C’è un preciso momento in cui sei tornato fervente credente. Avevi iniziato sacrificando sull’altare un innocente capretto, nell’inefficace tentativo di propiziarti una qualche divinità dell’Olimpo. Eri passato poi al culto di Iside. Niente da fare: anni e anni di insuccessi, di raccolto magro, tempeste di cavallette. Solo negli ultimi anni all’Olimpico: il 7-1 dal Bayern Monaco nella fase a gironi 2014/2015, il 2-0 dal Real Madrid agli ottavi 2015/2016, il 3-0 dal Porto ai preliminari 2016/2017. Sventure senza fine, a porre fine a tutte le illusioni di un qualche futuro riscatto. Si narrava che per chi ha tanto sofferto, tenendo duro nei momenti bui, ci sarebbe stato un giorno il meritato premio. Un premio che il tifoso romanista, condannato all’Inferno perpetuo, però non avrebbe mai visto nemmeno da lontano.

Impossibile sfuggire a tale legge, lasciare ogni speranza e tu l’hai fatto. Gli autogol di De Rossi e Manolas nella gara di andata, un risultato pesantissimo e ingiusto nonostante una degna prestazione. Sempre la solita storia. L’ennesima conferma della dannazione. Ma c’è stato un preciso momento in cui si è riaccesa dentro la fiamma della speranza. E non è stato quando l’immenso Dzeko ha buttato dentro la palla dell’1-0, ma prima.

Quando Di Francesco ha deciso di lasciare fuori contro la Fiorentina tre titolarissimi come Kolarov, De Rossi e Florenzi, qualcuno l’ha preso per un incompetente e povero illuso, reo di credere ancora in una qualificazione impossibile. Di mettere davanti, a livello di priorità, la Champions League gravemente compromessa dal risultato dell’andata, all’obiettivo campionato con un terzo posto da difendere. Di credere alle favole, come una presa in giro dopo l’ennesimo KO interno in campionato. E in effetti alla vigilia della partita contro i viola, in conferenza stampa, l’allenatore giallorosso aveva risposto nel finale a chi già chiedeva di bilancio stagionale: “Io aspetterei fine campionato per fare un bilancio definitivo e generale. Aspetterei anche perché c'è una partita di ritorno di Champions League: qui diamo tutto per scontato e a me non piace, anche se è inutile negarlo che è difficile. Voglio vedere tutti quanti all'interno di questo gruppo e di questo ambiente combattivi, combattivi fino alla fine in tutti quelli che sono gli obiettivi da poter raggiungere. E non mollare niente e non lasciare nulla al caso”.

Una dichiarazione che denotava non solo il rispetto per i circa 56500 paganti dell’Olimpico per la sfida europea, ma anche una reale convinzione della possibilità della clamorosa impresa. E quindi si arriva al preciso momento in cui anche in te, tifoso romanista, si è trasmesso quel barlume, quando il cuore ha incontrato la ragione ed hai pensato per un attimo forse si può fare! Tutto ciò è avvenuto quando hai letto l’undici titolare con la mossa della difesa a tre. Una difesa granitica con Manolas, Fazio, Juan Jesus, con Florenzi e Kolarov a spingere sui lati di un centrocampo dinamico e compatto, con Schick accanto a Dzeko davanti. Di Francesco si è giocato l’asso nella manica ed ha vinto tutto. È arrivata la partita perfetta dei suoi. Solo con quel modulo, calzante su misura, ognuno degli interpreti in campo poteva essere perfetto e capace di scrivere una delle pagine più belle della storia romanista che ha scoperto il significato della parola miracolo.