Te ne sei innamorato, e l'amerai ancora. Forse proprio per questo suo essere scostante, vanitosa, ribelle. Masochista e anarchica, come nella sua natura. Per questo, dicono ai tifosi interisti, amala

Come se fosse un invito, un memorandum da non disperdere, un sollecito - seppur incoraggiante e morbido - di cui far rito e ritornello, appena ce n'è bisogno. E non potrebbe essercene bisogno più di ora, dopo due mesi senza vittorie, l'estromissione dall'unica competizione extra campionato che c'era disposizione, ed a margine d'un clamoroso pareggio interno che, essendo arrivato per mano di chi quell'amala ce l'ha tatuato sul cuore, forse fa meno male. Forse.

Walter Zenga a San Siro, ma ancora da avversario (getty)

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Il day after Inter - Crotone (1-1) è proprio così. Un misto di rabbia e stupore, che si annacqua emotivamente nella presa di coscienza di un percorso, quello che è seguito al furibondo cappotto contro il Chievo, che recita, così, mestamente:

10 partite senza vittoria, 8 delle quali in campionato, che hanno portato Spalletti a eguagliare la peggior striscia negativa nerazzurra di partite senza successi in Serie A (8). E ad aprire un nuovo, angosciante, dilemma: e se nonostante un girone d'andata giocato comunque ad altissimi livelli, in cui difesa e attacco giravano come lancette d'un orologio svizzero fresco di revisione e carica, questa squadra riuscisse davvero a non qualificarsi in Champions?

I sensazionalismi dei primi tre mesi di stagione, in ogni caso, li avevamo già lasciati agli illusi. Il 22 ottobre scorso, mentre tutti elogiavano la squadra ch'era riuscita a mettere i bastoni tra le ruote all'assatanato Napoli, pur confermando quanto di solido a livello tattico e mentale quella squadra riusciva a dimostrare al San Paolo, già scrivevo che i margini per andare oltre il 4° posto non c'erano. Già, e sembra difficile sbagliarsi, visto che la Lazio ha dimostrato di poter fare ancora meglio di quanto sembrava poter esprimere, all'epoca, e che al vertice come era facile pronosticare già in estate la lotta sarebbe stata a due. 

Anche perché i limiti di una rosa che già all'epoca era asciutta e che non è stata sufficientemente completata a gennaio, già all'epoca erano intuibili. Con una differenza, però: nelle prime 15 partite Spalletti era riuscito a procedere senza intoppi, senza sfortuna alcuna, senza casualità negative, infortuni e turnazioni improvvisate. Poi, quando il fisiologico calo di qualcuno, e la necessità di variare hanno reso necessario l'introduzione di nuovi elementi tecnico-tattici, il giochino s'è sfasciato. E ora sta allo stesso certaldino ricostruirlo. E i margini per farlo, per quanto il momento possa sembrare nero più che nerazzurro, ci sono tutti.

Rafinha Alcantara (getty)

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Anzitutto, perché è arrivato Rafinha Alcantara. Un acquisto passato assai, inspiegabilmente, in sordina. Il motivo? Perché subito dopo Ausilio e Sabatini si sono mossi in un'altra direzione. Più suggestiva (ma non onerosa, visto che il prezzo del cartellino è similare), affascinante, fragorosa per i padiglioni auricolari e i cuori assetati di talento dei tifosi. 

Ovvero, Pastore: el Flaco triste a Parigi, che si sogna di riportare nel campionato che lo lanciò, e che già in molti ricordano e venerano dopo averlo visto all'opera a Palermo. Ma siamo sicuri che Rafinha non possa essere addirittura meglio?

I molteplici video delle skills di un calciatore sono pane solo per i denti degli onanisti di questo sport. Roba da far decantare come calice di Oreno Sette Ponti durante una notte passata insonne a girovagare su Youtube, con la stessa indolenza con cui Perisic ha sciupato almeno tre limpide occasioni, in area piccola. Ma in questo caso potrebbe essere d'insegnamento. 

