai i supplementari sembrano vicini, Chalmers a cinque minuti dal termine trafigge il portiere nerazzurro con una deviazione ravvicinata sul filo del fuorigioco.

Getty images, Fantagazzetta

+
Il 2-1 finale premia la grinta di una squadra partita con gli sfavori del pronostico, ma con la fame di chi vuole provare il sapore di un successo che adesso ha anche la faccia di un trofeo nuovo di zecca. Quello sarà il giorno del punto più alto della storia del calcio scozzese, mentre quel giorno a Lisbona nessuno sa per quanto tempo quella coppa dalle grandi orecchie sarà il volto ipnotico e ambito da ogni calciatore, da ogni allenatore, da ogni società e da ogni tifoso. Sono trascorsi tanti anni e le grandi orecchie ascoltano ancora i sogni di tutti quelli che vorrebbero alzarla almeno una volta, quella coppa che se ne sta lì, ferma e silenziosa, e che ogni anno si fa tatuare il nome di chi ha raggiunto una gloria ormai antica.