"Quando entrai per la prima volta nello spogliatoio del Napoli notai subito un diffuso silenzio. La sensazione era quella di una mancanza di entusiasmo, lo percepivi anche in allenamento. Nel nostro lavoro, è un valore importante: quando una squadra si diverte, fa anche risultato. Se è triste, si applica e perde"

Maurizio Sarri

Dries Mertens, nella sua migliore stagione, segnò 21 gol. Si trattava della Eredivisie 2011-2012, campionato in cui il suo PSV riuscì a segnare addirittura 87 gol: giocava costantemente esterno sinistro alto, il folletto di Leuven, che dopo una seconda stagione altrettanto prolifica (16 gol) venne precettato da Bigon, che spese poco meno di 10 milioni per portarlo al Napoli. Quest'anno, in un ruolo non propriamente suo, il belga si prepara a superare ogni suo record personale: gli mancano solo 5 centri - ed a queste medie, li realizzerà entro fine febbraio - per raggiungere il suo personale primato in carriera, e prepararsi quindi, di fatto, ad una stagione da leader assoluto e indiscusso in una squadra che ha dovuto fare a meno prima di Higuain (ma ci arriveremo) e poi di Milik. Il suo nuovo ruolo, ovviamente, è un'assoluta invenzione di Maurizio Sarri.

La migliore annata in carriera di Marek Hamsik, invece, è la 2009-2010. Era ancora un ragazzino, lo slovacco dalla cresta ultra-curata, ed in panchina per gli azzurri c'era Walter Mazzarri, che inscenava l'ormai storico 3-5-2 che, con il numero 17 in campo, di fatto si sbilanciava a sinistra. Già, perché l'intermedio posto tra il regista (Gargano) e l'esterno mancino (Zuniga) era proprio lui, con totale libertà di svincolarsi dalla linea lunga ed affiancarsi a Lavezzi giusto alle spalle di Quagliarella. Nessuno, in quella rosa, segnò più di Marekiaro: 12 gol in campionato. Tantissimi, per un centrocampista che iniziò da lì in poi ad alterare sostanzialmente anche gli equilibri fantacalcistici, divenendo il leader non solo tecnico di rose e fantarose per anni. Sino all'avvento di Benitez, che lo spostò a ridosso del centravanti (con le spalle spesso rivolte alla porta), e poi di quello di Sarri, che lo ha saggiamente riportato a fare l'interno sinistro. Un ruolo che, se adeguatamente coperto dai compagni, gli consente di fatto di partire dalla distanza e di presentarsi al tiro, quasi sempre a giro, con nonchalance ed efficacia. E di segnare 9 gol in 23 partite: e, proprio come Mertens, di coltivare più che legittime ambizioni di superare ogni proprio primato stagionale. Anche in questo caso, per buona parte grazie alle proprie innate, ed arcinote qualità. Ma anche per via delle solite, raffinate scelte di Maurizio Sarri, capace di mettere in piedi una squadra che viaggia all'impressionante media di 2.4 gol a partita. E senza Gonzalo Higuain.

Già, Higuain. Quello capace di raddoppiare (da 18 a 36) il suo score stagionale nel passaggio da Benitez a, indovinate un po', Sarri. Quello che poi, a fine stagione, è andato via per 90 milioni di euro, facendo arrabbiare il tecnico toscano "come quando lo fa un figlio, che sbraneresti, ma che resta comunque tuo figlio". Quello del patto di ferro col Pipita, in grado di mettere in piedi, nel giro di 18 mesi, il gioco più avvolgente ed offensivo d'Italia, in una squadra pur orfana del suo miglior giocatore e del suo sostituto designato. Odiato da Gabbiadini ed El Kaddouri, sì, che non giocavano, ma perché oggettivamente entrambi facevano fatica ad adattarsi alle poche sfumature d'un'idea di calcio fondata solo sulla difesa a 4 e sull'attacco a tre: uno dietro due, due dietro uno, tre in linea, poco cambia. In ogni caso il calcio che Sarri, comunque e dovunque, riesce a disegnare - anche in caso di sconfitta - è piacevole e moderno. In alcuni frangenti incute addirittura timore, ai suoi avversari, letale com'è nelle sue folte pieghe di possesso. E ne hanno ben donde.

"A volte le cose sono proprio come sembrano, ecco tutto."

'Pulp. Una storia del XX secolo' (1994), una delle opere più amate da Maurizio Sarri. Mentre Charles Bukowski la scrisse, Sarri allenava il Cavriglia in Promozione

Non sono solo i risultati a fare l'allenatore. Se così fosse, non sarebbe questo spazio - oltre a tutti quelli sparsi tra web, TV e giornali - ad esser interamente dedicato ad un 58enne che in carniere, sinora, ha portato solo un campionato di Eccellenza Toscana ed una Coppa Italia di Serie D. La verità è che non tutti i tecnici, in carriera, nel bene e nel male hanno ciò che si meriterebbero: alcuni, anche per via dei campioni che gli si mettono a disposizione, vincono molto di più di quanto riuscirebbero a vincere, se i trofei fossero aggiudicati solo in base al valore tattico delle proprie squadre. L'altro esempio lampante, ad oggi, sta seduto sulla panchina dell'altra squadra azzurra più amata: la Nazionale, che è riuscita a svecchiarsi, in quanto a facce e gioco, con un mister che a sua volta ha vinto solo in Promozione, Interregionale e nell'allora Serie C1. Ma che, mattone dopo mattone, sta costruendo un'Italia quasi in grado di auto-rifondarsi, pur provenendo da un ciclo tutt'altro che misero. Il contratto di Gian Piero Ventura con la Federazione scadrà dopo i Mondiali 2018: tra un anno e mezzo, ossia quando sapremo l'esito della nostra spedizione russa, e Tavecchio deciderà se rinnovare o meno la fiducia all'attuale CT. Nella ovvia speranza che le cose possano andare al meglio, serve però anche iniziare a prepararsi un piano di riserva: prima o poi, giustamente, toccherà anche ad Ancelotti, ma in attesa che Carletto termini il suo infinito ciclo vincente in giro per l'Europa, e decida di dedicarsi in toto alla Nazionale a cui già ha dato tanto, non sarebbe male iniziare ad immaginarsi anche il buon Sarri, su quella panchina. Maestro silenzioso di calcio, fermo nelle sue decisioni, e soprattutto capace di dare continuità alla spettacolarità di gioco che Ventura, in questi mesi, sta iniziando ad instillare nei nostri ragazzi. Se lo merita lui, per una carriera intera passata in periferia, e solo alle porte dei 60 rivolta verso la Champions League; se lo merita il Napoli, che sinora in Nazionale non ha mai avuto una rappresentanza tecnica proporzionale al valore della squadra; se lo merita la Federazione, che deve garantire degli standard elevatissimi, pur dovendo rispettare dei vincoli economici da far rispettare; se lo meritano gli italiani, che pur non tifando Napoli non possono non essere invidiosi di quanto di bello vedono fare, ai ragazzi del tecnico di Figline, tutte le settimane. Perché questo Napoli gioca, semplicemente, il miglior calcio d'Italia. Non servirebbe nemmeno scriverci su, per legittimarlo. Perchè "a volte le cose sono proprio come sembrano. Ecco tutto."