Era Dubai e non la Cina. Era dicembre e non luglio. Era il malmesso Milan di Inzaghi, e non quello reduce dalla faraonica campagna acquisti alla quale stiamo assistendo, destinata, in un modo o nell’altro, a cambiare la storia del calciomercato, almeno per quel che riguarda la Serie A.

Di fronte c’era sempre, però, Carlo Ancelotti. Da avversario. E anche allora fu un poker: 4-2 sul Real Madrid campione d’Europa: privo, vero, di Casillas, Pepe, Kroos, James Rodriguez, Bale e Benzema. Ma quel poker di fine anno sul Maestro di sempre sembrava legittimare, molto più di una classifica fin lì ballerina e un cammino incerto e poco continuo in campionato, velleità e speranze per il futuro del Milan di Superpippo.

I mesi successivi raccontarono un’altra storia: le difficoltà, le vecchia amnesie, la ormai cronica mancanza di continuità, fino all’epilogo fuori dall’Europa.

Due Milan distanti, nel tempo e nella percezione di sè e delle proprie potenzialità, ma accomunati da un risultato sorprendente oltre ogni previsione, in amichevole, certo, ma contro un avversario capace con il solo nome di rinverdire fascino e nostalgia per le sfide passate che (quelle sì) contavano qualcosa.

Ma quel 4-2 targato Menez, El Shaarawy per due volte e Pazzini, ha molto da insegnare in relazione al recente 4-0 del Milan di Montella alla seconda uscita cinese contro il Bayern, subito dopo i primi rimbrotti a seguito del ko contro il Borussia Dortmund. Eccessivi, quei rimbrotti. Eccessiva, forse, al credibilità che si rischia di dare a questo pur lusinghiero 4-0 sui campioni di Germania e su Ancelotti.

Quel 4-2 deve insegnare, certo. Ma allo stesso tempo, e con la stessa cautela, vanno considerati i segnali incoraggianti che il successo contro il Bayern può offrire ai rossoneri, molto più che il risultato in sè. Il primo: la tenuta difensiva. Perché 90 minuti possono essere lunghissimi, anche in amichevole, anche a luglio, contro Lewandowski e soci. E il Milan, dopo gli affanni con il Borussia, ha tenuto, ben prima dell’ingresso di Bonucci, al suo esordio in rossonero, sul 4-0. Il secondo: il clima. Si spifferava, forse avventatamente, di un impatto probabilmente “energico”, non esclusivamente in senso positivo, del nuovo regista difensivo: la fascia, il numero di maglia, e via discorrendo. Prima che si profilassero casi credibili o meno, Kessié s’è preso il 79, e Bonaventura, all’ingresso in campo del difensore azzurro, s’è tenuto la fascia, su invito del diretto interessato. Terzo: il gioco sulle fasce. Per ora, agli albori della stagione, le palle partite dal piede di Ricardo Rodriguez verso l’area di rigore sono roba di una portata che in rossonero non si vedeva da un po’. Nei giorni dell’addio di De Sciglio, destinazione Juventus, il segnale può essere significativo, quanto a suo modo rappresentare il segno della stagione che verrà.

Un poker non fa primavera, ma i milanisti lo sanno. Interpretarne, con il giusto peso tra entusiasmi e cautela, i segnali, può essere la chiave che distingue un precampionato da semplice intrattenimento (e incasso) in giro per il mondo, da un precampionato base (preziosissima) di un progetto che attira fascino e curiosità.