Felipao è ai saluti. Dopo cinque stagioni, 177 presenze e 34 reti tra tutte le competizioni, il binomio Felipe Anderson - Lazio si interrompe. Era nell'aria, logica conseguenza del costante pressing del West Ham e di un contratto in scadenza nel 2020. Difficile dire di no a certe cifre, impensabile rischiare di andare incontro a spiacevoli situazioni da 'guerra fredda' con la società (vedi Keita e De Vrij, come casi più recenti). 30 milioni di euro nelle casse biancocelesti, oltre al 20% sulla futura eventuale rivendita del brasiliano.

Che cosa lascia in eredità Anderson alla Lazio e al calcio italiano? Il suo rendimento, anche in ottica fantacalcistica, può essere agevolmente rappresentato attraverso la più classica delle curve gaussiane. Quando da appena 20enne sbarcò in Italia, il 9 luglio del 2013, di lui si sapeva l'essenziale. Ovvero che giocava al Santos con un certo Neymar. Che era considerato uno dei principali potenziali top player pronto a esplodere. E che aveva tutti i mezzi tecnici per sfondare anche in Europa. Da valutare, però, l'impatto con la realtà del Belpaese, molto più ostica dal punto di vista della solidità difensiva e dei dettami tattici. In effetti, Felipe ci mette un bel po' ad ambientarsi. Al punto che la sua prima stagione, piuttosto travagliata per diversi motivi - specie fino all'esonero di Petkovic - scivola via tra pochissimi acuti (solo un gol in Europa League contro il Legia Varsavia) e tanti interrogativi. Uno su tutti: siamo sicuri che sia così forte?

La risposta non tarda troppo ad arrivare. L'uomo del destino, nel suo destino, si chiama Stefano Pioli. Capace di trasformare con estrema rapidità lo scetticismo cosmico dell'ambiente capitolino in un'esaltazione che raramente si era vista da quelle parti negli ultimi anni. Il tecnico di Parma riesce nell'impresa di trasformare più di un elemento a sua disposizione, 'estrapolando' da loro qualcosa che forse nemmeno i diretti interessati pensavano di possedere. Tra questi, appunto, c'è Felipe Anderson. Il primo indizio di una svolta a suon di magie arriva il 2 dicembre del 2014. E' un Lazio-Varese di Coppa Italia, niente di mirabolante. Eppure il gioiello che sforna il brasiliano è da vedere e rivedere: destro a incrociare dai 25 metri che si spegne nell'angolino basso. Minuto 81, 3-0, gara e qualificazione in cassaforte: è l'appuntamento con la storia. Già, perché da lì in poi lo specialista di Brasilia non si fermerà più. Il bis in campionato proprio a Parma cinque giorni più tardi, la maradoniana doppietta all'Inter, il fendente nel derby, la partita con la Samp da 9 in pagella (1 perla da fuori e 2 assist), giocate d'alta scuola a ripetizione. Totale: 10 centri in campionato (miglior dato personale di sempre) e terzo posto in saccoccia. 

Quell'anno, purtroppo per lui e per i tifosi, sarà comunque ricordato per aver fallito tutti gli obiettivi: finale di Coppa Italia, preliminare di Champions League, finale di Supercoppa italiana. Il preludio al benservito dato a Pioli, con allegato incarico affidato nelle mani di Simone Inzaghi. Che continua, con ampio merito, a tenerselo stretto. Con lui Felipe brilla solo a sprazzi, ma quando lo fa è una delizia per gli occhi.

Fino ad arrivare all'ultima stagione, quella che sarebbe dovuta essere della svolta. L'intesa con Immobile nel ritiro estivo fa tremare le vene ai polsi. Di quelle che spingono gli addetti ai lavori a fare paragoni pesanti con coppie-gol del passato più o meno recente biancoceleste. Poi ecco arrivare il problema fisico che non ti aspetti, che rovina i piani e spezza i sogni di gloria: tendinopatia inserzionale calcifica a carico dell’adduttore sinistro. "Dovrebbe recuperare per la Supercoppa del 13 agosto", assicurano i medici. E invece no. Il suo rientro in campo slitta clamorosamente a quattro mesi dopo. Girone d'andata, di fatto, interamente saltato. Nel frattempo, per sua sfortuna (o fortuna, dipende dai punti di vista), l'esperimento Luis Alberto + Milinkovic-Savic alle spalle di Ciruzzo porta i suoi meravigliosi frutti. Gli spazi, per Anderson, si riducono drasticamente e, anche quando recupera una forma fisica più che accettabile, è ormai troppo tardi per pretendere un posto da titolare. Ballottaggio costante, tante ottime giocate e altrettante talmente irritanti da mandarlo in tribuna senza pensarci su due volte.

Resteranno impresse davanti agli occhi le ultime reti contro Salisburgo e Inter, entrambe all'Olimpico. Tanto splendide quanto amare, ripensando poi all'epilogo di campionato ed Europa League. Rimpianti? Ce ne sono eccome. Avrebbe potuto dare molto, molto di più: non ci è riuscito, non soltanto per colpa sua. E poi la Supercoppa vinta l'anno scorso: nemmeno un minuto in campo per via dell'infortunio, nell'unico trofeo vinto dalla Lazio negli ultimi 5 anni. Un vero peccato. Adesso la nuova sfida si chiama West Ham, con quasi un altro decennio di calcio ad alti livelli davanti a sé.

Buon viaggio, Felipe: zero veleni, zero rimorsi e una valigia colma di speranze.