In occasione del #Baggio50, e visti anche i 40 anni di Totti ed il possibile ritiro di Cassano, ho voluto ammodernare un vecchio editoriale del 2013 all'occasione. Probabilmente non potevano essercene di migliori.  

  “Penso che non tutti si siano resi conto di quanto abbia faticato nel corso della mia carriera”  

Sapete cos'hanno in comune Baggio, Del Piero, Totti e Cassano? Solo tre cose.

1) Sono tutti e quattro italiani.

2) Sono stati, tutti, grandi calciatori.

3) Hanno vestito, seppur in epoche diverse, e più o meno a lungo, e con più o meno successo, la casacca numero 10 della Nazionale. Stop.

A parte ciò, ognuno di loro ebbe, ha ed avrà, per il resto dei tempi, una storia e sé. Ma sta di fatto che saranno loro quattro i fantasisti del ventennio a cavallo del giubileo di cui racconteremo ai nostri figli.

Da Baggio a Cassano (footballshirtmaker)

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Chiunque abbia avuto il privilegio di vivere la loro epoca calcistica, questa epoca calcistica, in ogni caso avrà un suo preferito. Alcuni suoi pregiudizi, delle riflessioni maturate nel corso della propria vita, legate anche al modo con cui si sono vissuti determinati eventi. I 20-25enni di oggi, ad esempio, saranno legati in maniera fisiologica - ed anche, forse, un po', filosofica - a Totti e Del Piero. Perché in qualche misura sono stati loro a contendersi per una vita il ruolo epicentrico in azzurro, ed allo stesso modo se lo sono divisi durante la marcia trionfale di Germania, che molti giovani hanno inevitabilmente a riferimento sportivo emozionale per eccellenza. Anche perché, per dirne una, nel '94 erano troppo piccoli (o non erano ancora nati) per godere d'una cavalcata altrettanto emotivamente sconvolgente, che però dagli undici metri ebbe un esito completamente diverso. Ma non per questo meno romantica, piacevole, ed, a suo modo, epica.

Poi ci sarà il preferito di tutti, che farà gara a sé. Perché fu trascinatore, stella cometa, simbolo e commossa rappresentazione di un popolo intero, 23 anni fa, negli USA, ed oggi compie mezzo secolo. Si chiama Roberto Baggio, e di lui, in questa storia, non parleremo, se non per la tangente. Un po' per non scomodarlo dall'Olimpo del calcio in cui risiede sin da quel triste 16 maggio 2004; un po' perché, a prescindere dalla fazione cui si appartenga, anche un minimo sputo d'oggettività sarebbe sufficiente a considerarlo il migliore dei migliori, ed a prescindere. Perché Roberto, oltre che le epoche, ha cavalcato anche le squadre. Le ha fatte sue, in tutta Italia, lasciando dovunque, e comunque, un ricordo gastronomicamente metaforizzabile al latte materno. Antico, dolcissimo, irrecuperabile una volta che se n'è potuto godere: talmente piacevole da formare il gusto stesso della vita e per la vita che, sui campi verdi, diventa gusto del pallone. Un' enorme tetta alla quale s'è abbeverata mezza Italia.

L'altra mezza stava lì, a poche centinaia di chilometri, o davanti a un televisore, a goderne di rimando, anche vagamente invidiosa. Il tutto mentre lui, Roberto, la mamma - fors'anche manna - del calcio, saltava di fiore in fiore a irrorare i ruvidi palati. Tutti lo hanno rimpianto, e nessuno ha inveito contro di lui, quand'anche le circostanze e gli uomini che contribuivano ai suoi trasferimenti facevano sì che, in media ogni triennio, cambiasse squadra.

