Ogni generazione di ragazzini ha i suoi gesti, movimenti, smorfie e scimmiottamenti vari, con provenienza gli eroi del pallone. Al parco, sul campetto, sull'asfalto della strada di casa, rincorrendo un Super Santos si immaginava, si immagina, e si immaginerà, di essere in uno stadio, acclamati dalla folla, con le maglie firmate e le scarpe coi tacchetti, con un telecronista a raccontare le eroiche gesta sportive (spesso, riprodotto dalla voce di chi aveva, ha, avrà, la palla tra i piedi). Ogni generazione di ragazzini ha i suoi: gesti, movimenti, smorfie e scimmiottamenti vari. Negli anni novanta ci si alzava il colletto prima di calciare, come Cantona in uno spot che ha fatto storia; quando si segnava, si mimava la mitraglietta come Batistuta o ci si alzava la maglia in testa come Ravanelli; i rigori si calciavano senza rincorsa, come Beppe Signori; quelli che al sabato sera guardavano la Liga su TeleMonteCarlo si baciavano anelli che non c'erano, a ricordare Raul. Nell'estate del '98, nell'elenco entrò con prepotenza e amarezza un nuovo gesto: se il pallone usciva fuori, non importa se di un centimetro o tre metri, si guadavano i compagni e si faceva segno con gli indici, dieci centimetri che ballavano in aria: è uscito fuori tanto così. Come Baggio contro la Francia.

Qualche settimana prima di quel giorno, Cesare Maldini rese nota la lista dei convocati al Mondiale francese: c'erano Pagliuca, Toldo e Buffon, tre generazioni di portieri; c'erano Bergomi, Maldini, Cannavaro e Nesta, Albertini, Di Biagio e Di Livio, Del Piero, Vieri e Inzaghi. E c'era lui, Roberto Baggio. Uno che, quattro anni prima, aveva vissuto uno dei momenti più bruti della sua carriera, quel rigore buttato al cielo di Pasadena che aveva dato la Coppa del Mondo al Brasile strappandola dalle mani dell'Italia. Un'Italia che si era riguadagnato con il sudore e con i gol, perché da quel giorno americano aveva cambiato maglia tre volte, prima sbattendo la porta alla Juventus, poi giocando in un brutto Milan, e quindi rimettendosi in gioco a Bologna, dove aveva giocato un campionato indimenticabile, segnato 22 volte, e convinto il ct che, sì, su di lui si poteva ancora contare. Ma Maldini padre mise subito le cose in chiaro: il titolare si chiama Alex Del Piero. Baggio accettò, lasciando la 10 alla stella della Juventus, prendendosi una più umile 18 e partendo per l'avventura francese con una delle nazionali italiane più forti che si ricordino. 

Nonostante le premesse, Baggio gioca da titolare la prima gara, contro il Cile: Del Piero è infortunato, le chiavi della fantasia sono nelle mani del divin (anche senza) codino. E lui sfrutta l'occasione come meglio non potrebbe: gioca una partita fantastica, sta benissimo fisicamente e mentalmente. Regala a Vieri un assist di prima da applausi per il gol dell'1-0, poi una doppietta di Salas ribalta la situazione e lui la rimette in pareggio con intelligenza e malizia: si procura un rigore facendo rimbalzare il pallone sulla mano di Fuentes, e poi va a calciarlo, quattro anni dopo Pasadena: la piazza, Tapia intuisce ma non ci arriva: 2-2 e incantesimo rotto. 

Pochi giorni e si torna in campo, contro il Camerun. Finisce 3-0, Baggio parte dal primo minuto ma nel secondo tempo Maldini da il via all'ovvia staffetta: fuori il 18, dentro il 10. Staffetta che si ripete nell'ultima gara del girone, stavolta a parti invertite: fuori il 10, dentro il 18. Che in pochi minuti duetta con Inzaghi e segna il secondo gol del suo mondiale. Una staffetta che divide l'Italia, come tutte quelle a cui ci ha abituato la storia della nazionale, da Rivera-Mazzola in avanti. E preludendo a quella fra Del Piero e Totti degli anni successivi. Il fantasista juventino, però, non sembra in grandissima forma. E lo dimostra anche nel quarto di finale decisivo, contro la Francia. Zidane inventa, Del Piero meno. E Maldini, ancora una volta, chiama il cambio: fuori il 10, dentro il 18. I tanti italiani che sono a Saint Denis applaudono alla scelta. Baggio da più brio all'Italia, ma non basta: si va ai supplementari, e c'è il golden gol: chi segna, vince. Roberto va vicino a un golden gol veramente d'oro: lancio di Albertini, lui si inserisce alle spalle di Desailly e colpisce al volo, di destro, coordinandosi perfettamente, colpendo la palla di collo, una precisione perfetta, forse esagerata, perché il pallone esce fuori di un niente. Anni dopo, ricordando l'episodio, Baggio dirà che magari, colpendo peggio, avrebbe segnato. Non lo sappiamo, né possiamo saperlo. Quello che sappiamo è che si andò ai rigori, che Albertini e Di Biagio sbagliarono, che l'Italia uscì dai mondiali. Quello che sappiamo, da quel giorno, è la misura esatta di un rimpianto.

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