Onore al merito. E, questa settimana, va tutto a Massimo Oddo. Uno che in carriera ha vinto tutto e il contrario di tutto, e che da allenatore sta dimostrando che, pur senza avere a disposizione risorse tecniche di livello, si può far bene. Anzi, benissimo.

Quando i Pozzo lo hanno chiamato, dopo una decina di mesi di "disoccupazione", l'Udinese abitava i bassifondi della classifica. Delneri cambiava formazione praticamente ogni settimana, le ampie capacità soprattutto dei centrocampisti erano usate solo col contagocce, e lo score stagionale segnava 5 vittorie e 8 sconfitte, in 13 partite. Un rendimento davvero misero, per una squadra che, pur avendo perso la sua coppia d'attacco titolare (Zapata-Thereau), li aveva sostituiti con dei profili similari, pur di non pari livello, e che aveva puntato sulla conferma del suo scheletro. A cui, come sempre, ha deciso di affiancare qualche profilo emergente (Barak, Ingelsson, Baijc, Nuytinck, Pezzella) e qualche nome di garanzia (Behrami, Bizzarri, Maxi Lopez).

Insomma, la solita Udinese. Parzialmente rinnovata, intelligentemente costruita, obbligata a riscoprirsi, come ogni anno. Eppure il tecnico di Aquileia, che l'anno scorso era stato bravo a ottimizzare il rendimento dei suoi, fin dall'inizio della stagione ha sofferto. E quando le sconfitte sono diventate troppe, e la squadra s'è ritrovata a soli tre punti dalla zona salvezza, la società ha pensato di esonerarlo. La scelta è ricaduta su di lui. Profilo giovane, tatticamente duttile, calcisticamente moderno, quello di Oddo s'è rivelato sin da subito il nome più adatto per una piazza storicamente attesa, nel suo proiettare anche sino all'Olimpo del calcio mondiale dei ragazzi che prima hanno sempre fatto la propria, doverosa, gavetta in Friuli. Difesa a tre, e centrocampo a cinque; intermedi liberi di tagliare in avanti, trequartista duttile e nessun punto di riferimento: questi i diktat di Oddo. Che ha deciso anche di variare, leggermente, il modulo. E passare al 3-5-1-1 che, per quanto possa sembrare difficile da applicare, sino a poco tempo fa era il modulo base di ben 6 squadre del nostro calcio: il primissimo Milan di Gattuso (e quello di Montella), il Genoa di Ballardini, il Cagliari di Lopez, l'Atalanta di Gasperini, la Lazio di Inzaghi. Ed, ovviamente, l'Udinese di Oddo. Tratto comune che distingue l'alto rendimento di (quasi) tutte le squadre suddette? L'utilizzo di mezzali capaci di inserirsi con immane pericolosità. Barak, Jankto, Cristante, Milinkovic, Barella, Rigoni sono tutti ragazzi capaci di fare la differenza in area avversaria coi propri inserimenti, oltre che pupilli dei propri fantallenatori per questa loro innata capacità: resa possibile, ovviamente, per via della difesa che spesso si stringe diventando a 5, e dei loro compagni di reparto bravi a coprirne le scorribande offensive. Un'idea di calcio che Oddo, che a Pescara ha sempre giocato con il 4-3-3 o con il 4-3-2-1, ha capito subito di poter realizzare.

E che ha funzionato anche stavolta, nel campo più ostico: a San Siro, contro l'imbattuta capolista, che sinora aveva subito solo 10 gol in 16 giornate. Tre gliel'ha rifilati, clamorosamente, l'Udinese.

Merito di ragazzi che sono scesi in campo, ovviamente, ma soprattutto del loro tecnico. Che è riuscito a imbrigliare Icardi in una gabbia fatta di due centrali alla volta, ed a concedergli un solo tiro in porta (che per la qualità del capitano nerazzurro, ha ovviamente tramutato in gol). Ma non solo: Stryger Larsen e Widmer sono riusciti coi loro raddoppi a tenere a bada Perisic, mentre il filtro di Fofana - pur non essendo in grado di far ripartire l'azione per la limitatezza dei mezzi tecnici - è bastato per silenziare le incursioni tanto di Vecino, quanto di Borja Valero. Sono bastati poi Lasagna, De Paul e Jankto per far male ad uno Skriniar in giornata no, al pari di Santon. Risultato: vetta abbandonata, e Udinese vicina alla prima metà della classifica. Con un rendimento personale, per il nuovo allenatore, di tutto rispetto: 4 vittorie il 5 partite, una sola sconfitta (immeritata, e di misura) contro il Napoli; 16 gol fatti e 5 subiti, a dispetto di chi teorizza che la difesa a tre non consenta di essere prolifici in zona gol. Oddo ci riesce, e dimostra a tutti i meriti d'una generazione, quella dei campioni del Mondo del 2006, che anche una volta smessi gli scarpini da gioco sta ancora oggi dimostrando il proprio valore. A partire da Inzaghi, che oggi conduce un egregio Venezia, sino ad arrivare a Gattuso ed allo stesso Oddo. Due che esattamente 10 anni fa - era il 16 dicembre del 2007 - festeggiavano insieme la vittoria del Mondiale per club, dopo aver già insieme celebrato quello per Nazionali, e che ora si ritrovano entrambi, profeti in patria, sulle rispettive panchine di Serie A. Amici da sempre, avversari solo tra un mese e mezzo, quando al Friuli si giocherà Udinese-Milan. Ed arriverà il momento di rivangare all'unisono i bei tempi andati, quando Rino infilava le forchette nella coscia di Massimo: quelli in cui nessuno dei due avrebbe mai immaginato tanto di allenare il Milan, quanto di battere l'Inter, sempre da allenatore. Roba da Rino Gattuso. E da Massimo Oddo.