Classe 1962, Paolo Stringara è stato uno dei protagonisti del calcio italiano a cavallo tra gli anni '80 e '90. Pur avendo giocato con molte maglie gli appassionati lo associano soprattutto al Bologna, del quale è stato anche capitano, e all'Inter, con cui ha vinto una Coppa Uefa. Mediano infaticabile ma capace, come vedremo, di fare anche bei gol, è poi passato in panchina perché lasciare il football non era cosa per lui. Adesso non allena o meglio: non lo fa con i professionisti. Guida i ragazzi della casa circondariale di Livorno - città in cui Stringara ha allenato con successo - all'interno di un progetto denominato Liberi Dentro che ci spiega lo stesso Stringara, prima di iniziare la nostra chiacchierata sulla sua carriera.

"È in realtà qualcosa di profondo, è un’esperienza, un sentimento, una volontà, chiamatelo come meglio credete, che alcuni allenatori me compreso stanno portando avanti ormai da quasi tre anni semplicemente perché sentiamo di fare questa cosa. E lo facciamo per cercare di allungare una mano in maniera incondizionata, senza giudicare nessuno, a chi sta pagando per quello che ha commesso di sbagliato. Lo facciamo tramite il mezzo che conosciamo meglio cioè il gioco del calcio, nel caso specifico la versione ad 8. Abbiamo 45 giocatori, ci alleniamo 2 volte a settimana, con sedute di 2 ore abbondanti ciascuna. Il sabato pomeriggio c’è la partita di campionato, che il primo anno giocavamo con altre 13 squadre che venivano da fuori mentre per motivi organizzativo-burocratici gli ultimi due anni le squadre sono scese a cinque (tre di detenuti, una di agenti penitenziari ed una che viene da fuori). Il primo anno abbiamo vinto la coppa disciplina, non subendo nelle 26 partite totali neanche una ammonizione. Questa esperienza è nata insieme a Pino Burroni, presidente degli allenatori livornesi. Volevamo fare questa cosa, siamo andati a parlarne con la dottoressa Santina Savoca, direttrice del carcere e siamo partiti: tutto molto semplice! Gli altri allenatori sono Ermanno Romani, Bruno Ciardelli, Francesco e Giacomo Landi e Giuliano Gambuzza. I ragazzi hanno accolto con entusiasmo l'iniziativa: si sentono liberi dentro quando la loro testa non pensa a tutto quello che di negativo li opprime ogni giorno e quando sono sul campo a correre, a sudare e a giocare si sentono finalmente liberi. Mi ricordo cosa dissi, nell’emozione generale, pochi attimi prima che iniziasse la prima partita del campionato del primo anno: ”Essere qui, con l’ansia e la tensione, nella testa e nello stomaco, il campo, gli avversari, l’arbitro... ragazzi forse non avete capito: noi abbiamo già vinto!" Partì un grande applauso che non scorderò mai".

#1 - Dopo la carriera da giocatore sei diventato allenatore: cosa ti ha spinto a rimanere nel mondo del calcio?

Avevo 16 anni e sono partito per Milano, sponda Inter, di notte, con il treno che partiva dalla stazione di Orbetello alle 2,30. Praticamente non sono più tornato a casa. Ho sempre vissuto di calcio: quando ho smesso di giocare ho fatto l’allenatore molto probabilmente perché non sapevo fare altro e amavo troppo questa vita. Penso sia andata così.

#2 - Sei stato a lungo stretto collaboratore di Jurgen Klinsmann quando era ct degli USA: com’è la situazione del calcio negli Stati Uniti a tuo giudizio?

