“Sono un grande appassionato di basket, e lo ero molto di più qualche anno fa. Gioco molto spettacolare con ritmo, intensità e tanta tattica. Se si riesce a portare qualcosa dal basket al calcio? Qualcosina senz’altro, basta pensare ai blocchi su palla inattiva, ma è inevitabile che un campo di basket sia più facile da coprire per le sue dimensioni, in un campo da calcio ci sono più spazi da coprire e non ci sono altrettante pause. Qualcosina sì, ma la cosa importante è vedere quanta applicazione e concentrazione i giocatori mettano in ogni azione e questo si dovrebbe riproporre anche nel calcio”

La scorsa estate, quando ho visto arrivare, sulla sponda nerazzurra di Milano, nell'ordine, Banega, Ansaldi, Joao Mario, Candreva e Gabigol, per la prima volta ho iniziato a pensare bene della nuova proprietà cinese dell'Inter. Che non solo era riuscita a far fronte alle sirene del Napoli per Icardi, ma aveva peraltro definito una campagna estiva di primissimo piano, riuscendo contestualmente a sfoltire parte dei pesi morti in rosa (Ljajic, Telles, Juan Jesus, Dodò, Erkin) che ne appesantivano la struttura. Un processo che sta peraltro continuando in questa parentesi invernale, e che sta riuscendo, via via, a rendere più fluido e omogeneo l'organico: un processo che è sempre stato storicamente ostile, alla storia delle Beneamata. Che in ogni caso, però, il solito errore 'da Inter' l'aveva commesso a fine estate: quel divorzio in panchina, rumoroso, giunto a campionato quasi iniziato, sembrava ricalcare alla perfezione tragicomici film nerazzurri già visti. Triti e ritriti. Parte del plot dei quelli, peraltro, narravano l'avvento ex abrupto d'un tecnico nuovo, tanto affascinante quanto poco avvezzo ad un calcio che non può essere di tutti, come quello italiano. Il passaggio da Mancini a de Boer, difatti, è stato traumatico quanto il percorso dell'olandese. Incapace di capire - gli altri, oltre alla Serie A - ma soprattutto di farsi capire: una condizione negativa di partenza che lo stesso Eder, non certo un protagonista assoluto, nel post partita di ieri ha sottolineato santificando l'operato del suo erede.

"Con lui è cambiato tanto, forse è la prima volta che vedo un gruppo così compatto. Pioli è riuscito a far bene con tutti, si comporta con chi gioca di più come con chi gioca meno. Prima vedevo che quelli che giocavano di meno magari si lamentavano, ora no"

Perché Pioli, fiero ed arguto conoscitore del nostro pallone, effettivamente ci ha messo pochissimo a capire che l'unica cosa che serviva a questa squadra era la normalizzazione, non solo tattica. Ha scelto un modulo, l'ha perseguito, ha definito gli interpreti (e con essi anche le alternative, e tra queste evidentemente non c'è e non ci sarà Gabigol: ma questa è un'altra storia) e inquadrato gli esuberi. Ovvero, ha fatto tutto ciò che un manager, chiamato in corsa a salvare una squadra dalle potenzialità importanti dal baratro, deve riuscire a fare. Ed in tempi, ovviamente, brevissimi. D'altra parte, 6 vittorie in 8 partite di campionato sono esattamente ciò che il potenziale di questa squadra può esprimere: la rosa è ampia e competitiva, prevede ricambi di lusso e solo in determinati ruoli - i terzini, ad esempio - le carenze sono evidenti. Ciò che fa la differenza, però, è ciò che l'Inter di Pioli riesce a esprimere dalla cintola in su: quando anche dietro ci si lascia andare ad un momento d'oblio - vedi il gol di Pellissier -, arriva un secondo tempo fenomenale del proprio attacco a metterci una pezza. E quando si va sul mercato a prendere, seppur a peso d'oro, un prospetto eccezionale (oltre che italiano) come Gagliardini per sostituire l'inutile Felipe Melo, allora significa davvero che la strada intrapresa è quella giusta. La scelta fatta per completare il centrocampo è stata tanto onerosa quanto azzeccata: nel futuro prossimo, però, servirà applicare lo stesso metodo anche alla risoluzione delle falle difensive, visto che davanti i problemi sono solo di abbondanza. Nessuno, d'altra parte, in Serie A, può contare contemporaneamente su due ali pure, nel fiore della maturazione e degli anni, come Perisic e Candreva, e su un centravanti letale come Icardi. Se proprio si vuole andare a fare le pulci al 4-2-3-1 di Pioli, in realtà, bisognerebbe andare a sezionare il modulo, e ad analizzare il ruolo migliore per Joao Mario e Banega, che una sana massimizzazione delle risorse vorrebbe in campo contemporaneamente. Un processo che, però, andrebbe ad arrestare il pieno recupero di Kondogbia ed il lancio dello stesso Gagliardini, e che quindi il tecnico fa bene a non forzare. A fine stagione, d'altra parte, probabilmente l'argentino lascerà il passo: ma se il suo erede verrà scelto con la stessa lungimiranza con cui è stato scelto quello di Felipe Melo, davvero con pochi rimpianti. E se, in estate, verrà anche preso una degna di riserva di Icardi, e riassettato il reparto arretrato, allora a quel punto sì che si potranno dare prospettive di gloria ad un progetto che, a questo punto, mira solo ad essere completato.

Non è ancora chiaro, ovviamente, dove potrà arrivare l'Inter di Pioli. Roma e Napoli - data per scontata la presenza della Juventus - sono ad oggi le candidate più solide alla qualificazione in Champions, ma è vero anche che, al termine del girone d'andata, i gap tra le pretendenti sono esili e facilmente colmabili attraverso passi falsi altrui, e soprattutto scontri diretti: ovvero, situazioni limite nelle quali la stessa Inter deve iniziare a imparare a imporsi. Un passaggio che sarà fondamentale anche per consolidare la posizione dello stesso Pioli, che coerenza e buon senso vorrebbero confermato, quantomeno a parole, già da adesso, di modo da consolidarne la posizione anche agli occhi della squadra. Che, in qualche misura, sa che nel futuro suo e della tifoseria c'è l'aura magica d'un certo Simeone che aleggia, imperiosa: il Cholo prima o poi tornerà a Milano - e difficilmente sulla sponda rossonera. Prima di lui, però, quel poco di italiano che è rimasto nella reggenza ha scelto Pioli, ed ha fatto bene. Se anche a giugno Tronchetti, Gardini e Ausilio riusciranno a far confermare il tecnico parmense, allora le cose potrebbero ripartire da una base tecnico-tattica già applicata e conosciuta, seppur meno esotica e fascinosa, rispetto a quella che potrebbe portare Simeone. La cui attesa, paradossalmente, potrebbe essere più redditizia dell'avvento. E non per le scarse potenzialità dell'argentino in Italia, tutt'altro: ma perché ciò che sinora Pioli ha fatto all'Inter - compreso l'averle regalato una nuova anima, più che mai convinta e combattiva - è da ritenersi unico e raro. Quasi quanto il Cholo.