Il 2016 ci ha regalato tante storie di sport da raccontare: le belle, le brutte, le favole, le spy stories, le rivincite e le condanne, gli amori e i tradimenti. Tutto si può dire, tranne che sia stato un anno banale. L'anno “pari” non può esserlo, men che meno se è l'anno delle Olimpiadi, se si giocano gli Europei, se si è deciso di disputare un'edizione straordinaria della Copa America per il centenario.

È stato l'anno degli sport imprevedibili, delle sveglie assurde per seguire il beach volley e quei Lupo-Nicolai passati da Carneade dello sport ad atleti nazionalpopolari. E, a proposito di volley, è stato l'anno in cui l'Italia ha ricordato di avere una tradizione forte e di potersela giocare, ancora, e sempre, e che un giorno, forse nemmeno troppo lontano, potrà essere annullata anche la maledetta maledizione olimpica. È stato l'anno in cui Bebe Vio, una ragazzina di 19 anni dal sorriso contagioso, ci ha ricordato che l'impossibile non è di questa terra. Ed è stato l'anno in cui Usain Bolt, un ragazzone di 30 anni dal sorriso contagioso, ci ha ricordato che i record vivono nell'attesa di essere riscritti.

È stato l'anno in cui la Ferrari ha rinviato tutto all'anno prossimo. È stato l'anno in cui Valentino Rossi non ha lasciato, come aveva detto, anzi ha raddoppiato, allungando la sua carriera fino al 2018 (e ha ancora tempo per ripensarci). È stato l'anno... anzi, è stato ancora, di nuovo, inevitabilmente, l'anno della Juventus. È stato l'anno dei cinesi nel calcio, fra closing ritardati e acquisti assurdi. È stato l'anno del Carpi e del Frosinone e poi del Crotone, l'anno della morte di Mohammed Alì e di una squadra già leggendaria, della vittoria e del ritiro di Nico Rosberg, del Portogallo campione d'Europa, e del Siviglia... pure, per la terza volta consecutiva.

È stato l'anno di questo e di altro ancora, tutte cose da ricordare, che fra nemmeno troppo tempo qualcuno racconterà su queste pagine, con l'alone di poesia e leggenda che ha la storia, che hanno le storie che cerchiamo di raccontare ogni settimana. Di storie del 2016, lo dicevamo, ce ne sono tante. E sembra fare uno sgarbo a sceglierne poche, ma ne ho tirate tre fuori dal mucchio, tre di quelle che potrebbero presto diventare un Memento.

IL MIRACOLO LEICESTER

Cominciata come una di quelle favolette che tanto sai che prima o poi finiranno, è finita con l’invasione dei giornalisti a San Saba, il quartiere sull’Aventino in cui il piccolo Claudio Ranieri aveva dato i primi calci, alla ricerca del confine fra archeologia e astrologia in cui è maturata una delle più grandi imprese sportive di sempre. Cominciata con mille riserve, l’esperienza dell’ex allenatore di Juventus e Roma sulla panchina del Leicester è stata un crescendo costante, partito con il minimalismo e finito con il trionfalismo. Tanti gli eroi che si sono divisi i meriti: dal cannoniere Vardy al portiere Schmeichel, dal centrocampista Drinkwater al genietto Mahrez. Tutta gente che fino all’agosto del 2015 giocava in una squadra che voleva lottare per la salvezza, e che nel giro di un anno è diventata l'ultimate underdog. Ranieri se l’è goduta fino in fondo, e continua a farlo. Lui, l’uomo che era stato cacciato dalla Grecia dopo l’imbarazzante sconfitta contro le isole Far Oer, con simpatia e sobrietà ha cancellato la parola impossibile dai dizionari: secondo i bookmakers inglesi, l’exploit del Leicester in Premier League era meno probabile della scoperta del mostro di Loch Ness, di invasioni aliene, di Elvis ancora vivo. Insomma: aspettatevi di tutto.

HIGUAIN, CORE 'NGRATO

Il 14 maggio 2016 a Napoli piove. Ma nessuno, lì per lì, ci fa caso. Perché c'è una partita da giocare e un record da raggiungere - il Frosinone da battere per qualificarsi in Champions League e una tripletta di Higuain per riscrivere la storia. Dopo un primo tempo complicato, chiuso dal gol di Hamsik, il Pipita prende la penna in mano: ne fa due, raggiunge Nordhal, poi ne fa un altro, in rovesciata, e lo supera. È da impazzire.

Nessuno, quella sera, fece caso alla pioggia. Avrebbero dovuto coglierlo, quel presagio: poco più di due mesi dopo Higuain prese la sua classe e la portò nell'epicentro dell'odio napoletano: la Juventus. Marotta tirò fuori novantaquattro milioni (quelle cifre che vanno scritte a lettere perché si capiscono meglio) per strapparlo all'amore di una piazza che già lo aspettava sull'altare. Quel giorno, era luglio, Napoli ribaltò il suo sentimento in un odio sporco, brutto e cattivo: il Pipita era la panacea di tutti i mali, ne diventò l'origine. Quel giorno, era luglio, ne parlai con José Altafini, che da diversi decenni, per Napoli, era il traditore per antonomasia. Era, appunto. Altafini sorrideva: finalmente, qualcun altro sarebbe diventato core 'ngrato. Sarebbe bastato un gol alla sua ormai ex squadra, disse profeticamente.
Il 29 ottobre, allo Stadium, si gioca Juventus-Napoli. Finisce 2-1: Higuain segna, non esulta, prende la penna in mano, cancella il nome di Altafini e riscrive la storia: “core 'ngrato c'est moi”.

L'ISLANDA

Islanda significa Björk e Sigur Rós, significa capelli biondi e salmone, Gudjohnsen padre e soprattutto figlio. E, dalla scorsa estate, significa Geyser Sound. La storia della nazionale di Lagerback ha appassionato tutti, durante gli Europei francesi. Rispetto a quella per il Leicester, una simpatia senza collegamenti direttissimi, a scadenza ma anche più immediata: più facile empatizzare con quell'isolotto di 330mila abitanti, lontano ed esotico. 330mila abitanti, dicevamo: di questi, il 10% aveva deciso di seguire la nazionale agli Europei, per seguire una squadra senza pretese che avrebbe, però, cercato di vender cara la pelle. All'esordio, il sorprendente pareggio 1-1 con il Portogallo. Poi, un altro 1-1 con l'Ungheria. Con l'Austria, l'esplosione di gioia: 2-1 conquistato allo scadere, i telecronisti impazziscono, il geyser sound sale, l'Islanda è agli ottavi e nei cuori di tutti. E ci resta, ancora, dopo l'incredibile vittoria, sempre per 2-1, sull'Inghilterra: il 98% degli islandesi guarda la partita in tv, il 10% che sta in Francia batte le mani guidato dal capitano Gunnarsson, sembra una favola destinata a non finire. E invece, con la Francia, ai quarti, il cammino s'interrompe sotto una pioggia di gol: 5-2, nell'ultimo geyser sound si piange, ma con orgoglio. E le mani continuano a battere a Reykjavik, al ritorno a casa, dove una folla applaude gli eroi e fa salire, ancora una volta, il suono del geyser.