di Marco De Santis 

 

Da tempo sono convinto che nel calcio moderno sia di fondamentale importanza calibrare gli sforzi fisici dei giocatori nell’arco di tutto il campionato e ancor di più quando il calendario mette le squadre di fronte a impegni ravvicinati. Quanto accaduto questa settimana a Barcellona e Siviglia è un buon punto a sostegno della mia tesi, condivisa fra gli altri anche da Gigi Buffon ma osteggiata in modo netto dal Presidente dell’Uefa, e forse prossimo Presidente della Fifa, Michel Platini

 

Nessuno potrà convincermi che sia stato solo un caso che - costrette a giocare a 72 ore di distanza da una importante partita ufficiale come la Supercoppa Europea (oltretutto terminata ai supplementari) - sia il Barcellona che il Siviglia abbiano subito sconfitte clamorose. Il Barcellona, impegnato contro l’Athletic Bilbao nell’andata della Supercoppa di Spagna, ha perso addirittura 4-0, mentre il Siviglia ha subito ben sei gol dalla Roma in amichevole prima di rendere meno amara la sconfitta concludendo con un più onorevole 4-6. I due casi sono ovviamente diversi l’uno dall’altro: i catalani erano al secondo impegno ufficiale, mentre il Siviglia è sceso in campo in una semplice amichevole. Ma ciò non toglie che entrambe siano state costrette a ricorrere a un ampio turnover per tentare (inutilmente) di limitare lo svantaggio di aver giocato appena tre giorni prima un match molto intenso non solo dal punto di vista fisico, ma anche mentale (un fattore quest’ultimo molto spesso poco considerato e invece estremamente importante). 

 

A dimostrazione del fatto che il problema non è marginale, qualcuno forse ricorderà la protesta congiunta di Spagna e Italia per essere state costrette a giocare le semifinali degli Europei 2012 con due giorni in meno di riposo rispetto alle rivali Portogallo e Germania. Il campo poi ha promosso comunque le squadre sulla carta “più stanche”, ma in quella circostanza ci furono dichiarazioni ufficiali molto dure sia del preparatore atletico degli Azzurri Venturati (“Lo svantaggio rispetto ai tedeschi non si azzera, non c’è un modo che permetta di ridurre una differenza di quasi il 50 per cento tra il loro periodo di recupero e il nostro”) che di Buffon (“A questi livelli non si può dare tre giorni di recupero a uno e cinque all’altro. E’ contrario anche al buon senso”).

 

Non a caso, chiamato a rispondere a un sondaggio informale dell’Uefa riguardante i consigli per migliorare il gioco sia dal punto di vista regolamentare che organizzativo, il “numero 1” azzurro ha ribadito la contrarietà ai calendari che obbligano i giocatori a impegni troppo ravvicinati e che rischiano di falsare così le partite, o per lo meno di non mettere entrambe le squadre nelle stesse condizioni. Oltre alla distribuzione discutibile di quarti di finale e semifinali, l’Europeo ha infatti una situazione ancora più al limite fra semifinali e finale, con una delle due squadre costretta a giocare la semifinale al giovedì con la finale la domenica. Ricorderete tutti la partita estremamente sotto tono giocata contro la Spagna in finale da un’Italia ancora sulle gambe dopo l’impresa di aver eliminato la Germania. Sia ben chiaro: probabilmente gli iberici avrebbero portato a casa la coppa ugualmente perché avevano la nazionale più forte, ma altrettanto probabilmente si sarebbe potuta evitare una disfatta di quel tipo con un po’ di riposo in più fra una gara e l’altra (0-4 il risultato finale). 

