OK, iniziamo a tirare un po' di somme. Possiamo permetterci di farlo, visto e considerato che ormai di dubbi da sciogliere la stagione ne ha ancora relativamente pochi. In B, come previsto, con il Benevento è andato il Verona, e probabilmente già domani sapremo molto di chi sarà la terza a scendere (o a tornare) negli inferi. L'Inter è più vicina all'Europa League che alla Champions, il Milan se ne giocherà una buona fetta (di Europa League) mercoledi, e la Juventus sta per festeggiare uno scudetto che, polemiche arbitrali a parte, e bel gioco a parte, sostanzialmente merita. 

Non si può dire altrimenti, d'altra parte, di chi molto probabilmente chiuderà il campionato superando quota 100 punti, pur avendo perso lo scontro diretto con la seconda e pareggiato contro Spal e Crotone. Il che, paradossalmente, rinforza la vigoria del suo percorso al netto di queste tre partite. Perché significa che in tutte (o quasi) le altre è stato fatto bottino pieno o pienissimo. E quasi sempre, negli ultimi tre mesi, grazie a chi sento sempre troppo poco citare dalle cronache, negli elogi, nelle analisi tecniche, nei furibondi rumors di calciomercato. Ovvero, Douglas Costa.

L'esterno perfetto in un calcio imperfetto come quello italiano, in cui le ali offensive vanno via a peso d'oro perché rare e spesso sopravvalutate, ed in cui si fa fatica a contenere uno con un cambio di passo ed una tecnica di base così superiori agli altri. Soprattutto ai difendenti - siano essi terzini, mediani o centrali - , che in Serie A non ho mai visto soffrire nessuno come soffrono lui. Anche contro il Bologna i tre punti sono arrivati grazie a lui: 2 assist (decisivi, adesso è arrivato a quota 11), tanta corsa e innumerevoli dribbling, ma soprattutto la capacità di spaccare in due il campo e cambiare la partita. E renderla vivace, frizzante, elegante: virtù che il calcio di Allegri, quest'anno, non ha mai incarnato.

La rincorsa di Douglas è iniziata nel girone di ritorno. Non che avesse demeritato, in quello d'andata, per carità: ma i suoi numeri li ha prodotti soprattutto dalla 20a in poi. La maggior parte dei quali, per inciso, sono stati regalati nel momento di peggior calo stagionale della Juventus. Che a lui ed alle sue giocate s'è aggrappata e affidata. Proprio come Allegri.

Onore a lui, quindi, ed a chi gli ha dato fiducia. Non al Bayern, ovviamente, che s'è giocato la doppia sfida con il Real Madrid con Ribery e Robben (per poco, in verità: ma dei suoi muscoli di cristallo sapevano anche prima di vendere il brasiliano alla Juventus) e non con lui. Probabilmente non sarebbe cambiato nulla, ma a posteriori l'impressione è che il suo cartellino sia stato anche sotto stimato (6 milioni di prestito più 40 di riscatto), in una stagione in cui molti suoi pari ruoli sono andati via a cifre semplicemente surreali. Ripetiamolo, per evitare di dire sciocchezze: non è lui l'uomo che può consentire di ambire ad altri traguardi. Perché se questo 24enne brasiliano in una Serie A sempre più misera di talenti assoluti rappresenta un surplus tecnico che solo la Juventus può permettersi, in Europa evidentemente serve altro. Lo hanno dimostrato i percorsi in Champions dei due fenomeni che hanno portato in finale Liverpool e Real Madrid: ovvero Salah e Ronaldo. Ed oggi, la Juventus, purtroppo, non ha nessuno dei due, ma 'solo' Douglas Costa. E, volutamente, non cito Higuain né Dybala: perché nessuno, come Costa, ha fatto da traino in una parte finale di stagione non facilissima come quella bianconera. 

Ora, a scudetto virtualmente acquisito (la matematica potrebbe portarlo anche già domani), serve iniziare a riprogrammare la stagione che verrà. E Marotta, dopo aver colpito nel segno con Douglas Costa, dovrebbe iniziare anche a pensare di fare un sacrificio 'alla Pogba', quale potrebbe essere Dybala, per mettere in squadra il Salah o il Ronaldo della prossima Champions League. Sempre a meno che non diventi Douglas Costa, che dopo aver dimostrato di poter bastare per vincere in Italia, spera di poter crescere così tanto da fare la differenza anche lontano dal Belpaese. Dove la vita, evidentemente, è molto più dura.