Dove eravamo rimasti? 

A parte il mio invito a Gigi Buffon a continuare a contribuire alla causa azzurra facendosi - ma solo parzialmente - da parte, prima della sosta per le Nazionali il campionato ci aveva consentito un ultimo, sussultorio, afflato di emozione ed, in qualche misura, anche di speranza.

Speranza affinché queste ultime settimane di campionato ci consentissero di assistere ad un esito meno scontato, con un dualismo-duello al vertice più torbido - nel senso buono del termine - e competitivo. Così sembrava potesse essere, dopo l'espressa manifestazione di "umanità" bianconera di Ferrara, e la contestuale, ma striminzita, vittoria partenopea contro il Genoa. E invece a distanza di una paio di settimane, la Pasqua ci ha fatto ripiombare in un clima di tradizionalismo che definire tediante è riduttivo: il Napoli, vittima dei suoi errori, della sua superficialità, ma soprattutto della poca costanza di molti dei suoi protagonisti, è tornato a inciampare nella più classica delle avversarie di medio-basso lignaggio. E la Juventus, contestualmente, pur giocando la solita, ormai trita e ritrita, partita sparagnina, è riuscita comunque a portare a casa i tre punti contro un avversario che non solo è riuscita a violentare la porta bianconera dopo 91, lunghissimi, giorni, ma ad un certo punto è stata anche vicina a trovare il vantaggio.

Nella zuccata di Bonucci, l'ex di giornata più odiato (lo si percepiva chiaramente dai primi 20 minuti di gara, in cui è stato ingiustamente subissato di fischi e cori), hanno ritrovato speme e gloria tutti i diffusi avversari della capolista. 

Napoletani in primis, che speravano di potere, per una volta, compensare le proprie con le altrui mancanze. E invece niente da fare: la giocata di Calhanoglu, che a inizio ripresa ha colpito una traversa che ancora adesso trema e risuona di illusione, ha rappresentato il colpo al cuore che ha soffocato ogni possibile afflato di ipotetica e clamorosa rimonta. In quel preciso istante chi segue, ormai dall'inizio, questo settennato di vittorie bianconere, ha realizzato in maniera lucida che prima o poi la partita sarebbe finita come finiscono un po' tutte le partite all'Allianz Stadium

Ovvero, con la vittoria dei padroni di casa, che in un modo o nell'altro, spingendo fino alla fine e riuscendo sempre e comunque a contenere gli avversari (per quanto indomiti), riescono a trovare i tre punti. Nella fattispecie, la differenza l'ha fatta Allegri che pur soffrendo le ripartenze di Suso e Calhanoglu, ha avuto il coraggio di tornare al 4-2-3-1 e di inserire oltre a Douglas Costa anche Cuadrado, fermo ormai da mesi. Una mossa tattica che ha costretto ali e mezzali rossonere ad abbassarsi sino all'estremo, congelando le folate offensive altrui, e contestualmente munendosi di una buonissima dose di imprevedibilità. Che la pur strenua difesa a oltranza rossonera, limitata dalla presenza di due terzini non propriamente abili in fase di contenimento (Calabria e Rodriguez), non è riuscita a prevaricare. 

Morale della favola: altri tre punti alla Juventus, ormai virtualmente a +5, e scontro diretto che torna ad essere parzialmente inutile ai fini della rincorsa scudetto.

Colpa, ovviamente, anche del Napoli, che sulla carta aveva da affrontare un turno che poteva, invece, avvantaggiarlo. Al Mapei si giocava contro un Sassuolo sì ancora invischiato nella lotta per non retrocedere, ma anche nella sua versione peggiore di sempre, da quando ha scoperto la Serie A. Ma l'occasione per dimostrare tutte le proprie pecche, soprattutto psicologiche, gli azzurri non l'hanno persa neanche stavolta, e dopo aver dato scarsa prova di sé contro un Genoa certo non insormontabile, si sono manifestati in campo nella loro versione più misera, anche a livello tecnico-tattico, da quando Maurizio Sarri è al comando. 

Un limite, evidentemente, anche dello stesso allenatore, che forse avrebbe dovuto percepire al rientro dei suoi Nazionali che in moltissimi avevano le batterie scariche (soprattutto Insigne, il peggiore in campo), e che una volta tanto avrebbe dovuto rendere onore alle sacre dinamiche del turn-over, che per quanto da lui ingiustamente ripudiato, in un torneo a lunga percorrenza come questo è assolutamente inevitabile. L'esemplificazione di questa teoria si carnifica nelle giocate, pur non decisive, di Milik, che da subentrante ha fatto pesare la propria presenza in area avversaria più di tutti i suoi compagni messi insieme: da qui a fine campionato, però, il tecnico toscano non rinuncerà mai al suo tridente dei piccoletti, che però dopo 8 mesi di partite a ripetizione è evidentemente strizzato e stanco. E che continua ad avere difficoltà contro le linee a 4, soprattutto se dotate di un centrale in grado - come ieri Acerbi - di fare la differenza. 

Da qui la necessità di provare a cambiare, come extrema ratio, anche solo un pizzico, per regalarsi un'ultimissima chance, nella speranza che la Juventus non solo perda punti nell'ultimo scontro di un certo livello che le manca da qui alla fine (la sfida di San Siro contro la rediviva Inter), ma anche che Allegri, magari affaticato e distratto a sua volta dalla doppia sfida col Real Madrid, si conceda un passo falso - uno solo - nella partitissima del 22 aprile. A ben vedere le duellanti in campo ieri, in ogni caso, le possibilità che il Napoli espugni Torino ad oggi sono davvero poche. Pochissime. Quasi zero.

Un po' come quelle che Sky e Mediaset Premium trovassero un accordo. Oppure che Lega e Movimento 5 Stelle decidano l'assegnazione delle poltrone alla Camera e al Senato, o che confluiscano in un unico governo.