Qualche anno fa, quasi cinque, il calcio italiano venne scosso da un caso che richiamava molti elementi dell’attuale terremoto Donnarumma.

Se lo ricorderanno i tifosi interisti: Wesley Sneijder, nel 2012, in prossimità della scadenza del suo contratto tentenna lanciando chiari segnali di rifiuto nei confronti della dirigenza nerazzurra.

In quel caso Branca, Stramaccioni e Moratti, non lasciando adito ad alcun dubbio, anche grazie alle illuminanti e poco avvedute dichiarazioni pubbliche, concordemente indispettiti, relegarono il gioiello olandese ai margini della rosa, intimandolo a firmare il contratto per riottenere il ruolo da titolare.

In quell’episodio venne analizzata la pericolosità di tali affermazioni evidenziando quanto il comportamento dell’allora dirigenza nerazzurra avesse i connotati tipici del mobbing

In questi ultimi giorni la dirigenza rossonera non è stata da meno. Vien da pensare che l’aria milanese stuzzichi particolarmente.

Sia il Presidente Li Yonghong, che la dirigenza fresca di nomina, hanno accostato il mancato rinnovo del contratto da parte del giovane portiere ad una inevitabile permanenza in tribuna o, addirittura, ad una regressione nella Primavera di Gattuso.

In pochi giorni le parole sono state tante, a volte anche troppe. Forse bisognerebbe invitare tutti i protagonisti a placare gli animi perché per scivolare nelle sabbie mobili delle minacce basta veramente poco.

In disparte da valutazioni meramente soggettive, sul se Gigio abbia fatto bene o meno a rifiutare il rinnovo contrattuale, quel che ci si chiede è se la dirigenza rossonera possa realmente adottare tali metodologie intimidatorie e se possa, concretamente, decidere di porre Donnarumma fuori rosa a scopo punitivo.

Cosa è il mobbing? Il termine deriva dal verbo inglese “to mob” che letteralmente significa “attaccare in branco, assalire, accerchiare”.

Una forma di “terrorismo psicologico” che viene esercitata sul posto di lavoro, il cui scopo è piegare la volontà del malcapitato agli obiettivi dei vertici.

Il mobbing si sviluppa in più fasi la prima delle quali si manifesta nel quotidiano quando, all'improvviso, vi è un brusco cambiamento in negativo delle relazioni interpersonali precedentemente neutre o positive. L'ultima fase si concretizza con l’esclusione dal mondo del lavoro della vittima o il suo demansionamento.


Nel caso specifico Gigio Donnarumma, da perno inamovibile e simbolo del rinnovamento generazionale del Milan, dal momento del rifiuto del rinnovo contrattuale, a sentir parlare i vertici rossoneri, diventerà assiduo frequentatore della tribuna di San Siro.

È ben noto che, seppur l’ordinamento sportivo sia autonomo e settoriale, esso deve pur sempre rispettare le norme imposte dallo Stato in quanto ordinamento sovraordinato.

Gli articoli 2087 e 2103 del Codice civile impongono al datore di lavoro di “adottare, nell'esercizio dell’impresa, tutte le misure che siano necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del lavoratore”.

Il diritto alla dignità del lavoratore è un bene la cui tutela, sia come interesse soggettivo che della collettività, assume rilievo costituzionale (artt. 32 e 41).

I regolamenti interni della F.I.G.C. così come gli accordi collettivi e le norme F.I.F.A. impongono che le società “assicurino a ciascun tesserato lo svolgimento dell’attività sportiva con l’osservanza dei limiti e dei criteri previsti dalle norme vigenti”.


La storia ci ha insegnato come lo sport professionistico sostenga strenuamente la libertà contrattuale. Dalla Sentenza Bossman in poi, a scadenza di contratto, l’atleta è libero di decidere se rinnovarlo oppure scegliere di vincolarsi presso un’altra squadra liberandosi dal precedente legame senza alcun tipo di strascico.

Tuttavia non sono stati pochi i casi in cui, al fine di non perdere il calciatore a parametro zero, molte società siano ricorse a forme di violenze psicologiche al fine di imporre il rinnovo contrattuale. Sneijder e, più in là nel tempo, Pandev sono solo alcuni esempi.

Tuttavia, come detto, per comprendere se sia possibile parlare di mobbing bisognerà verificare se sono presenti i seguenti caratteri:

1) ripetizione e/o reiterazione delle azioni ostili per un relativo ampio arco di tempo;

2) vessazione psicologica ricollegabile al mancato rinnovo del contratto che si concretizzi in un vero e proprio allontanamento;

3) si presenti come frutto di una strategia societaria, non necessariamente espressa dal proprietario ma anche, semplicemente, dal direttore sportivo o l’allenatore.

Finora, ad esclusione di Montella, tutta la dirigenza rossonera si è espressa abbastanza chiaramente. Bisognerà solo vedere quanto si protrarranno tali comportamenti nell'arco del prossimo campionato.

Ma scendendo ancora più nel particolare, una società ha il diritto di porre fuori rosa un suo tesserato per motivi non attinenti alle prestazioni sportive?

Una fondamentale sentenza della Corte Suprema di Cassazione (n. 8438 del 2005) ha affermato che, porre fuori rosa un atleta può determinare nello stesso una forma di disagio psicologico e fisico con conseguente lesione di un diritto rientrante nella nozione di danno biologico ed esistenziale. L’ostacolo posto all'atleta può anche determinare la perdita di una concreta “chance” futura di lavoro atteso che l’atleta, in rotta con la società, non ha la possibilità di dimostrare le proprie qualità accattivando le attenzioni di altre società o semplicemente della nazionale.

Il talento cristallino di Gigio Donnarumma è ormai punto fermo della nazionale e obiettivo di tutti i più grandi top clubs

Tale condotta viola anche l’art. 2 della Costituzione, in quanto la pratica sportiva rientra senza dubbio tra i diritti inviolabili dell’uomo. L’art. 3 della Cost. sancisce il principio secondo il quale ogni atleta ha il diritto di vedersi riconosciuta una uguaglianza sostanziale nell'esercizio della attività sportiva da parte della società di appartenenza.

L’art. 1 della L. 91/1981 sul professionismo sportivo ci ricorda che: “l’esercizio dell’attività sportiva, sia essa in forma professionistica o dilettantistica, deve essere libera e deve essere garantita dalla società di appartenenza”. Peraltro, in casi di tale tipo, l’articolo 12 dell’accordo collettivo riconosce al calciatore il diritto ad una duplice tutela, il risarcimento del danno e/o la risoluzione contrattuale e non bisogna sottovalutare che se dovessero essere ravvisate ipotesi di infrazioni di carattere disciplinare, gli atti di indagine verranno trasmessi alla Procura Federale con tutte le eventuali conseguenze, in termini di sanzioni, per la società coinvolta.

Il diritto di praticare liberamente ed incondizionatamente l’attività sportiva non ammette lesioni per nessuna ragione.  

A volte gli alti vertici del calcio moderno dimenticano che acquistare un calciatore non significa acquistarne anche la dignità. Non sarebbe male stimolare, anche a livello federale finora totalmente assente, un maggiore rispetto della libertà contrattuale di tutte le parti in gioco le cui logiche siano condivisibili o meno.


Avv. Cristian Zambrini (www.studiolegalezambrini.it)