L'Inter è (sempre stata) una creatura strana e indecifrabile. 

E non solo a livello tecnico-tattico. Anche in quanto a sentiment della tifoseria, percezione da parte degli addetti ai lavori, personaggi. Lo dice anche la sua storia, d'altra parte. Voli pindarici, crolli roboanti, risalite improvvise e trionfi inaspettati. Emozioni a gogò, proprio come nelle sue due prime uscite ufficiali. Fiorentina in casa e Roma fuori, il calendario più difficile in assoluto, probabilmente al pari di quello dell'Atalanta che è partita dalla stessa Roma, e viaggia oggi verso Napoli. Eppure Spalletti, che ancora (giustamente) non si sbilancia, ha già fatto 6 punti. Tanti, in un campionato che per ovvi motivi sarà assai più equilibrato dei precedenti, e che già, in realtà, significano qualcosa.

Anzitutto che l'Inter, pur non essendo ancora completa, è una squadra da temere. Come lo sono tutte le squadre che vanno sotto, pareggiano, soffrono da cani e poi riescono a vincere. Proprio come capitato alla Juventus, a Marassi (che però di fronte aveva il Genoa), ed all'Inter stessa, all'Olimpico. Dove il crollo è stato più volte sfiorato, in coincidenza ai tanti legni colpiti dai padroni di casa, ma niente è riuscito a scalfire la tenuta di una squadra che ha, soprattutto davanti, un pacchetto di uomini e di risorse assolutamente di primo piano. A partire da Icardi.

Non è bello da vedere, non è funzionale, non è simpatico (anzi), ma il processo di maturazione tecnico-tattico di Maurito, ormai legittimato anche dalla sua Nazionale, è ormai giunto al termine. La sua innata capacità di inquadrare la porta, e contestualmente farsi trovare al posto giusto ed al momento giusto, è ormai la stessa dei grandi uomini d'area del passato, non solo nerazzurri. Il tutto, fatto con una facilità ed una naturalezza che sono superiori solo al suo ego. Una duplice skill che, per un attaccante, è tutto fuorché negativa.

Ad oggi, tra le big, nessuna dispone d'un attaccante con le sue caratteristiche. Dzeko, l'ha mostrato anche ieri, fisicamente gli è superiore ma oltre ad avere la Champions, a penalizzarlo (o esaltarlo, vedremo), ha anche un modo di stare in campo più statico e manovriero. Higuain, pur avendo dalla sua un bagaglio tecnico più ricco, ha perso parte della dinamicità di 2-3 anni fa, e come il bosniaco avrà da pensare meno al campionato e più all'Europa. Mertens è un giocatore completamente diverso, mentre Kalinic, André Silva e Cutrone devono ancora dimostrare tutto, in rossonero. Insomma, nessuno, ad oggi, ha Icardi. Solo l'Inter, che, fortunatamente, è anche riuscita a non farsi strappare il suo scudiero perfetto dal Manchester United. Già, perché Perisic non è volato in Inghilterra solo per 5 milioni. Sarà anche discontinuo e, talvolta, disattento, ma il suo contributo alla fase offensiva è semplicemente sconfinato, quando ci si mette. Ovvero, quando prende palla sulla trequarti, avanza, riesce a contenere la difensiva avversaria, dribbla, si porta la palla sul fondo, aspetta il movimento dei compagni e li serve scientificamente sui piedi. Un'ala vera, che ha anche una certa facilità di andare in gol (anche quest'anno, sarà doppia cifra) e di sacrificarsi in copertura. Altra feature di cui pochi altri dispongono. Perché Perotti non ha la fisicità del croato, Suso corre molto meno, Cuadrado non gli è superiore, e Mandzukic, Insigne e Callejon hanno un modo di giocare completamente diverso, crossando meno ed essendo a tutti gli effetti degli attaccanti che tagliano verso il centro (oltre a lavorare per la squadra). Solo l'Inter ha Perisic, e farà bene a tenerselo stretto, almeno finché qualcuno non busserà alla porta di Sabatini con un'offerta quanto meno paragonabile (ovviamente, decurtata in funzione dell'età) a quella che ha portato a Parigi e Barcellona due ali offensive di talento, ma strapagate. Per qual motivo i blaugrana (che certo non hanno bisogno di crescersi in casa dei talenti, ma di tornare a vincere nell'immediato) non abbiano pensato a lui, è mistero. Eppure Mourinho, che già in casa aveva Lukaku, Martial, Rashford e Mkhitaryan, oltre Ibrahimovic in pugno, ci aveva visto lungo. Ora, però, sarà difficile, se non impossibile ribussare alla porta dell'Inter, che s'è riscoperta assolutamente dipendente da una coppia affiatata e collaudata. Che Spalletti ha pensato bene di esaltare. E che può fare assolutamente le fortune di una squadra che, questione determinante, dovrà e potrà concentrarsi solo sul campionato.

