"I guài 'i ra pignàta 'i ssà ra cucchijàra chi bbirbirìja"

[I problemi che bollono in pentola li conosce solo il mestolo che vi gira dentro]

Gattuso capopopolo (getty)

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E' così che recita un celebre detto di Corigliano, provincia di Cosenza, Calabria ionica. 40mila abitanti, il più celebre dei quali, oggi, e ancora per un paio d'anni almeno, allenerà la sua squadra. Il Milan, per cui tifava da bambino, che ha trainato e trascinato, di spirito, cuore e corsa, in lungo e largo per il Mondo. E per 13, lunghi anni.

Poi, quando i guài hanno iniziato a sobbollire nella pignàta, Mirabelli e Fassone hanno pensato a lui. A l'allenatore della Primavera, che in estate aveva accettato di fare un passo indietro, pur di tornare a casa. A rigirare il mestolo non nella pignàta, ma nel pentolino in cui cuociono le promesse rossonere del Milan che verrà. E che lui, purtroppo o per fortuna, non ha avuto il tempo di portare a cottura.

Già, doveva passare a fare lo chef, al posto di quell'altro, che aveva fatto scuocere la pasta e bruciare il condimento. E allora a fine Novembre Ivan Gennaro Gattuso ha smesso i panni di tecnico della Primavera, ed è passato nella cucina dei grandi. 

Motivo? L'innata verve, il profondo senso d'appartenenza, ma soprattutto la profonda conoscenza dei problemi d'un gruppo che - pur non avendo mai conosciuto - è riuscito a capire nell'arco di una manciata di settimane.

Ci ha messo poco, Ringhio, a farsi mestolo della pignàta, ed, in quanto tale, anche risolutore. Semplificatore, verrebbe da dire, visto che gli è bastato mettere ogni giocatore al suo posto più naturale, per dare la retta via - quanto meno tattica - ad un gruppo ch'era stato spremuto dalle sperimentazioni alchemiche di Montella, frattanto volato via in Spagna in una Lega che certamente sembra più adatta alla sua idea di calcio. Pochi giorni prima del suo esonero scrivevo, sempre in questo spazio, che "Esonerare Montella serviva per capire quanto valeva realmente questo Milan, non necessariamente per migliorarlo". E a conti fatti, una valutazione oggi è stata fatta eccome: pur senza fare mercato a gennaio, e senza sapere che competizione giocherà il Diavolo il prossimo anno (ma ci arriveremo), la dirigenza rossonera almeno sa che può partire da una base di discreto valore. E che in estate, anche a costo di sacrificare 1-2 pezzi pregiati della rosa, servirà solo inserire alcuni tasselli di complemento di livello pari o superiore, e allungare la panchina, per migliorarla ulteriormente. 

Il grosso, d'altra parte, l'ha già fatto Rino. Che al di là della chiarezza tecnico-tattica, è riuscito a trasferirsi interamente, a livello morale e psicologico, nell'impeto dei suoi ragazzi. Un passaggio imprescindibile per trasformare in una squadra un eterogeneo gruppo di nuovi acquisti, ancora da plasmare e formare nell'ottica di rifare una squadra sulle ceneri di quella, ormai mediocre, che aveva lasciato la proprietà precedente. 

Il suo lavoro era percepibile, pur non concreto, già dopo un mesetto dal suo arrivo. A inizio gennaio, dopo la certo non mirabile vittoria interna contro il Crotone (striminzito 1-0 con gol fortunoso di Bonucci), riflettevo sulle potenzialità di quella squadra, che finalmente aveva iniziato non solo a darsi una conformazione e un'identità, ma soprattutto ad aiutarsi. D'altra parte, sospinta dalla grinta d'uno come lui, in panchina, sempre in bilico tra l'embolo e il ruggito, non poteva essere altrimenti. E prima che iniziasse una lunga striscia di risultati positivi, proprio in queste pagine, chiedevo, un po' retoricamente, "E se nel 2018 Gattuso diventasse un (vero) allenatore e il Milan diventasse una (vera) squadra?".

Beh, ci avevo preso. Da allora in avanti, di fatto, gli unici veri inciampi il Milan li ha avuti contro la Juventus, pur giocando per almeno 45' un calcio anche superiore a quello dell'avversaria, e nella doppia sfida contro l'Arsenal in Europa. Ovvero, contro due squadre troppo superiori, per esperienza e profondità della rosa, per colmare il gap con la tenacia e l'intensità. 

Il pari col Sassuolo, figlio di una squadra spompata e che ha ormai perso l'impeto battagliero di qualche tempo fa, rappresenta un passaggio negativo ma fisiologico. La tenuta fisica, però, c'è ancora (come denota il costante possesso palla, e il fatto che il Milan abbia provato sino alla fine), e questo è buon segno: mancano, però, la lucidità tipica dei grandi e i colpi di genio dei fenomeni. E, purtroppo, quelli ce li hanno solo la Juventus (pochi) e le big d'Europa: una ristretta cerchie di elette, per merito, in cui il Milan ancora non rientra.  

I punti che separano oggi Gattuso da un miracolo improbabile chiamato Champions League sono tantissimi (8, virtualmente 9 per i tanti scontri diretti a sfavore), ma meno di quelli che al momento del suo avvento tenevano lontano il Milan dall'agognato quarto posto.

Non sono serviti, a posteriori, gli inaspettati e clamorosi KO di Inter e Roma, ma l'impressione è che, soprattutto in questa fase stagionale - vedi anche le ottime prestazioni dei Chievo a Napoli e del Benevento contro la capolista - ogni risultato possa essere possibile, anche da parte della squadra meno quotata. Per questo motivo il Milan, pur essendo atteso ora dalla partita più difficile che gli rimane, da qui a fine campionato (domenica a San Siro arriva il Napoli), deve continuare a crederci. 

E se, com'è oramai molto probabile, a fine stagione ancora non dovesse arrivare il ritorno in Champions che è la dimensione più ordinaria d'una squadra che quella competizione ce l'ha nel DNA, il progetto andrà comunque avanti.

Dopo il rinnovo di Gattuso fino al 2021 è giusto dare al ragazzo di Calabria ancora un'annata al timone: importante, da parte dei vertici, sarà però non farsi tentare dalle molteplici occasioni che il mercato degli allenatori sembra poter offrire da qui a un paio di mesi.

Il mestolo della propria pentola il Milan già ce l'ha, e sarà quindi giusto usare quello anche per porzionare, impiattare, rifinire e mettere a tavola il piatto che verrà. 

E se per gustarlo servirà attendere ancora un anno, poco importa: dopo un digiuno così lungo, sarà meglio farsi attrarre da un sapore ricco e genuino come quello che chef Rino può offrire ai suoi commensali. La cui fame atavica, peraltro, è la stessa di chi cucina.