Da che mondo è mondo, e nonostante in molti vogliano farlo apparire diversamente, il calcio - almeno quello che vediamo, sul rettangolo verde, e per 90' - è un gioco semplicissimo.

L'allenatore fa le scelte migliori, i calciatori segnano tanto e subiscono poco, e si vince.

L'allenatore fa le scelte peggiori, i calciatori segnano poco e subiscono tanto, e si perde.

Il tutto, ovviamente, al netto dei cosiddetti episodi, che però solo una tantum - e soprattutto di rado, relativamente alla base campionaria stagionale - riescono a sradicare questo corollario. Che, però, dalla sua, nasconde un velato stratagemma, figlio peraltro delle scelte tecniche. Che va ad asciugare ancor più l'assioma, rendendolo praticamente lineare: giochi bene, vinci. Giochi male, perdi. E poi c'è la terza strada. La più ardua, da percorrere, paradossalmente: fai giocar male i tuoi avversari, e vinci. 

E' il modo migliore per tenere in mano ogni partita, ogni nemico. Per non rischiare, ed essere così, fatalmente, letale. Perché far giocar male i propri avversari è estrema espressione della propria supremazia, tecnica ma soprattutto atletica e psicologica. E' tutt'altro che rinunzia alla messa in campo delle proprie doti. E' piuttosto imposizione di queste su quelle altrui, che vengono neutralizzate, nel caso del gioco del calcio, con l'attendismo, l'attenzione, la consapevolezza dei propri mezzi, il cinismo, il difensivismo ai limiti della maniacalità, il pressing, la freddezza, la capacità non di essere perfetti ma di non commettere errori. E di errori, la Juventus, non a caso ne fa sempre pochissimi: non perché sia composta da giocatori perfetti - tutt'altro - ma perché ogni singolo svolge senza sbavature ed estremismi ciò che gli viene chiesto di fare. Un po' come ieri, durante una partita che qualsiasi altra squadra emotiva e spontaneamente vogliosa di giocar bene - e non far giocar male gli altri, atteggiamento tipico del Napoli sarriano e della stessa Roma spallettiana - non sarebbe riuscita a fare. 

 "Quando ti muovi sii rapido come il vento, maestoso come la foresta, avido come il fuoco, incrollabile come la montagna"

Una gara silente ma intensa, in cui è bastato azzerare qualsiasi, possibile fonte di gioco degli ospiti e regalarsi un sussulto di gloria da parte del solito, spietato, Higuain - un'azione personale (splendida), un errore altrui, un gol - per portarsi a casa i tre punti più importanti della stagione. Ma non per merito del Pipita, no, ma per tutto il lavoro di Rugani, Sturaro e Mandzukic, che per 90 e passa minuti hanno lavorato ai fianchi di chi pensava, nuovamente, di poter essere sé stessa anche allo Stadium. Un reiterato nugolo di colpi, asfissiante e corrosivo, capaci di neutralizzare qualsiasi tipo di offensiva. Portato, peraltro, non da più calciatori dello stesso reparto, ma da calciatori singoli di reparti diversi: i migliori in campo, in assoluto. E, non a caso, tutti e tre teoricamente riserve. L'ennesimo modo di esser sé stessi all'ennesima potenza. 

"Conosci il nemico, conosci te stesso, mai sarà in dubbio il risultato di 100 battaglie", diceva ????. L'arte della guerra, per chi come me non conosce il cinese, ma ha letto stralci interessantissimi di quel trattato di strategia militare tuttora utilizzato a preso a riferimento anche da alcune rinomate aziende che fanno del marketing, della ricerca operativa, della psicologia applicata e della finanza esasperata le proprie peculiarità. 13 capitoli tematici, che in qualche misura una sola squadra, in Italia, e praticamente dall'inizio della propria storia, sembra potere e sapere applicare anche al calcio. "Un risultato superiore consiste nel conquistare intero e intatto il paese nemico. Distruggerlo costituisce un risultato inferiore", scriveva il generale Sunz?, quasi a ispirare la squadra che fu di Conte e che oggi in buona parte rivive in quella di Allegri, pur potendo contare quest'ultima su una quantità di talento incommensurabilmente superiore. Cosa, questa, che non penalizza in alcun modo la strategia. Anzi, la rende ancor più applicabile, vista la capacità dei singoli di risolvere con le proprie giocate anche le sfide più chiuse. Per poi massimizzare e trasformare in oro quel tocco di genio col lavoro massivo e sfinente di chi, di quella maestria, non necessariamente dispone.

"Se sei inattivo mostra movimento, se sei attivo mostrati immobile"

Ecco perché poi, alla fine, si perviene alla vittoria di tutti. E quasi metodicamente. Ecco perché, le medesime armi, Allegri metterà in campo anche a Doha, venerdì sera, dove dinanzi avrà però una delle tre squadre capaci di disinnescare l'arte della guerra bianconera. Fino a un certo punto, ovviamente, visto che gli unici 3 KO stagionali, per adesso, la Juventus li ha rimediati, fuori casa, e per via di episodici black out. I 6 minuti di Milano sfruttati da Icardi e Perisic, la prima mezzora di gioco a Marassi, la mancata chiusura di Sandro su Locatelli contro il Milan. Dovrà provare a ritrovare lo stesso anfratto di mancata perfezione, Montella, se vorrà avere delle chances di vincere il suo primo trofeo in carriera da allenatore: infilarcisi dentro, e soprattutto provare ad inculcare ai suoi ragazzi, molto più tatticamente disomogenei e visceralmente altalenanti, parte della disciplina che a Torino diventa, anche per merito di ambiente e società, immediatamente parte dei calciatori. Un merito, più che un disonore, che li rende diligenti e dediti al sacrificio, e che anni fa un ribelle come Cassano, che si conosce meglio di ogni altro, definì soldatini. Perché, ed è vero, l'arte della guerra è anche questo: volere gente che "riga dritto, mentre io voglio girare a destra o a sinistra, uscire dai binari se ne ho voglia", come diceva Fantantonio. Soldatini, che in ogni caso Sun Tzu definiva in modo simile.

"I soldati vanno trattati innanzitutto con umanità, ma controllati con ferrea disciplina. Questa è la strada per la vittoria"

La stessa vittoria che, nel calcio, si traduce in un filotto di scudetti dall'inizio ben noto, ma ancora senza una fine ben definita. Un modo come un altro, anche questo, di tenere il controllo degli avversari, basiti dal proprio strapotere, e seppur apparentemente vogliosi di ribellarsi ad esso con armi diverse, perfettamente consapevoli di ciò a cui vanno incontro. Una spiegazione, questa, anche delle storiche difficoltà bianconere nell'Europa dei grandi, in cui l'arte della guerra, e la somma capacità di congelare il gioco altrui, imponendo il proprio, non sempre basta. Fuori dai confini tricolore vigono altre regole, e combattono altri eserciti. E chi domina il Mondo, da questo punto di vista, sempre più spesso ha mostrato di saper coniugare il giocar bene al far giocar male gli avversari. Una transizione, non solo tattica - il passaggio graduale al 4-3-1-2 - ma soprattutto mentale, che Allegri ha mostrato di volere provare a concretizzare e che sarà fondamentale, in tal senso. Perché, a determinati livelli, a servire è sempre l'impresa fuori dall'ordinario. Come diceva Sunzi, "Combatti con metodi ortodossi, vinci con metodi straordinari". Ed, in qualche misura, forse si riferiva proprio alla Champions League.