 

Chiamato a dare un suo parere, Platini ha liquidato la questione con una frase che la dice lunga sul fatto che l’Uefa ritenga il problema del tutto irrilevante: “A questi livelli tre giorni bastano e avanzano per recuperare dallo sforzo della partita precedente”. Il buon Michel forse ha in mente il calcio dei suoi tempi, quando si giocavano meno incontri e si correva molto di meno. Ma l’evoluzione moderna del gioco richiede un grande sforzo fisico di tutti i giocatori in campo per essere competitivi ai massimi livelli. E al di là della competitività, dovrebbe essere un diritto anche degli spettatori poter vedere una sfida fra team al massimo della condizione e non un testa a testa per vedere chi ha più “Iron Men” in squadra. 

 

Sia chiaro: con questo non voglio dire che chi gioca con un giorno di riposo in meno del rivale perde sempre. E’ ovvio che non sia così. Negli Europei del 2004 e del 2008 ha trionfato la squadra che ha giocato la semifinale al giovedì, nel 2000 l’Italia ci è andata molto vicina nonostante una battaglia campale contro l’Olanda appena tre giorni prima. Quello che voglio sostenere qui è semplicemente che non concedere un adeguato riposo alle squadre può influire sul risultato, e già questo a mio avviso basterebbe per porsi il problema e cercare una soluzione. Soluzione che dovrebbe in primo luogo evitare il più possibile a una squadra di giocare due partite in 72 ore (figuriamoci tre in sei giorni, come è stato costretto a fare il Barcellona fra la Supercoppa Europea e il ritorno della Supercoppa di Spagna o come capita in sorte a due semifinaliste e a quattro partecipanti ai quarti di finale di ogni Champions League da qualche anno a questa parte) e in seconda battuta prevedere nelle grandi manifestazioni internazionali un’equa distribuzione del riposo fra una partita e l’altra per tutte le squadre in gara, con almeno quattro giorni di distanza fra una gara e l’altra soprattutto a fine torneo quando la stanchezza inizia a farsi sentire in maniera importante (ai Mondiali è già così, con le semifinali al martedì e al mercoledì). 

 

Ulteriori esempi di partite il cui risultato è stato in parte dovuto all’obbligo per la squadra perdente di scendere in campo a 72 ore di distanza dal match precedente possono essere le finali di Confederations Cup 2013 (Brasile-Spagna 3-0 con la Spagna reduce dalla vittoria ai rigori sull’Italia) e 2005 (Brasile-Argentina 4-1 con gli sconfitti vittoriosi tre giorni prima ai rigori con il Messico), Argentina-Paraguay 6-1 nella semifinale della Coppa America 2015 (con i paraguaiani che avevano appena compiuto l’impresa di eliminare il Brasile) e rimanendo in Italia i tifosi milanisti forse ricorderanno l’1-1 di Catania-Milan fra i due quarti di finale di Champions League nel 2011/2012 (tre partite in sei giorni per i rossoneri) che avvicinò la Juventus a soli due punti dai rossoneri in campionato prima del sorpasso avvenuto la domenica seguente con un ancor più clamorosa sconfitta interna con la Fiorentina. Inoltre sarà un caso, ma da quando esiste il Mondiale per Club (con semifinali il mercoledì e il giovedì e la finale la domenica), la rappresentante europea da tempo naturale favorita della competizione ha perso solo tre volte e in tutti i casi era scesa in campo nella seconda semifinale (Liverpool 2005, Barcellona 2006 e Chelsea 2012).

 

So che c’è più di qualcuno che rispetto a questa problematica alza le spalle,scuote la testa e dice “con tutto quello che guadagnano ci manca solo che non riescano a giocare una partita ogni tre giorni”. Secondo me chi pensa così sbaglia perché nessuno dice che “non possono giocare”, infatti scendono tutti regolarmente in campo quando capita di dover giocare due partite in 72 ore, ma il fatto è che non possono avere una condizione fisica pari a quella di rivali più riposati di loro. Se gli avversari sono altrettanto forti, o magari un po’ più scarsi ma in gran forma, le probabilità di vincere la seconda partita per chi riposa di meno non si azzerano, ma sicuramente diminuiscono. E’ semplice logica, non questione di soldi o di professionalità nell’allenarsi…