Il Milan che sta per passare di mano - almeno così sembrerebbe, a meno di altre, clamorose novità - è reduce sì da una Supercoppa italiana vinta contro la strafavorita, ma anche da un 7°, un 8° e un decimo posto. Poco, troppo poco, per una squadra che nonostante ormai da 4 anni metta insieme un organico giusto da metà superiore della classifica, continua a sbandierare a inizio stagione più meno legittime ambizioni europee. Europee, ben inteso, nel senso più prestigioso del termine. Tradotto, per chi non avesse ancora compreso, prova a puntare sempre alla Champions. Giusto, legittimo, quasi doveroso: perché la Champions è l'habitat naturale di una squadra che, quella Coppa, ce l'ha nel DNA. Ed anche quando non era in grado di sostenere il suo cammino coi mezzi tecnici a cui ha abituato avversari e tifosi, ha comunque dimostrato di poterci benissimo stare. Parliamo, però, di una (piccola) epoca fa, quando in squadra c'erano ancora alcune delle stelle dell'Euro-corazzata che fu, che nonostante l'età avanzata riuscivano, con personalità, a sopperire al gap atletico che inevitabilmente li separava dagli altri.

Oggi, però, tutto è cambiato. Di stelle nel Milan attuale non ce n'è nemmeno una, al netto di Donnarumma che però deve ancora lavorare per costruirsi un futuro che potenzialmente potrebbe esser radioso almeno quanto quello del suo quasi omonimo Gigi Buffon, che oggi scavalca le 39 primavere, e lo fa con una prestazione ancora una volta stellare, contro il Sassuolo. Nel Milan attuale, però, ci sono diversi buoni giocatori, questo sì. Tutti, peraltro, portati probabilmente ai massimi del loro potenziale da un tecnico che a sua volta non è un maestro di calcio né tantomeno un santone della panchina: ma, semplicemente, un buon allenatore. Peraltro giovane, come la sua squadra, e quindi ancora coi suoi limiti ed i suoi margini di miglioramento. Margini che in questa fase, con il Milan tornato in settima posizione - ovvero, più o meno dove il valore della rosa andrebbe a collocarsi, se la Serie A si giocasse a Football Manager - , deve necessariamente trasformare in migliorie. Perché perdere nuovamente, dopo un filotto negativo come quello infilato da metà dicembre a oggi, e farlo contro l'Udinese che già aveva punito i rossoneri a San Siro, non può non produrre un cambio di rotta: pena il ritorno immediato nel purgatorio della parte bassa della prima metà di classifica. Oggi quasi un lusso, visto che le dirette concorrenti del Milan (Torino, Fiorentina, Atalanta e Lazio) non hanno vinto: un dato più che statistico emozionale, che lascia ancor più una sensazione di amarezza e di incompiutezza, dopo questa destabilizzante 22a di campionato.

5 punti in 6 partite, ad una media inferiore addirittura a quella dell'Empoli quartultimo (che viaggia a poco meno di un punto a gara), oggi strapazzato in quel di Crotone da una squadra che sembra l'unica, in zona inferi, a volerci provare sino alla fine, non per mezzi tecnici (Palermo e Pescara le sarebbero anche superiori) ma per ferrea volontà e coesione dello spogliatoio. Il dato del Milan, però, è oggettivamente preoccupante, a maggior ragione se si considera che parliamo di una squadra che per buona parte del girone d'andata ha iniziato a credere fortemente nel terzo posto, e che ha consolidato questa sua - ed anche nostra, non nascondiamoci dietro a un dito - convinzione battendo per ben due volte la Juventus. Anzi, una Juventus, visto che la Signora, nel frattempo, è cambiata. E per merito di Allegri, che solo in pochissimi rimpiangono in quel di Milano e che ancora oggi, nonostante la continuità e risultati, in molti inspiegabilmente non vorrebbero a Torino. Ha spiazzato tutti, qualche tempo fa, il tecnico bianconero, quando è andato a schierare contemporaneamente tutte le armi offensive a sua disposizione. Di fatto da un paio di settimane a questa parte la Juventus in panchina ha un solo cambio, dalla cintola in su: Pjaca, che per adattamento al nostro calcio e impurità tattiche, un po' come Gabigol, viene ancora evidentemente ritenuto non pronto. Per il resto, tutti dentro. Pjanic a fare il regista nei due davanti alla difesa (e chi l'avrebbe mai detto); Cuadrado riproposto nel suo ruolo preferito, ovvero da ala destra; Dybala sulla trequarti, libero di svariare e colpire; Higuain davanti, a fare quello che sa far meglio, imbeccato da tre bocche da fuoco che hanno l'assist nel sangue. Poi c'è lui. L'uomo dai mille polmoni, dalle mille risorse e soprattutto dai mille ruoli: Mario Mandzukic, ovvero l'indispensabile. Tanto in fase di possesso quanto in quella di non possesso Allegri si è reso conto di quanto sia indispensabile il croato. Che superati abbondantemente i 30 anni, si è adattato in una zona di campo non propriamente sua, interpretando l'incarico affidatogli dal tecnico - esterno sinistro alto, con libertà di tagliare dentro, ma anche obbligo di tornare e spingere sulla corsia di competenza - in maniera semplicemente magistrale. I suoi movimenti già da qualche mese andrebbero studiati analiticamente, e mostrati ai più indisciplinati dei cursori. E' lui l'uomo ovunque della Juventus: quello, per intenderci, che abbassandosi sulla linea dei centrocampisti ripristina il 4-4-2 che ogni allenatore moderno utilizza come modulo di base, intorno al quale esprimere le sue personali variazioni sul tema. E senza di lui, probabilmente, il 4-2-3-1 che Allegri ha straordinariamente messo in piedi ed in campo non reggerebbe in alcun modo. E' lui, per intenderci, il Bonaventura della Juventus, che come il suo alter ego croato è l'unico della squadra rossonera a interpretare, e sempre in maniera eccellente, 2 o 3 ruoli contemporaneamente, garantendo un equilibrio costante che poi si traduce, visto anche il bagaglio tecnico di entrambi, anche in gol e assist di pregevole fattura e notevole importanza. Ed è proprio sul suo jolly, in gol anche al Friuli, che Montella, prendendo spunto da Allegri, dovrebbe puntare per rifondare tatticamente una squadra che, a questo punto della stagione, ha evidente bisogno di un riammodernamento. Oltre che, come dicevamo all'inizio di queste considerazioni, d'un cambio di rotta.

