Riassumendo, il closing si farà. O, quantomeno, dovrebbe farsi: già, perché nonostante una nuova - seppur non totale - caparra sia stata fatta pervenire a Fininvest, non è ancora detto che il Milan a breve diventi dei cinesi. Anzi, di SES. Anzi, di Yonghong Li, che è rimasto sostanzialmente da solo a costruirsi la scalata ad una delle società dalla storia più fulgide della storia del calcio. Che, a breve, sarà - oddio, anche qui un condizionale ci starebbe bene - nelle mani di tal 'Rossoneri sport investment lux', una neonata offshore con sede in Lussemburgo. Già, perché il governo cinese, che sembrava essere in forze alle spalle della cordata che inizialmente doveva rilevare il Diavolo, non solo s'è tirato indietro, ma ha anche barricato le proprie frontiere all'esportazione di grossi capitali, anche se da investire in ambiti (come il calcio) in cui la direzione è già stata intrapresa. E convintamente. Allora appuntamento al 14 aprile, sempre a meno che non sopravvenga un altro, l'ennesimo, rinvio. Che a quel punto sposterebbe l'eventuale chiusura a stagione finita, quando i nuovi compratori peraltro già sapranno se il Milan sarà o meno ancora una volta disimpegnato dall'Europa. Non che questo possa andare a influire in qualche modo sulla trattativa, per carità. Anzi. Berlusconi ha già garantito che la futura proprietà dovrà investire, se vorrà subentrare. Un qualcosa in cui, ad oggi, in tutta onestà, si fa fatica a credere: ma queste, ovviamente, sono pure sensazioni. Quel che è dato sapere, ad oggi, semmai è la composizione della nascitura società, che in qualche misura contiene un mini-collegio di garanzia. Anzitutto a partire dallo stesso Berlusconi, che sembra davvero, adesso, dopo aver inizialmente titubato, poter accettare l'incarico di Presidente onorario, con Li presumibilmente vicepresidente esecutivo e, come previsto, Fassone AD e Mirabelli DS. Il consiglio di amministrazione, a sua volta, sarà per circa metà composto da italiani: basterà tutto questo a dar vita a una società forte sul mercato, coesa in fase decisionale e organica in quanto a lavoro dirigenziale?

Perché in fondo in fondo sono queste le vere domande che si pongono, legittimamente, i tifosi. Ai quali, fondamentalmente, non importa se al vertice c'è il Cav o mister Li. Quello che conta, per coloro ai quali il cuore pulsa ancora forte per il Diavolo che tanti fremiti di gloria ha regalato loro, è che il Milan torni ad essere il Milan. Che torni nel suo habitat naturale, la Champions League, e che lo faccia con continuità. Che i propri rappresentanti lavorino sul mercato non per sperare di confermare i (pochi) campioni ancora rimasti in rosa, ma per portarne degli altri, e di anno in anno. Il tutto a partire da Donnarumma e De Sciglio, che tra 11 mesi saranno liberi di lasciare Milano a costo zero. Già, perché la rispettiva voglia di rinnovare è praticamente nulla, diciamola tutta. Non perché nei rispettivi cuori non alberghi una fede rossonera viscerale, ma più che altro perché entrambi sanno di avere ancora dinanzi a sé una carriera lunga e potenzialmente prestigiosa, che però giustamente vorrebbero provare a investire in una squadra capace di sfruttarla per vincere trofei importanti. Una prospettiva che ad oggi in casa Milan oggettivamente è pura chimera, e che fa ancora più male vedere così lontana, mentre contestualmente dall'altra parte del Naviglio si vede - anche con una punta di non palesata invidia - una società pronta e solida mettere in piedi quella che già tra pochi mesi potrebbe essere una squadra da scudetto. Un'Inter già formata da una parte, ed un Milan che ancora deve nascere dall'altra. Forse è questo che fa soffrire i tifosi, che ovviamente non possono chiudere gli occhi, e vedere che una delle due società rivali decide chi prendere, tra Manolas e de Vrij, e l'altra si ritrova a non poter permettersi neanche il rinnovo di Donnarumma, rischiando così di perdere il portiere potenzialmente migliore del prossimo ventennio. L'effetto domino, d'altra parte, è dietro l'angolo: se domani Gigio (o per meglio dire, chi per lui), non convinto dai primi mesi della nuova proprietà, deciderà di abbandonare la causa, potrebbero iniziare a seguirlo a ruota anche i vari Romagnoli, Suso, De Sciglio, Locatelli e chissà chi altri. Tutti ragazzi che sono più o meno corteggiati dalle big d'Europa ma che preferirebbero rimanere per rifare del Milan una big d'Europa. Non servirebbe poi tantissimo, d'altro canto: prendere un centrale che sia in grado di guidare Romagnoli (e farlo crescere), un terzino che possa spingere davvero (e non per finta, come Abate e lo stesso De Sciglio), un regista in grado di dare il cambio a Locatelli e consentirgli di maturare, una mezzala che faccia da raccordo, un bomber dalle caratteristiche diverse da Bacca e magari confermare i vari Bonaventura, Suso e Deulofeu che da soli ed al meglio sarebbero i complementi offensivi ideali di qualsiasi 4-3-3, 4-4-2 o 4-2-3-1. Per mettere in piedi un numero di aggiustamenti simili, l'Inter ci metterà un biennio, 4 sessioni di mercato, ed almeno 150 milioni di euro al netto dei proventi delle cessioni. Lo stesso periodo di tempo (e somma di denaro) che servirebbe a questo Milan per riportarsi sul livello delle migliori, quantomeno in Italia. Ma che continua a rimandarsi, all'infinito, con ostinatezza e provocando disaffezione. Due anni non sono un lasso di tempo sconfinato, ma neanche volano: se anche stavolta, ed entro fine aprile, non si riuscirà a far partire il countdown, le cose inizieranno ad essere davvero complicate. E le varie puntatine in giro per il mondo di Mirabelli, più che delle attività di scouting, inizieranno ad assumere i contorni di scanzonate gite alla 'Emigratis'. E che Galliani debba tornare a fare quello che ha fatto dal 2012 in poi: ovvero, delle attività di mero, immotivato, difficile e inutile, recupero di parametri zero e sperato rilancio di bidoni e simil-tali. Ed anche questo, a suo modo, rischierebbe di diventare grottesco e insulso. A maggior ragione mentre l'Inter torna grande.