Ci sarebbe molta voglia di crescere, ma a mio parere ci vorrà ancora molto tempo prima di vedere qualche risultato in assoluto. Faccio un piccolo esempio per dare un’idea di cosa è il calcio negli USA: nel 2016 con la nazionale abbiamo partecipato, ottenendo uno strepitoso quarto posto, alla Copa America Centenario che si teneva proprio negli USA. Ebbene, durante tutta la durata della competizione il campionato americano, la MLS , non si è mai fermato! Potrebbe mai accadere una cosa così in Europa? Non penso proprio. È tutto molto e troppo legato allo show. Anche le scelte di molti campioni ormai a fine carriera, strapagati per un ormai malinconico declino. Mi sembra un po’ di rivivere l’esperienza di molti anni fa con i Cosmos di Pelé, Beckenbauer e Chinaglia... non fu un grande successo. Anche a livello di singoli, se si esclude Pulisic del Borussia Dortmund, non ci sono grandi campioni in circolazione. Klinsmann ha provato a cambiare un po’ la situazione ma nonostante gli ottimi risultati avete visto quale è stato l’epilogo (USA non qualificati al Mondiale, ndr). Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire.

#3 - Una squadra, un compagno, un allenatore e un Presidente che ti è rimasto nel cuore

Mi ricordo tutto e tutti molto volentieri, sarebbe ingeneroso per tutti gli altri citare soltanto qualcuno.

#4 - Quale l'aneddoto calcistico più folle, curioso, strano della tua carriera?

Ce ne sono molti, ma quello che mi viene da raccontare è questo. Ultimo giorno del mercato di riparazione, mancano ormai massimo un paio di minuti alle 20, orario di chiusura delle trattative. Avevo da poco passato i vent’anni ed ero a Milano per trovare squadra, visto che il Siena non mi voleva più. Ormai rassegnato ad un ritorno a casa pieno di tristezza sento il mio direttore Efrem Dotti che inizia ad urlare, ma ad urlare veramente, mica per scherzo, come un pazzo: “Ma allora è possibile che questo qui non lo prende nessuno, questo è buono - toccandomi i muscoli delle cosce - se non diventa giocatore lui, mi mangio un gatto vivo e... nero!". Ci fu un attimo di silenzio e di stupore da parte di tutti. Un minuto dopo avevo firmato per il Rende, allora squadra di C1 calabrese. Incredibile!

#5 - Qual è l’avversario che ti ha messo più in crisi quando giocavi?

Un certo Gabriele Baldassarri che giocava con la Civitanovese: non lo presi mai per tutta la partita, mi fece venire il mal di testa... manco fosse Maradona!

#6 - Qual è il gol a cui sei più legato

È ormai il 95' di un Siena-Lucchese (Serie C2 '81-'82, 24 gennaio 1982, ndr), non avevo ancora vent'anni. Giocavo nel Siena e abbiamo una punizione da venticinque metri, ultima nostra possibilità. Io ero stravaccato in panchina, ormai spento nella delusione di non aver giocato neppure un minuto di quel derby sentitissimo. All’improvviso Guido Mammi, mio allenatore mi urla: “dai Stringa entra, vai a tirare te” . Non capisco bene, ma risvegliato a suon di parolacce dai miei compagni panchinari mi ritrovo nella mischia. Arrivo sulla palla ed il povero Bruno Beatrice urla a Paolo Tognarelli: “Daghela ben che fa gol”. Togna me la tocca e mi parte una sassata che si infila all’incrocio dei pali. Mi giro e inizio a correre, non capisco più nulla... mamma mia! Vedo la rete di cinta dei distinti che cade e tutta la gente che invade il campo! Sono stati i 50 metri più belli della mia vita. In tribuna quel giorno c’era anche mio babbo.

#7 - C'è un rimpianto nella tua carriera? Oppure qualcosa che hai fatto ma che se tornassi indietro cambieresti?

Nessun rimpianto. Rifarei esattamente tutto quello che ho fatto, perché come sono oggi lo devo anche al fatto di aver fatto certe scelte anche professionali e sinceramente oggi mi sento di essere una buona persona. 

#8 - Per il rush finale della stagione del fantacalcio ti chiediamo un giocatore su cui puntare, magari non tra i big. Partiamo dai portieri

Meret.

#9 - Un difensore?

Biraschi.

#10 - A centrocampo invece?

Barberis.

#11 - Chiudiamo con l'attaccante

Brignola.