Diciamoci la verità: tutti coloro che, dalla sconfitta rovinosa contro la Spagna in poi hanno iniziato a scrivere, e commentare, "No, ma meglio non andare proprio ai Mondiali per evitare di fare una brutta figura", non ci credono veramente. Un qualcosa che, paradossalmente, in questa fase storica pallonara, qualche sprovveduto dice addirittura in Argentina, dove certo le stelle in Nazionale non mancano, a differenza nostra, dove invece di certo non mancano i buoni giocatori.

Ed è proprio questo che altera gli equilibri dei tifosi. L'Italia calcistica non è mai stata - quantomeno negli ultimi 10 anni - così talentuosa ma soprattutto ricca di alternative, ma paradossalmente faremo una fatica epica per qualificarci a qualcosa che ci spetterebbe di diritto, solo in virtù della nostra storia. Ruolo per ruolo, lì dove per lungo tempo ci siamo ritrovati a dover sopravvivere del solo blocco storico juventino, finalmente possiamo scegliere. Ventura lo ha fatto, ma non sempre benissimo, in verità. E proprio questo è il secondo, dolente, quid, che sta facendo schiumare rabbia. Perché dopo 20 anni di epopea Buffon abbiamo Donnarumma e Perin e non Sirigu e Marchetti; perché dopo una vita affidata alla BBC abbiamo Caldara, Rugani e Romagnoli; perché dopo Pirlo, De Rossi e Marchisio abbiamo Verratti, Gagliardini, Jorginho, Cristante, Barella e tanti altri; perché finalmente abbiamo una batteria di esterni d'attacco che in Serie A fanno sfracelli e che invece, con la casacca azzurra addosso, faticano ad essere loro stessi. E poi, finalmente, perché dopo una vita abbiamo non uno-ma due centravanti veri, Immobile e Belotti. Non sono quindi certo le singolarità a mancare in questo biennio azzurro. Anzi, probabilmente - al netto degli infortuni - sono state talmente tante le opportunità che non si è mai costruito un gruppo stabile, rodato e funzionale all'idea di calcio del tecnico. Che ora, giustamente, è sulla graticola. E dovrebbe esserlo, in realtà, anche Tavecchio

Già. Perché questo ciclo azzurro (e mettiamoci anche quello azzurrino) l'ha messo in piedi lui, coordinato lui, orchestrato lui. E mentre tutti parlano delle responsabilità del CT, ancora non sento nessuno chiedere "la testa" del numero uno della FIGC. Che ovviamente non può essere esonerato dal popolo, ma visti i risultati ottenuti potrebbe anche pensare di dimettersi. E così, invece, non sarà.

Anche perché, ne resto convinto - e non certo perché io sia un inguaribile ottimista -  alla fine Italia e anche Argentina ai Mondiali ci saranno. Così come ne ero convinto 20 anni fa, quand'ero ancora un ragazzino, ma già capivo quale fosse il peso specifico di quel duplice spareggio che avrebbe cambiato il destino sportivo della Nazione e della Nazionale, se fosse andato male.

E invece, seppur con la solita sofferenza che ha contraddistinto buonissima parte delle nostre qualificazioni ai tornei internazionali, anche quella volta andò bene, alla fine. Il Ventura dell'epoca era Cesare Maldini, uno che proprio come Gian Piero era arrivato tardi sulla panchina azzurra, e dopo aver fatto un percorso eccellente in squadre minori. Nel caso di Cesarone, il ciclo straordinario era stato fatto a livello federale, con l'Under, dove aveva coltivato fior di talenti che sarebbero però sbocciati definitivamente solo nel decennio successivo. Era, quella, per intenderci, la Nazionale del 5-3-2 e delle difesa Pessotto-Nesta-Costacurta-Cannavaro-Maldini, di Albertini, Dino Baggio e Di Matteo e centrocampo, e del gioco delle coppie Del Piero-Vieri / Casiraghi-Ravanelli in attacco. Dell'esordio di Buffon e degli ultimi scampoli azzurri di Peruzzi, Pagliuca, Benarrivo e Ferrara. Anche all'epoca, quindi, le alternative non mancavano, se si considera che poi, in Francia, andarono anche gente come Roby Baggio e Bergomi (in sostituzione proprio di Ferrara, infortunato), oltre ai vari Moriero, Di Livio, Di Biagio, Inzaghi e Chiesa. Non proprio malaccio, se si considera che quella spedizione finì, male, solo per via dei centimetri che separarono il rigore di Di Biagio dalla parte bassa della traversa, e Roby dal gol, monumentale, nel sette del palo lontano alla destra di Barthez.

Furono Casiraghi e Vieri (un gol a testa, rispettivamente al ritorno al San Paolo e all'andata, nel freddo di Mosca) a far fuori la Russia, ed a portarci ai Mondiali. Esattamente 20 anni fa: la partita di ritorno di quei play-off, difatti, si giocò al San Paolo il 15 novembre 1997, mentre il ritorno degli spareggi di quest'anno è previsto nella finestra 12-14, sempre di novembre.

Oggi ancora non sappiamo chi sarà la nostra Russia del 2017 (ad ora ci toccherebbe una tra Svezia, Danimarca, Irlanda del Nord e Scozia), ma sappiamo che il nostro Maldini è Ventura, e possiamo legittimamente sperare che Immobile e Belotti (che farà di tutto per recuperare in tempo) siano i nostri Vieri e Casiraghi. E se anche i Mondiali 2018 dovessero portarci solo ai quarti di finale, potrebbe andar bene lo stesso. Quantomeno viste le premesse. Perché non esiste Mondiale, a memoria nostra, in cui siamo mai partiti per andare poi tanto oltre. E invece, destino e coraggio, sempre nei momenti peggiori, hanno fatto la differenza. 

Ne abbiamo parlato anche a Radio Kiss Kiss: