Parlarne tanto, informare in modo parziale e sempre con un certo distacco snobistico, soprattutto da parte italiana. Questo sta succedendo negli ultimi anni al calcio in Cina e al suo massimo campionato, la Chinese Super League, la quale riesce ad accendere su di sè tutta l'attenzione di appassionati e addetti ai lavori solo durante le sessioni di calciomercato, con offerte a calciatori di livello, per certi versi molto difficili da rifiutare. Eppure la crescita - voluta in prima istanza dallo Stato - prosegue con costanza, al pari degli investimenti, sia interni che in Europa. Certo: non sarà semplice creare una cultura del pallone in un paese dove dominano i campi da basket e latitano quelli in erba. Tuttavia, gli obiettivi che si è imposta la Nazione circa lo sviluppo dell'industria sportiva - e quindi non solo calcistica - sono ben chiari e ambiziosi. 

Per parlare di questo fenomeno, i suoi effetti e le opportunità da cogliere, Fantagazzetta ha interpellato Nicholas Gineprini, autore di "Blog Calcio Cina" e del libro - il primo in Italia in materia - "Il sogno cinese", edito da "Urbone Publishing". 

Innanzitutto, le basi: "La Chinese Super League - spiega Gineprini - conta 16 squadre, che si affrontano in una partita di andata e una di ritorno, per un totale di 30 match. Perchè così pochi club? La diffusione della disciplina è ancora limitata e soprattutto recente. Il professionismo è arrivato solo nel '94. Dieci anni più tardi è stata varata una riforma a seguito degli scandali legati a combine". 

Questi i club partecipanti alla massima serie: 

  • Beijing Guoan
  • Changchun Yatai
  • Chongqing Lifan
  • Guangzhou Ever
  • Guangzhou R&F 
  • H. Greentown 
  • Hebei CFFC 
  • Henan Jianye 
  • Jiangsu Suning 
  • Liaoning (Fushun)
  • Shandong Luneng
  • Shanghai Shenhua 
  • Shanghai Dongya
  • Shijiazhuang Yong
  • Tianjin Teda
  • Yanbian Funde
La crescita del movimento calcistico è stata promossa in prima istanza dallo Stato (Getty)

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Qual è la reale competitività della Chinese Super League?
“È un campionato che sta crescendo abbastanza e così la sua competitività. Le partite sono più piacevoli, soprattutto quelle giocate dalle squadre di vertice e che contano su allenatori di livello. Su tutte, il Guangzhou Evergrande di Scolari. Calando il tasso tecnico, diminuisce naturalmente anche l'organizzazione di gioco. È possibile individuare il modulo più utilizzato, anzi, ce ne sono due: il 433 e il 4231. Tuttavia si sta sempre più utilizzando la difesa a tre. In generale le compagini giocano aperte ma se il divario tecnico è grande, si nota bene la differenza tra chi il gioco lo impone e chi lo subisce”.

Cosa c'è dietro lo sviluppo degli ultimi anni? Quale l'approccio migliore a questo fenomeno?
“Forte è stata la volontà governativa di sviluppare il movimento. Nel 2015, infatti, c'è stata una riforma statale dell'educazione fisica e il calcio si è fatto strumento di politica "soft power" anche per quanto riguarda gli investimenti all'estero. Non a caso molte acquisizioni hanno a che fare con la politica, basti vedere le società acquistate nelle West Midlands, post “Brexit”: lì i nuovi proprietari hanno anche investito in numerose opere infrastrutturali. Ed è questa la differenza che passa tra gli investitori arabi – che limitano il loro operato al club - e quelli cinesi. In ogni modo il calcio è anche un mezzo per raggiungere un obiettivo che si è fissato il governo: nel 2025 l'intera industria sportiva deve arrivare a valere 750 miliardi di dollari.

Per quanto riguarda l'approccio al fenomeno, in Italia è un problema e il nostro Paese ne risente anche dentro i confini cinesi. La Serie A è infatti all'ultimo posto come interesse e così accade nei social e nelle tv. D'altronde questo è spiegato anche dal drastico calo degli investimenti italiani in Cina. Ecco perché il fenomeno va visto come un'opportunità per creare nuovi rapporti bilaterali tra i due Paesi, che iniziano dal calcio e approdano in tutt'altri settori merceologici. Questo succede già in Germania, dove i club tedeschi in Cina vanno per la maggiore, ma è un discorso che vale anche per Inghilterra e Spagna”.