  Basteranno, queste due frecce di straordinario rendimento, a portare l'Inter dove spera? Probabilmente sì. Quel che è evidente, in ogni caso, è che ancora qualcosa a questa squadra manchi. Quando saranno definitivamente integrati sia Cancelo che Dalbert il problema sulle corsie arretrate, che ci si trascinava dietro da anni e anni, sarà risolto, ma probabilmente continuerà a mancare ancora qualcosa dietro. Una lacuna che Mangala colmerebbe solo sulla carta, e che invece Mustafi - difficile, molto difficile da prendere - riempirebbe con efficacia. Anche perché Skriniar, che nonostante la giovane età ha già dimostrato qualcosa, non è pronto per reggere sulle spalle il reparto, e Miranda ha già dimostrato diverse amnesie, nel recente passato. Per il resto, la squadra c'è tutta. Gagliardini verrà recuperato, Handanovic è una certezza, Candreva potrebbe trovare in Keita, se arriverà, una validissima alternativa, ed una volta risolto l'enigma tattico della trequarti la squadra base sarà completa. Su quest'ultimo punto, però, Spalletti deve decidersi: Vecino può fare quel ruolo, ma con un modus che non è proprio uguale a quanto preteso dal tecnico. Per lo stesso discorso non può essere Borja Valero l'uomo posto dietro la punta, per cui bisogna continuare a investire in João Mário, che oltre a essere costato tantissimo è anche l'uomo più simile a Nainggolan che il certaldino abbia a disposizione. Il portoghese, però, non può essere una risorsa utile solo dalla panchina, anche a costo di far fuori, costantemente, uno tra Borja, Vecino e Gagliardini. Quando l'11 base sarà costruito, anche dare spazio a Eder, Jovetic, Brozovic e D'Ambrosio sarà facile. Non a Gabigol, che deve necessariamente andar via in prestito per ricostruirsi, non solo mentalmente. Certo, l'errore sarebbe darlo all'estero e non in Italia, per evitare di pagare buona parte dell'ingaggio: ma quello che serve al ragazzo, oltre alla fiducia, è una robusta iniezione di tatticismo prettamente italico. Sampdoria, Bologna e Cagliari gli avrebbero concesso diverse occasioni, ma solo se l'Inter, giustamente, avesse dato disponibilità a pagare almeno metà del suo elevatissimo ingaggio (quasi 3 milioni netti l'anno). L'accordo con il Benfica, in ogni caso, è ormai dietro l'angolo, per cui il brasiliano, quando e se tornerà in A, dovrà nuovamente scontrarsi con una realtà non affine alle sue caratteristiche. Peccato. In questa squadra, in ogni caso, non avrebbe avuto spazio. La nuova Inter di un tecnico preparato e cazzuto come Spalletti ha bisogno degli uomini forti, dai destini forti, di cui parlava ai tempi della Roma. E né Gabigol né, probabilmente, Ranocchia e Jovetic possono essere in grado di interpretare questo ruolo. A differenza di Icardi e Perisic, sulle cui spalle peserà l'intera stagione di una squadra pronta a ripartire, ed a fare più paura di quanto poteva sembrare, fino a una settimana fa.