Lo ha spiegato lo stesso mister livornese, dopo la stupenda vittoria del Mapei, parlando di necessità di "svegliare" i suoi ragazzi, perché la sua squadra era diventata troppo "conservatrice". E di come il cambiamento, spesso, porti entusiasmo. Parole cardini, che anche Montella dovrebbe far proprie per provare a dar nuova linfa ai suoi, visto che negli ultimi tempi la squadra non solo ha perso la lucidità di Locatelli, ma anche la freschezza di Lapadula (tornato nel dimenticatoio), le folate di Suso, la concretezza di Romagnoli e la forma dei suoi interni (Pasalic, Bertolacci, Kucka, fate voi). Un processo che in teoria potrebbe anche innescarsi in maniera fisiologica con l'inserimento di Ocampos e Deulofeu, ma che potrebbe esser utile anche governare tatticamente. Magari passando a quel 4-4-2, fratello prossimo del 4-2-3-1, che riconsegnerebbe sì gravosi compiti di copertura a Suso e Bonaventura, ma che andrebbe anche teoricamente a spostare gli stessi Ocampos e Deulofeu davanti, con Bacca, che a sua volta potrebbe giovare anche dell'affiancamento di Lapadula. Uno che peraltro già in passato ha mostrato di poter coesistere eccome con il suo compagno di reparto. Oltre, ovviamente, a non rendere necessario il ritorno sul mercato per prendere il famoso centrocampista che il tecnico aveva chiesto a dicembre: a quel punto a contendersi le due maglie di centrocampo sarebbero in 4 (in attesa di Montolivo), e non avendo più alcuna competizione da giocare i calciatori attualmente presenti in rosa sarebbero più che sufficienti. E, magari, anche a consentire un minimo di turnazione per il giovanissimo Locatelli, che da quando ha preso il posto del suo capitano infortunato, di fatto non ha mai saltato una partita, e che inevitabilmente ora inizia a soffrire un po' della responsabilità di cui è stato improvvisamente investito. E che, non essendo Pirlo, non può sopportare senza mostrare alcuni piccoli e randomici cenni di cedimento.

Nel prossimo turno il Milan tornerà a giocare in casa, e lo farà contro una Sampdoria che pur vedendo brillare, davanti, le sue stelline Schick e Muriel, in difesa ha notevolissime carenze, non solo numeriche (la coperta dietro è cortissima) ma anche qualitative. Provare nuovamente a imporre il proprio gioco, con un modulo ancor più spregiudicato, e che riesca in qualche misura a spiazzare gli avversari come già fatto dalla Juventus, potrebbe essere la mossa giusta. Obiettivo, tornare a prendere le redini della partita sin da subito, senza il bisogno di aspettare la ripresa, e si è sotto di quegli 1-2 gol che non tutte le squadre sono disposte a farsi rimontare. Le grandi squadre - ed il Milan, pur non essendo una grande, aspira a tornare ad esserlo - sono sì capaci di soffrire fino alla fine, ed agguantare il risultato con cinismo e determinazione, ma anche di imporsi fin dall'inizio, senza rischiare nulla e dominando in lungo e in largo, soprattutto con chi è loro inferiore. Ad oggi non sono tante le squadre inferiori al Milan, ma è soprattutto con queste squadre che Montella deve iniziare il suo percorso di crescita. Ha i ragazzi, le idee, ed a breve anche una società in grado di supportarlo. E, soprattutto, ha un Bonaventura che vale quanto un Mandzukic. Un'occasione da non sprecare.