Doverosa premessa. Quando lo scrivente è all'opera per per questo pezzo, Fiorentina-Napoli non si è ancora giocata. A prescindere dal risultato della partita del Franchi, però, buona parte delle residue chances scudetto della seconda in classifica sono sfumate nel preciso momento in cui quel simpatico ragazzo - ma non eccellente difensore - di nome Davide Santon s'è addormentato, lasciando campo libero a Higuain in occasione del gol del rocambolesco 2-3.

Dando difatti per scontato che né Bologna né Verona, per qualità della rosa e valore degli obiettivi, potranno opporre alla capolista una prova in grado di portarle via punti, la Roma vincendo oggi e potendo contare sulla contestuale sconfitta dell'Inter potrebbe addirittura permettersi di perdere, il 13 maggio prossimo. Il calcio, però, è un gioco folle, imprevedibile e talvolta anche surreale, altrimenti non avremmo tenuto il campionato riaperto sino all'87'. Con l'Inter in vantaggio 2-1, dopo un'intera partita in inferiorità numerica, a rimonta compiuta e con il vento in poppa.

La partita, paradossalmente, è presto riassunta. Il gol di Douglas Costa è legato ad un doppia, evitabile, imperfezione difensiva di Cancelo e Candreva, certo più abili a rifinire che a contenere.

Tempo un batter di ciglia, però, è arrivato un rosso che Orsato, pur di non attirarsi contro le invettive dell'intera Italia anti-juventina, poteva anche evitarsi.

Intendiamoci: il fallo di Vecino c'è, ed il cartellino, se non rosso, sarebbe - come dicono quelli bravi - quanto meno arancione. Il problema risiede nella tempistica: far giocare 75 minuti più recupero alla squadra di casa in dieci, inevitabilmente rende quella scelta pesante. E l'idea di contenere le invettive con un semplice giallo, probabilmente, una mera "questione di opportunità". Non avrebbe incattivito l'incontro, e l'avrebbe reso forse anche più fluente e polemizzato. Il principio, d'altra parte, è lo stesso esplicato da Buffon, seppur nella maniera sbagliata, nelle sue due uscite post Real-Juve: in quell'occasione il rigore era servito a far crollare in sogno, in questa il rosso a farsi parlare sopra. Difficilmente, però, Gigi ribadirà quel concetto, applicandolo alla partita che probabilmente gli consentirà di chiudere la carriera con l'ennesimo scudetto.

Da lì in poi tutto è diventato il festival del surreale: la Juventus, proprio come accaduto una settimana fa, ha pensato a contenere senza offendere mai, convinta di portare a casa il risultato con la solita esperienza e il consueto pragmatismo. Che però non si sono viste né in occasione dell'abbandono in area di Icardi su cross di Cancelo (molto simile, come dinamica, al gol di Higuain), né quando un goffo Barzagli s'è ritrovato a fare autogol con un intervento tanto approssimativo quanto sfortunato. Minuti lunghi e intensi, in cui sembrava che fossero gli ospiti a giocare con l'uomo in meno e non viceversa. E durante i quali l'Inter era anche riuscita a legittimare col gioco un risultato impronosticabile, al 16°, che contestualmente consentiva anche al Napoli di viaggiare alla volta di Firenze con una fame diversa. E' in questa lunga fase di gioco che un irritante Pjanic, già ammonito, si lasciava colpevolmente andare ad almeno un paio di interventi da secondo giallo. Che però - e questo è un altro malus che pesa sulle spalle del giudice di gara - non sono arrivati. Errore fatale, da parte di Orsato, che fa il paio sia con la suddetta sonnecchiata di Santon, sia con la scelta di Spalletti di sostituire Icardi, abbassando notevolmente la sua squadra, e rendendola inevitabilmente mira delle folate offensive dei soliti noti. Cuadrado (che sino ad allora, da inedito e improvvisato terzino, aveva sofferto come mai Perisic), Dybala e Costa su tutti. 

Finale da San Siro, 2-3, in turbolenta controrimonta. A legittimare, come se ce ne fosse bisogno, la fame e la determinazione della Juventus già sei volte campione d'Italia, ed evidentemente vogliosa di costellare un settennato di trionfi anche a costo di raggiungere l'ultimo suggello a margine d'una stagione che comunque andrà sarà da considerarsi deviata rispetto alle aspettative. Non al di sotto, sia chiaro: ma di lato, probabilmente, sì. Con una finale di Coppa Italia ancora da giocare, una semifinale di Champions persa in quel modo (ma persa, soprattutto, con una gara d'andata penosa), e con uno Scudetto, probabilmente, raggiunto con le unghie, con i denti, e col sudore. Anche troppo, se si giudicano i valori e la completezza delle diverse rose a confronto, e il tenore d'un gioco che - soprattutto  in questa fase finale - non s'è mai, veramente, potuto apprezzare. 

Non la fame, quella no; non la determinazione. Entrambe, alla Juventus, non sono mancate e non mancheranno mai. Escluso il match scudetto di una settimana fa a Torino, da questo punto di vista la capolista ha quasi sempre fornito prestazioni da primo posto. La naturale conclusione di questo campionato, però, rischia di essere questa: ovvero che il più forte vinca più per inerzia e risolutezza che per effettiva qualità sul campo. Vincere, d'altra parte, non è importante: è la sola cosa che conta, sosteneva Boniperti. Ed anche stasera, nella partita più difficile, ha vinto la Juventus. Meritando o meno: dipende dai punti di vista. Anche arbitrali.