Esattamente l'opposto di quanto accade, tuttora, ad Antonio Cassano. Con qualche rimpianto, quello sì, disseminato qua e là, ma più che altro per lui: non per la squadra che lasciava. Per il suo talento lasciato intorpidire per anni all'ombra del lato oscuro del suo carattere: fumantino, iracondo, protagonista, al limite egoista. Una carriera buttata al vento, dicono in tanti; una carriera comunque da ricordare, continuo a sostenere io. Anzi, forse sarà anche di lui che narreremo le gesta ai posteri, tanto come esempio da non perseguire per approccio mentale allo sport professionistico, quanto come fulgido e folle talento, nella cui storia la sregolatezza ha sempre fatto uno-due col genio. A differenza di Totti e Del Piero, lui - il ribelle furioso che venne cacciato, giocoforza, prima da Roma, poi da Madrid, Genova, Milano I e II ed ora ancora Genova - delle pillole di bellezza le ha regalate un po' dovunque, per l'una e l'altra fazione. Senza riuscire a legarsi a nulla, se non a sé stesso, e senza riuscire a farsi voler bene da nessuno, se non da sé stesso. E' proprio per questo che, vedrete, sarà di lui che alla fine si parlerà.

Meno di Francesco o di Alex, parimenti amati dai loro sostenitori e osteggiati dai rivali: perché Cassano ha fatto poco, ma per tanti; mentre Totti e Del Piero tantissimo, ma per pochi.E nessuno di loro, a differenza del divino, ha saputo, in azzurro, fare anche solo un decimo di quanto dimostrato nelle squadre di club.

Non che le loro carriere siano minimamente paragonabili, per carità: per vittorie, professionalità, rendimento, continuità ed affidabilità, Totti e Del Piero hanno saputo dimostrare ben altro. Ma con medesime carature tecniche di fondo, ed è questa la discriminante fondamentale, che pone lui, il pazzo di Bari vecchia, alla pari di questi altri due pezzi di storia nostrana del calcio, seppur solo per capacità e "sulla carta", come dicono quelli bravi. E' per questo motivo che parleremo, in futuro, di Antonio Cassano almeno quanto lo faremo di Del Piero e di Totti. Storie, vite, caratteri e carriere profondamente diversi nella forma, seppur eguali nella loro sostanza di campioni. Non di fuoriclasse, però. Per quello c'è un nome solo. E non è nato né a Bari, né a Conegliano, né tanto meno a Roma.

Si dice che la differenza stia nel fatto che, mentre il campione, quando ti aspetti faccia una cosa, ne fa una seconda, il fuoriclasse, invece, ne inventa una terza. Anche da questo punto di vista Antonio Cassano resterà sempre un 'semplice' campione. Perché quando andò all'Inter tutti pensavano che ci sarebbe rimasto poco. Ma non così poco: ecco perché, andando via dopo solo un anno, ha fatto - solo - la seconda cosa che c'aspettavamo. La terza, forse, sarebbe stata restarci. E non sarebbe bastata comunque. Baggio, invece, non essendo né un campione né un fuoriclasse, ma uno di quelli che cambiano il Mondo, è passato direttamente alla quarta: ovvero è andato via da tutto e da tutti, ed è contemporaneamente restato, nel cuore di tutto e di tutti. Oggi non è semplicemente il genetliaco di Roberto, ma è la festa della mamma e del papà: perché lui, che oggi fa 50, oltre che essere la mamma del nostro calcio è anche il papà dei vari Del Piero, Totti e Cassano.

Come recita un vecchio proverbio zen, nella vita bisogna riuscire davvero a fare solo tre cose: fare un figlio, scrivere un libro, piantare un albero.

Roby di figli ne ha fatti 3 nella vita e almeno 3 nel calcio. E sono coloro che hanno ereditato il suo #10 in azzurro. 

Di libri ne ha scritto uno, lungo e memorabile quanto la Bibbia: e non mi riferisco ad "Una porta nel cielo".

Ed alberi, infine, ne ha piantati a migliaia. Tutte le volte che ha preso un pallone tra i piedi. Dai quali continua a sgorgare florido l'ossigeno che ci serve a respirare emozioni, e dalla cui materia si è prodotta la carta necessaria a scrivere la Bibbia calcistica di cui sopra.

Auguri, Roby.