Zhang Jindong, a capo della holding Suning e proprietario al 68,55% dell'Inter (Getty)

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Una cartina tornasole della crescita del calcio cinese è stata il calciomercato, che tanto ha stupito noi europei: vediamo cifre folli. Chi sono di solito i presidenti di una squadra di calcio?
“C'è da premettere che molte cifre sono state gonfiate da molte testate. Di Tevez è stato detto che sarebbe andato a guadagnare 40 milioni l'anno ma quello è il costo totale dell'operazione. Sembra che con lo sbattere numeri folli in prima pagina, si voglia aumentare l'astio. La Cina non ha alterato il mercato, basti pensare allo United e i suoi 50 milioni di euro per Martial. Gli investitori si sono semplicemente introdotti in un mercato già malato. Quanto ai presidenti, ci sono squadre multi proprietà spesso, anche statali. Ad esempio il Guangzhou Evergrande è di un fondo immobiliare ma al 40% è di Jack Ma, fondatore di Alibaba Group. Lo Shangai SIPG dove gioca Oscar invece, è di maggioranza statale mentre l'Hebei dove milita Lavezzi è interamente di proprietà dello Stato. Curioso come la Fifa non ammetta l'ingerenza del governo nella Federazione e negli affari calcistici. Tuttavia, ad esempio, va ricordato come lo stesso organo di Zurigo viva all'interno – e non solo – vari conflitti d'interessi. Uno dei suoi sponsor, la cinese "Dalian Wanda" che ha acquistato "Infront", detiene il 20% dell'Atletico Madrid.

Per quanto riguarda nello specifico il calciomercato, sono state cambiate in corsa le regole per il tesseramento degli stranieri. Il numero massimo è 5 e prima non era possibile schierarne più di 4, di cui uno obbligatoriamente asiatico. Adesso quest'ultimo obbligo è caduto, ma solo 3 possono scendere in campo. Una restrizione avvenuta nel pieno della sessione di mercato e si tratta di un provvedimento statale atto a ridimensionare gli investimenti affinché le società rimangano in attivo. Il rischio della bolla speculativa è dietro l'angolo e la misura presa rientra nel processo nazionale “new normal” che coinvolge tutti i settori dell'economia cinese”. 

Trump incontra jack Ma, fondatore di Alibaba Group e proprietario al 40% del Guangzhou Evergrande (Getty)

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A proposito di restrizioni, è curiosa quella dell'impossibilità di tesserare portieri stranieri...
"Sì ma c'è sempre stata e serve a preservare il talento locale. Molti sono invece i preparatori stranieri: per loro non c'è alcuna chiusura".

Andare a giocare in Cina solo per soldi, come si è detto di Oscar e molti altri. E' un concetto plausibile, sufficiente a spiegare una decisione simile?
“Oggettivamente rinunciare alle offerte delle società cinesi è molto dura anche se ti trovi in una posizione privilegiata. Inoltre la qualità della vita in una città futuristica come Shanghai, ad esempio, è alta. Una delle missioni del governo cinese è quello di raddoppiare il numero dei nuclei familiari della classe media, passare dai 100 milioni nel 2015 ai 200 nel 2025. Non stupiscano le scelte di Oscar e soci: sì hanno a che fare con i soldi ma anche con un'immedesimazione nel futuro”.

Quali misure stanno invece prendendo la Federazione e lo Stato sul calcio giovanile?
“Vuole introdurre il calcio nei programmi di educazione fisica ed entro il 2020 portare a 20mila il numero delle scuole calcio. In Cina si trovano moltissimi campi da basket ma pochi di calcio. Non c'è ancora una vera cultura calcistica e non sarà semplice crearla a partire dai bambini. I loro programmi scolastici sono molto rigidi e una volta terminate le lezioni, i genitori vogliono tassativamente che i figli studino. In questo contesto l'attività calcistica fa fatica a ritagliarsi uno spazio”.

Quale l'influenza dei campioni in questo campionato negli ultimi anni? Servono concretamente alla crescita del movimento o fanno solo audience?
“C'è chi ha dato un grande contributo al movimento, come Dario Conca, Goulart al Guangzhou Evergrande o lo stesso Paulinho, talmente ben inserito da cantare l'inno nazionale. La differenza la fa comunque anche il contesto: perché allenarsi tra cinesi e guidati da un allenatore cinese, è diverso dall'essere dentro una squadra con molti stranieri, tecnico compreso”.

Puoi descrivere un tifoso cinese? Che affluenza di pubblico c'è negli stadi?
"Numericamente, con 24mila presenze di media negli impianti, l'affluenza è la quinta al mondo. Ci sono aree, non quelle periferiche, dove il calcio sta crescendo: a Shanghai e a Guangzhou si respira calcio. La rivalità più accesa e che si sente molto sugli spalti, è quella tra lo Shanghai Shenua di Tevez e lo Jiangsu Sunin".

Chi il giocatore più rappresentativo e popolare cinese e non?
Wu Lei dello Shanghai SIPG è tecnicamente molto forte, ha grandi colpi. Come lui anche Gao Lin del Guangzhou Evergrande. Tra i giovani, da segnalare Ang Li dello Jiangsu Suning, centrale difensivo di 22 anni. Tra gli stranieri, oltre al già citato Dario Conta, c'è il brasiliano Elkeson, che ha segnato in entrambe le finali di Champions, vinte dal Guanzhou Evergrande. Uno dei giocatori più popolari resta comunque Darko Matic che per anni ha giocato nel Beijing Sinobo Guoan”.