Alla lunga la Juventus viene fuori. Viene sempre fuori. Così è stato negli ultimi 6 campionati, anche quando le cose sembrava avessero inoppugnabilmente preso una piega pessima, e così, lentamente, sta accadendo anche quest'anno. E questa, in effetti, è stata la sensazione percepita anche ieri: il pallino dell'incontro più atteso, il derby d'Italia allo Stadium, l'ha tenuto sempre la Signora. E, forse, l'avrebbe anche vinto, se a Dybala (o Douglas Costa) ed al 4-2-3-1 (che per inciso Spalletti, invece, non ha avuto paura di schierare dal 1') fossero stati concessi qualcosa in più dei 16' finali. Anche senza il modulo a 4 stelle, però, la Juventus ha giocato con la stessa verve ed il piglio di sempre: concentrata, quadrata, sempre prima sulle seconde palle e pronta a rovesciare la manovra. E non è roba da poco. Perché questa sensazione, nell'ultimo mese e mezzo, un po' s'era sfumata. Eppure, davanti a sé s'è trovato chi, vestendo i panni della Juventus stessa, è riuscita ad incassare colpo su colpo, senza mai accusarne uno. E non solo grazie a Skriniar.

Luciano Spalletti (getty)

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Le squadre vincenti, soprattutto in Italia, non sono mai quelle capaci di produrre sul campo il gioco migliore. Ne è estrema sintesi il Napoli, che da un anno e mezzo gioca al meglio non delle proprie, ma delle possibilità altrui, e non alza un trofeo da oltre 3 anni. Tutte cose che un vincente più di indole che di palmares come Luciano Spalletti sa benissimo. E che ha imparato durante la sua prima, emozionante, traversata romana, tra il 2005 e il 2009: anni tosti, per Luciano, che si ritrovò a duellare ogni anno con la stessa Inter di cui oggi è padre e magistero. Durante quel ciclo, pur esprimendo un calcio piacevolissimo e fiabescamente spregiudicato, si ritrovò volta dopo volta a soccombere, e pur godendo d'una rosa eccellente e d'un gioco migliore, dovette accontentarsi delle briciole (due Coppa Italia e una Supercoppa). Il motivo? L'Inter di Mancini era molto più solida, quadrata, difensivamente accorta. E tra il 2005 e il 2008, anni dei tre scudetti del Mancio e dei tre secondi posti di Spalletti, la squadra nerazzurra perse solo 12 partite di campionato, rispetto alle 18 della Roma. Sei sconfitte in più, spalmate lungo tre anni, pur sembrando poche sanno e possono fare la differenza eccome: e così fu. Un percorso che ha segnato non poco la crescita del Certaldino, che da quest'estate, mantendo sostanzialmente invariato l'assetto offensivo, ha lavorato tantissimo sul come tener botta. Soprattutto dinanzi a corazzate come Napoli e Juventus, che inevitabilmente gli partivano dinanzi.

Milan Skriniar (getty)

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Milan Skriniar ad oggi è la sua più bella e riuscita scelta. Sarò sincero: in estate la scelta di investire una quindicina di milioni, oltre che sacrificare il cartellino di Caprari, per averlo in nerazzurro, mi sembrava una follia. Chi come me lo ha visto ripetutamente giocare a Genova, lo scorso anno, sa bene che non trattàvasi certo di un novello Stam. Per le ripetute impurità difensive, le disattenzioni in area che spesso e volentieri causavano falli da rigore, ma anche per un ruolo ancora non bene definito, visto che il ragazzo era arrivato in Liguria da mediano difensivo (ruolo ancora ricoperto in Nazionale) e che Giampaolo ci aveva lavorato su tutta l'estate, prima di di insegnargli come stare al fianco di Silvestre. Un lavoro certosino che Spalletti ha perfettamente portato a termine: oggi questo ragazzo è il migliore centrale del campionato, e quelle rarissime volte in cui non porta a termine il compito, ci pensano la fortuna e il suo compagno di reparto a coprirgli le spalle. Un merito, certo non un difetto. E la prova tangibile di quanto sia essenziale, sono i numeri: l'Inter non solo ha la miglior difesa del campionato, ma è riuscita a non fari segnare dalla Juventus in stagione a secco solo col Barcellona, ma che soprattutto andava a segno in casa da 45 gare consecutive. Un'impresa non banale, ripetuta anche contro il Napoli. Roba da vincenti. E che assume ancora più valore se si ripensa agli orrori a cui abbiamo assistito l'anno scorso: 49 gol subiti. Ad oggi sono solo 10: e se si pensa che tutto ciò sia accaduto solo cambiando allenatore, ed aggiungendo un tassello ai quattro quinti del reparto già visti insieme l'anno scorso, diventa una gemma di immane valore. E che fa intendere perfettamente, a chi non lo avesse ancora capito, quale sia il reale valore dell'allenatore, e delle scelte mirate in sede di calciomercato.

Basterà tutto ciò per continuare a sognare uno Scudetto che manca da 7 anni? Probabilmente no, perché il Napoli, pur nonostante infortuni che avrebbero tagliato le gambe a chiunque, continua a giocare meglio di chiunque altro, e da qui in avanti non avrà più l'assillo della Champions. E perché la Juventus, avendo la rosa più lunga e completa, e facendo una preparazione che per ovvi motivi la porterà al massimo della condizione solo tra un paio di mesi, a breve ricomincerà a odorare la vetta. Prestazioni del genere, in ogni caso, rimangono. E chi è riuscita, nel girone d'andata, a vincere il derby col Milan, battere la Roma, e non subire gol da Napoli e Juventus, non può non continuare a lottare per ribaltare un pronostico che la vede inferiore praticamente in (quasi) ogni sede, alle sue avversarie dirette. Il calcio, d'altra parte, è bello proprio per questo. E nell'anno in cui il pallone nostrano, finalmente, torna a regalare a tifosi ed appassionati un campionato così equilibrato, con almeno 4 contendenti a darsi battaglia, non ci meraviglieremmo poi così tanto, se a fine stagione Luciano Spalletti, messi in opera tutti gli insegnamenti d'una carriera che ancora gli ha dato troppi pochi trofei in funzione dei meriti, vincesse il suo primo Scudetto. Dovesse essere così, certamente, non sarà stato solo merito di Icardi e Perisic. Anzi.