Sheffield, la città che ricorda la tristezza di una tragedia che pochi anni prima ha cambiato la storia dell’ordine pubblico del calcio inglese, 16 giugno 1996. Croazia e Danimarca si affrontano per la gara valevole per il secondo turno del girone eliminatorio del campionato europeo. La Croazia vanta un undici che, nonostante la dissoluzione dell’ex Jugoslavia, una guerra terribile e uno scisma calcistico che ha sparpagliato i calciatori jugoslavi in diverse selezioni, conta su grandissimi calciatori. Non sarebbe così sbagliato considerare i croati come tra i possibili candidati alla vittoria finale. Nella rosa croata c’è Davor Šuker, classe ’68 e piede sinistro che rasenta il dialogo con le divinità. Centravanti del Real Madrid che due anni dopo vincerà la Champions, e non solo, e che diventerà il più grande cannoniere della storia della nazionale croata. Ma la grandezza di questo calciatore non si risolve soltanto nei suoi successi, forse addirittura non alla pari della sua classe. Šuker è quello che si può definire il tipico fuoriclasse. Lo dicono i suoi goal e le sue giocate. Un dizionario estetico.

La Danimarca, campione in carica, è reduce dal clamoroso successo dell’europeo precedente. L’edizione del 1992 ha assistito all’impresa epica dei danesi, capaci di vincere un torneo in cui nessun pronostico li avrebbe ipotizzati come primi. Con ancora vivissimo il ricordo della finale di Göteborg, la Danimarca affronta un girone difficilissimo, che comprende anche la nazionale portoghese. Forse ripetersi sfiora quasi l’impossibile, ma la storia, per fortuna dei danesi, ha già fatto il suo corso una volta.

I croati sono avanti di due goal, quando al novantesimo minuto, a risultato ormai acquisito, lo stadio di Sheffield non sa che sta per ammirare quello che forse sarà il goal più bello di quell’europeo giocato in Inghilterra e tra i più belli della storia di questo torneo. Davor Šuker raccoglie un lancio perfetto di Asanovic proveniente dalla parte opposta del campo rispetto alla sua posizione, stoppa la palla con un controllo a seguire da manuale e si invola verso l’area di rigore avversaria. Davanti a sé ha Peter Boles?aw Schmeichel, uno tra i più forti portieri del mondo. Altissimo, difficile da battere anche da posizioni favorevoli. La corsa veloce ed essenziale di Šuker posiziona l’attaccante croato verso l’angolo dell’area alla destra del portiere. Schmeichel non esce subito e, quando lo fa, non cede troppi metri di distanza tra le sue spalle e la porta. Quando il portiere avanza lo fa senza avvicinarsi troppo all’avversario, contando pure sul ritorno di marcatura di un difensore danese.

Šuker si è portato la palla sul sinistro, dopo quel raffinatissimo controllo col destro. La posizione è favorevole, ma nessuna conclusione sarebbe semplice. La potenza? Un tiro piazzato? Una conclusione radente? Ogni soluzione incontrerebbe l’abilità di Schmeichel, che se ne sta in piedi, mezzo metro davanti allo spigolo dell’area piccola. Con un portiere di questa stazza, gli angoli di tiro si riducono. Quello che sta per fare Šuker è forse il frutto di un pensiero precedente, un’idea elaborata già all’inizio dell’azione. La naturalezza con la quale il centravanti sta per realizzare la sua conclusione dice di una soluzione escogitata grazie alla freddezza, al calcolo del frangente e alla classe di un calciatore straordinario. Šuker non sceglie nessun palo, non si affida alla potenza e non concede possibilità al portiere. Fa l’unica cosa che gli consente di essere certo del risultato. Ribaltando lo spazio, sposta la traiettoria laddove nessun portiere potrebbe arrivare, nemmeno Schmeichel. Scava la palla con un pallonetto che rasenta la perfezione. Imbucando lo spazio tra il portiere e la linea di porta, compiendo un gesto inatteso, imprevedibile, ma che lui ha pensato già prima di arrivare davanti all’estremo avversario. Quando la palla termina in rete, con quel pallonetto che si alza lento e cade velocissimo, l’espressione di resa di Schmeichel non è dovuta al risultato finale. La vittoria ormai è nelle mani della Croazia già da molto tempo. Si tratta della resa davanti all’impossibilità di inibire un calciatore capace di fare la cosa più difficile nel gioco del calcio. Pensare rapidamente ed eseguire alla perfezione l’immagine del proprio pensiero.

Quando Šuker sembra ringraziare tutto lo stadio per aver compreso la bellezza di quei frangenti, l’esultanza lascia il posto al tributo. L’applauso saluta l’ennesimo capolavoro di un calciatore abituato a quel genere di giocate. Anche se, in fondo, a certe cose non ci si abitua mai, per fortuna.