2 gol in 2 partite, entrambe contro il Real Madrid: non si può certo affermare che l'avventura di Stevan Jovetic a Siviglia sia cominciata nel segno della banalità. L'attaccante montenegrino, che veniva da una prima parte di stagione in cui praticamente non aveva mai messo piede in campo, ha dimostrato subito di non aver perso la sua vena realizzativa, la stessa che, nei primi mesi disputati con la maglia dell'Inter nell'annata 2015/16, aveva illuso i tifosi nerazzurri che quello di JoJo fosse tutto sommato un acquisto indovinato. Che le cose siano andate diversamente è semplice dirlo adesso, con il senno di poi; eppure le motivazioni, che spaziano dagli aspetti tecnico-tattici a questioni prettamente ambientali, non mancavano neppure al momento del ritorno in Italia dell'ex attaccante della Fiorentina.

Giunto a Milano nell'estate del 2015 con il beneplacito di Roberto Mancini, che appartiene a una scuola secondo la quale i giocatori tecnicamente dotati possono sempre convivere in campo, Jovetic aveva cominciato alla grande il suo primo anno all'Inter, in modo simile a quanto sta succedendo ora con il Siviglia. 3 gol in 2 partite, contro Atalanta e Carpi, tutti decisivi; tanto che il suo acquisto era visto da alcuni addetti ai lavori, non ultimo il direttore generale della Juve Beppe Marotta, come un segno del fatto che i nerazzurri avrebbero lottato per traguardi importanti. Niente di più sbagliato: i 3 gol di Jovetic nelle prime 2 uscite avrebbero rappresentato la metà esatta del bottino complessivo del montenegrino in campionato.

Ma come si spiega un apporto tanto deludente, dopo il brillante - quanto illusorio - esordio? Sul fatto che Jovetic sia un giocatore che vive sull'onda dell'entusiasmo, dell'emotività e della fiducia accordatagli dall'allenatore di turno vi sono pochi dubbi: basterebbe tornare indietro alle annate fiorentine o ai tempi bui di Manchester per rendersene conto. L'estro, il talento, ma anche l'incostanza, la tendenza a infortunarsi e a lasciarsi abbattere dalle difficoltà erano tutti aspetti già noti al momento del suo acquisto; eppure esistono soprattutto precise ragioni tattiche dietro il fallimento - perché di questo si tratta - al quale l'Inter è andata incontro con Jovetic.

La metamorfosi fisica e tecnica del montenegrino, che gli osservatori più attenti avrebbero potuto notare, ancor prima dell'approdo in nerazzurro, basandosi sulle prestazioni con la maglia della sua Nazionale, ha portato a un'evoluzione del suo ruolo che ne ha reso difficoltosa la collocazione in campo. In un'Inter partita con velleità di tridente o, in alternativa, con l'idea di sperimentare il 4-2-3-1, la presenza di Jovetic serviva soltanto a sparigliare le carte: persa l'esplosività che l'aveva reso famoso ai tempi di Firenze, l'attaccante presenta da diverso tempo una struttura fisica che non gli consente di saltare l'uomo con la disinvoltura esibita in passato. Un fisico non più da 10, ma da numero 9: è quella l'evoluzione di Jovetic, che non può più essere un trequartista né tantomeno un esterno, come inizialmente aveva pensato - sperato? - Mancini; e forse neppure una seconda punta, ma soltanto un centravanti atipico dalle indubbie qualità tecniche.

Prima punta, dunque, ancor più che seconda: un ruolo che all'Inter da qualche anno ha un indiscusso padrone, quel Mauro Icardi che sotto porta continua a far faville, per quanto rimanga deficitario sul piano del contributo alla manovra della squadra, un aspetto nel quale Jovetic probabilmente gli è pure superiore. Sulla difficile convivenza tra il montenegrino e il capitano nerazzurro sono stati scritti fiumi di inchiostro e sebbene Mancini ritenesse che i due, con il tempo, avrebbero potuto imparare a giocare insieme, di fatto questo non è mai accaduto; incompatibili tecnicamente ma anche caratterialmente, Icardi e Jovetic non hanno mai legato, finendo più che altro per pestarsi i piedi e influire negativamente l'uno sull'altro.

Jovetic e Icardi, una convivenza difficile (Getty Images)

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Inevitabile, dunque, che si dovesse operare una scelta e che questa andasse a favore di Icardi. Non solo per ragioni anagrafiche, ma soprattutto di peso specifico all'interno dello spogliatoio e della società nerazzurra in generale, che facevano pendere l'ago della bilancia dalla parte dell'argentino. I loro difficili rapporti avevano già portato a una spaccatura in seno al gruppo nerazzurro, che rappresenta una delle cause del particolare andamento dello scorso anno e, parzialmente, anche di quello attuale; arrivati a gennaio, dopo una prima parte di stagione in cui il montenegrino aveva accumulato 5 presenze in campionato per un totale di 67' complessivi, era tempo di risolvere la questione.

Il sacrificio di Jovetic era perciò l'unica mossa possibile per l'Inter. Le prime prestazioni con la maglia del Siviglia non fanno altro che confermare come il problema non fosse il valore assoluto del giocatore, ma il suo ruolo all'interno del contesto nerazzurro; tanto più che adesso l'Inter, più che rammaricarsi per la partenza del montenegrino, si troverà a tifare perché continui così e renda possibile una cessione a un prezzo che, alla luce delle prestazioni dell'ultimo anno e mezzo, sarebbe stata un'autentica chimera.