La storia aveva già messo a dura prova il Torino, e nella maniera più drammatica possibile, prima di concedergli l’occasione della prima finale europea, guadagnata, contro ogni pronostico, e da neopromossa in serie A due stagioni prima, a discapito della più grande del continente, quel Real protagonista di sempre, di ogni tempo, di ogni competizione.

Il Real Madrid della stagione 1991\1992 conserva ancora l’impianto formato da Butragueño, Michel e il discusso Francisco Buyo tra i pali, che pochi anni prima aveva eliminato il Napoli di Maradona ai sedicesimi di Coppa dei Campioni e poi le aveva sonoramente prese dal Milan di Arrigo Sacchi nell’annata successiva. Il “Caballero blanco” mette soggezione, come tutta la Casa blanca al gran completo. Robert Prosine?ki, assente nella gara di ritorno, e il grande Hagi compongono una guida raffinata a una manovra temutissima, ordinata, nelle retrovie, da un giovane e già esperto Fernando Hierro.

In quella edizione della Coppa UEFA il Toro, che, oltre a Marchegiani, Enzo Scifo, Gianluigi Lentini e il bomber Walter Casagrande, ha in formazione proprio l’ex madrilista Martin Vazquez, parte tra gli sfavori del pronostico, facendosi strada attraverso un percorso che riserva ai granata avversari ostici ma “possibili”, grazie a un sorteggio che in alcuni turni si rivela benevolo. L’impronunciabile compagine islandese del Knattspyrnufélag Reykjavíkur, i portoghesi del Boavista (che avevano eliminato l’Inter al primo turno), i greci dell’AEK Atene e i sorprendenti danesi del Boldklubben 1903 valgono l’ingresso alle semifinali, in cui, sorte decide, il Toro dovrà vedersela con i favoriti, insieme all’Ajax che in semifinale batterà la Genova rossoblu, del Real Madrid. 

Fino alla riforma delle competizioni UEFA, alla creazione della Champions League e dell’Europa League, la Coppa UEFA è stata una competizione parificabile, per difficoltà e prestigio, alla stessa Coppa dei Campioni, visto il livello altissimo di formazioni partecipanti, in ogni edizione. Spesso, di fatto, il tabellone del “Portaombrelli” ha addirittura presentato profili di maggiore difficoltà rispetto alla stessa "Coppa dalle grandi orecchie”. Trovare due o tre spagnole di altissima classifica, altrettante tedesche, italiane, francesi, russe, portoghesi e inglesi (tranne nel periodo di esclusione di queste ultime, a causa della squalifica decennale dopo i tragici fatti d Bruxelles della finale tra Liverpool e Juventus) significava dover fronteggiare edizioni che, a leggerle oggi, sembrano un’anteprima dell’attuale Champions League.

Per la gara di andata, al Santiago Bernabeu, il Toro di Mondonico rispolvera il suo antico e tragico blasone cogliendo di sorpresa i padroni di casa. Una papera di Buyo, su cross velenoso di Roberto Policano, consente a Casagrande di segnare il goal del vantaggio granata. Quando le porte della finale sembrano spalancarsi a vantaggio del Torino, il Real si accorge di se stesso e, in pochi minuti, ribalta il risultato grazie a un gran goal di Hagi e a un imperioso colpo di testa di Fernando Hierro, destinato a diventare uno dei grandi protagonisti della storia madrilista. 

Dopo aver digerito la lezione, gli uomini di Emiliano Mondonico si presentano molto più concentrati al cospetto dei propri tifosi, nel nuovo Delle Alpi. Storicamente, il Real Madrid ha sempre sofferto le trasferte italiane. Non mancano le lezioni di calcio impartite agli spagnoli dalle squadre tricolori. Nel passato più recente (rispetto agli anni ’80), Inter e Milan ne sono un esempio. Pochi minuti dopo l’avvio, un’autorete di Ricardo Rocha consente al Torino di portarsi in vantaggio. Ai padroni di casa basta anche l’uno a zero per qualificarsi. Al Toro, però, questo risultato non sembra bastare. Gli undici granata, approfittando di alcune assenze importanti in casa Real, impediscono agli ospiti di imporre il proprio gioco. Nella ripresa, poi, i torinesi, grazie a un inserimento a sorpresa di Luca Fusi dalle retrovie, trovano il raddoppio che ipoteca la qualificazione in finale. Il Real è eliminato e il Toro trova la tanto prima sospirata finale europea, persa, però, immeritatamente, con i lanceri dell’Ajax, allenati da Louis van Gaal, senza essere sconfitti, ma solo grazie alla regola dei goal in trasferta. Una doppia finale amara e indimenticabile, quasi quanto la doppia gloriosa, stoica semifinale contro il grande Real.