Riprendiamo, per il Memento di questa settimana, la rassegna interna alla rubrica dedicata ai simboli del calcio nella storia del cinema.

Se lo stadio è il tempio in cui il calcio professa la sua religione, la storia e il cinema non hanno saputo farne a meno per trasformarlo in un luogo simbolo dell’utilità, sia politica che narrativa. In Missing, lo “Scomparso” di Costa-Gavras, Ed Horman, interpretato da Jack Lemmon, cerca suo figlio, dapprima poco persuaso dall’idea che qualcosa di grave gli sia successo, e, poi, convinto anche dalle perplessità di Beth, sua nuora, capisce che suo figlio Charles sia stato drammaticamente coinvolto nei fatti del golpe in Cile, il sanguinario colpo di stato che nel 1973 mutila una nazione intera, pur di affermare un potere politico di matrice militare e di direzione estera, a danno della socialismo democraticamente eletto e rappresentato da Salvador Allende

È proprio nel celebre Estadio Nacional di Santiago del Cile, trasformato in un campo di concentramento in cui vengono condotti i prigionieri politici di Pinochet, che Charles trova la morte, sepolto in una delle mura dell’impianto. Ed e Beth, così lascia intendere l’appendice finale del film, potranno ricevere le spoglie di Charles soltanto molti mesi dopo e solo in seguito a un congruo compenso.

La pellicola di Gavras, datata 1982, è un viaggio negli orrori e nelle inquietudini di una delle pagine più vergognose della storia sudamericana del Novecento. È in una delle scene ambientate nello stadio di Santiago che il protagonista Ed, insieme a Beth, accompagnato da autorità statunitensi, verifica coi suoi occhi gli effetti della mano criminale di un regime dittatoriale spietato e privo di ogni senso morale.

Ancora oggi, lo Stadio Nazionale del Cile si porta dentro i segni e i fantasmi di un momento indimenticabile. Il cinema, ovviamente, non avrebbe potuto rinunciare, in questa e altre produzioni (da ricordare anche il documentario Estadio Nacional), all’opportunità di raccontarlo. “Charles Horman from Santiago” è l’ultima frase scritta sulla cassa in cui è rinchiuso quel che resta di uno dei tanti ragazzi vittime della giunta cilena.

Avviene, invece, in maniera immediatamente rivelata l’uccisione si Simon Broome dentro quel che rimane dello stadio della capitale del Matobo, nome d’invenzione di un paese africano governato da un dittatore, Zuwanie, anch’egli battezzato per l’occasione dal regista Sydney Pollack nel film The interpreter, produzione del 2005 che ha come protagonisti principali Nicole Kidman e Sean Penn. Anche se i nomi del film sono d’invenzione, i riferimenti alla dittatura di Robert Mugabe in Zimbabwe sono evidenti. I tempi descritti, i simboli adottati, alcune vicende narrate e molto altro riconducono alla figura di uno tra i più celebri tiranni africani, a suo tempo inviso alla parte anglosassone del mondo occidentale.

La narrazione cinematografica, che non poche polemiche ha dovuto affrontare, si apre con l’uccisione di Simon, fratello della protagonista, Silvia, e componente del contingente ribelle che vuole opporsi ai soprusi di Zuwanie. L’assassinio, per mano di un ragazzino, avviene in uno stadio, luogo in cui Simon viene attratto in una trappola tesagli dal regime locale. Da quel momento, di fatto, s’innesca l’intera vicenda che condurrà il dittatore davanti a una resa dei conti col mondo intero, fino alle Nazioni Unite.

Un altro episodio di questo tipo, raccontato dal cinema, avviene, invece, ne Le quattro giornate di Napoli, diretto da Nanni Loy nel 1956 e ispirato al libro di Aldo De Jaco. La storia, che descrive la resistenza napoletana durante la seconda guerra mondiale fino alla cacciata dei tedeschi, compie una struggente panoramica sulle vite di alcuni dei protagonisti di quei momenti, scelti in rappresentanza narrativa di un popolo passato alla storia per essere stato il primo in Europa a scacciare l’invasore nazista. Una delle scene più drammatiche del film è ambientata in quello che storicamente dovrebbe essere l'impianto "Arturo Collana", lo stadio del Vomero, a Napoli (in realtà la scena è stata girata al vecchio stadio “Arechi” di Salerno). In questo filmato è possibile ascoltare una testimonianza proprio sui momenti rievocati nel film di Loy.

Qui, Arnaldo Valente (interpretato da Enzo Turco), fascista per convenienza, sotto gli occhi della moglie e di tante altre mogli in pena per la sorte dei loro mariti, viene giustiziato all’ingresso dello stadio come monito a chi cerca di sfuggire alla repressione tedesca. L’esecuzione, però, scatena la reazione rabbiosa dei napoletani, tramite un conflitto a fuoco che dà inizio alle ostilità. Il “sacrificio” di Arnaldo serve a impartire una lezione di prudenza tanto alla fazione più “calda” della rivolta, quanto a dare coraggio a quella più timorosa. Alle spalle, uno stadio. Anche stavolta, il cinema. Anche stavolta, un luogo del calcio, il luogo principe, il tempio, ad accorgersi della storia perché la storia si è accorto di esso.