Due finali fotocopia. Stesso andamento, stessi rigori, stesso vincitore. Sono i primi anni ’80 quando la Roma e il Torino si contendono la Coppa Italia in due edizioni consecutive. Quella del 1979\80 e quella del 1980\81 vedono entrambe le finali disputate dalla romana giallorossa e dalla torinese granata. Due grandi squadre che rimanderanno anche a qualche anno dopo rivalse e rivincite.

La Roma a cavallo tra i due decenni ’70 e ’80 è la Lupa dell’amato e discusso Dino Viola e di Luciano Moggi alla direzione sportiva. Quell’annata vede esordire Carlo Ancelotti con la maglia giallorossa. La spina dorsale della squadra che presto sarà pronta per il suo scudetto è, in parte, già formata. Santarini, Turone, Di Bartolomei e Pruzzo compongono la linea centrale verticale, che in quegli anni sviluppa l’impianto tattico partendo dal libero staccato e finendo alla punta centrale. Sono gli anni nei quali il calcio italiano sta andando incontro alla sua rivoluzione. La storia sta per registrare i grandi scandali legati alle scommesse clandestine, all’ingresso degli stranieri, ai cambiamenti del mercato e a tante altre sollecitazioni che di lì a poco svilupperanno un modello di calcio capace di dare opportunità vincenti anche a squadre rimaste troppo a lungo a guardare i trionfi delle principali compagini settentrionali.

Il Toro, invece, oltre ad affermarsi tra le migliori squadre italiane (chiuderà il campionato al terzo posto), conserva la struttura e la verve metalmeccanica tutto grinta e personalità che hanno sempre caratterizzato la sua storia calcistica. Calciatori come Pecci e Graziani, simboli granata di quegli anni, sono l’essenza del futbol nazionale, un calcio forgiato tra la sostanza operaia e la compattezza tattica di provata tradizione.

La finale di Coppa Italia del 1980 si gioca nel doppio confronto andata e ritorno. La formula attuale della finale unica non è ancora nemmeno contemplata. All’Olimpico, dopo 210 minuti complessivi, tra la gara di Torino e quella di Roma, il trofeo sarà assegnato dopo i calci di rigore. Dopo la chance vittoria capitata al penalty di Pecci, fallito tra le braccia del portiere giallorosso, si prosegue a oltranza.

La serie dei tiri dagli undici metri, come spesso si conviene a chi fallisce l’occasione decisiva, inverte il suo esito iniziale e consegna la coppa alla squadra capitolina. Sarà l’inizio dei successi della Roma di Dino Viola, ma pure del suo epilogo amarissimo della finale di Coppa dei Campioni persa proprio ai rigori, proprio all’Olimpico, con il Liverpool di Rush.

La stagione successiva vede la Roma diventare ancora più competitiva. Viola non risparmia polemiche e provocazioni a chi, a suo dire, non vorrebbe la Roma in alto. Il presidente giallorosso gioca su più fronti, grazie al suo carisma mediatico e alle sue abili manovre di mercato. A Roma arriva Falcao, l’uomo che con un organico già di primissimo livello consentirà ai capitolini di tagliare traguardi importanti.

Il campionato 80\81 è quello del goal di Turone, quello delle proteste sui presunti favoritismi arbitrali alla Juventus e di uno scudetto, per la Roma, sfumato a causa di uno tra i goal più discussi del calcio italiano. Eppure, la sorte vuole che la squadra di Nils Liedholm ritrovi entusiasmi e appagamenti ancora una volta in Coppa Italia. La finale del 1981 è un replay dell’edizione precedente. Ancora una volta giallorossi e granata a contendersi il trofeo nazionale. Il Toro di Ettore Rabitti prima e, subentrato a stagione in corso, di Romano Cazzaniga poi, come straniero ha acquistato Michel van de Korput, conservando, di fatto, la struttura dell’annata precedente più qualche giovane talento in ingresso. Su tutti il terzino Giovanni Francini, fluidificante sinistro che farà le fortune anche del Napoli.

La Roma arriva in finale dopo aver eliminato proprio la Juventus in semifinale, concedendosi, così, una rivincita rispetto alla contesa tricolore. Il Torino in semifinale ha avuto ragione del Bologna dopo i tempi supplementari. Le due gare della finale si concludono con lo stesso punteggio. 1-1 andata e ritorno. Si ritorna ai supplementari e poi ancora ai calci di rigore. Stavolta l’ultimo atto si gioca a Torino e i granata hanno l’opportunità di rifarsi davanti alla tifoseria granata. Il dischetto, però, tradisce i due uomini punta dei padroni di casa. Pecci, che aveva sbagliato anche nella finale dell’anno prima, e Graziani falliscono il penalty e Falcao realizza quello decisivo. Per il secondo anno consecutivo la Roma conquista la Coppa Italia e per l’ennesima volta il Torino deve accettare una sconfitta determinata dalla lotteria dei rigori, dopo essere anche passato in vantaggio nei tempi regolamentari della partita di ritorno.

Dodici anni dopo, quando la sorte mette una davanti all’altra in una finale di Coppa Italia, Roma e Torino non sono le stesse squadre di quel periodo. Dino Viola non c’è più. Con lui è andato via quel calcio a cui lui stesso aveva fortemente contribuito, se ne sono andate le polemiche sul goal di Turone, sulla finale di Coppa dei Campioni, sullo "scandalo Vautrot", sul Dundee e di lì a poco sarebbe andato via anche Agostino Di Bartolomei, lo storico capitano giallorosso proprio della Roma di Viola.

Il Torino, invece, allenato da Emiliano Mondonico, non ha smarrito la strada della sua identità, sfoggiando un organico di ottimo livello, caratterizzato dalla presenza di Mussi, Scifo, Aguilera, Casagrande, Silenzi e altri calciatori di provata efficacia. Prima di ritrovarsi in finale, Roma e Torino eliminano rispettivamente Milan e Juventus in semifinale. La doppia gara, stavolta, non sarà risolta ai calci di rigore. Al contrario, una goleada condita da due grandi partite registra il 5-5 finale per cui, grazie alla regola dei goal segnati in trasferta, consente ai granata di conquistare la coppa e di ottenere la tanto desiderata rivincita. Al Delle Alpi il Toro si impone per 3-0. All’Olimpico, tuttavia, la Roma tenta l’impresa della clamorosa rimonta, portandosi sul 5-2. Il Toro, però, resiste agli assalti giallorossi difendendo il prezioso pari che, grazie ai due goal segnati a Roma, gli permette di alzare il trofeo.

Stavolta, nessun errore dal dischetto condanna il Toro, mentre i ben tre (tutti trasformati da Giannini) assegnati nella gara di ritorno ai padroni di casa non sono sufficienti per ribaltare il punteggio dell’andata. Il calcio di rigore è un’opportunità relativa. Tre possono valere niente e uno può valere tutto. Roma e Torino lo sanno bene.