Perché Rafinha, pur non essendo specificamente il giocatore che Spalletti preferisce nella posizione di trequartista centrale (e per quello ci sono solo due nomi: Nainggolan e Vidal, entrambi trattati inutilmente in estate), è comunque il giocatore che fa al caso dell'Inter. Non è un attaccante, ma un giocatore di collegamento tra i reparti. Non è un rifinitore puro (alla Pastore), ma piuttosto un collante atto a creare gioco e occasioni: prende palla nei dintorni del cerchio di centrocampo o sulla trequarti (anche decentrandosi, se si rende conto che il traffico per vie centrali è troppo fitto), salta l'uomo e produce calcio.

Un dribbling, anche due, poi un passaggio, un'apertura, un filtrante. Quando può si inserisce, perché resta comunque uno che viaggia alla benemerita media di un gol ogni 5-6 partite, ma preferibilmente fa altro. Esattamente quello che serve all'Inter: una via d'uscita tattica, rispetto al canone sterile del cross di Candreva o delle accelerazioni di Perisic. Ed in questa fase, in cui entrambe mancano come il pane sia a Icardi che al progredire in classifica della squadra, non può che essere un bene.

Spalletti l'ha capito subito. L'ha provato prima alto a destra, prima di capire che non ha l'intensità e lo sprint necessario, poi da mezzala, come già accadeva talvolta a Barcellona. Poi, quando s'è reso conto che servivano degli spunti più che delle idee - e per quello, invece, sarebbe stato più indicato appunto Pastore - , ieri l'ha messo lì in mezzo. Nel vivo del gioco, alle spalle di Eder, con la necessaria libertà per poter far girare tutti gli altri. Gli mancano ancora minuti e resistenza, ma i primi scampoli di talento si sono già visti. E se, come spera l'Inter, riuscirà a ritrovare entrambe da qui a fine stagione, forse si troveranno addirittura i 35 milioni che servono per riscattarlo.

L'altra certezza da cui deve ripartire Spalletti è Joao Cancelo. L'unico a salvarsi, nell'ultimo mese, quando gli è stata data fiducia, ed a creare rifornimenti per il centravanti, ieri è stato rimesso in panchina a vantaggio di Dalbert. Un'occasione che il tecnico che ha voluto dare, inaspettatamente, allo spaesato brasiliano, che un po' come Santon deve però accettare che altri producono più di lui, in ambo le fasi. E gli altri, dopo la partenza di Nagatomo, sono proprio Cancelo e D'Ambrosio.

Quest'ultimo, sì, può adattarsi a sinistra, a differenza del portoghese, che ha espressamente richiesto di poter essere schierato lì dove ha sempre giocato, ovvero a destra. Per questo motivo il tecnico ora deve nuovamente cristallizzare le gerarchie, e congelare le sperimentazioni: posto che Miranda e Skriniar sono una coppia già sufficientemente rodata per reggere l'urto nonostante il bilancino della squadra sia spostato più in avanti rispetto al solito, i due terzini più alto-spingenti della rosa vanno rischiati entrambi, insieme ad un centrocampo in cui il solo Borja Valero deve essere l'inamovibile, con Gagliardini o Vecino al suo fianco, a seconda dell'avversario e delle condizioni di forma dei due.

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Può esser questo, forse, l'unico modo per uscire da un tunnel di negazione e negatività in cui solo per via delle sue mancanze l'Inter s'è tuffata. Il tempo per tornare ai fasti di inizio anno, in realtà, ancora ci sono tutti. Nelle prossime tre arriveranno Bologna e Benevento in casa, e Genoa fuori. E questa squadra, questo 11, i mezzi per fare 9 punti ce li ha tutti. 

Anche se Pastore non è arrivato, provocando l'ira furibonda di chi, forse, solo ieri sera nei 25 minuti finali, ha intuito che Rafinha potrebbe essere addirittura meglio. Anche perché, a differenza del Flaco, a pari investimento potrebbe esser tratto un giocatore ancora assai futuribile, che non a caso il Barcellona ha concesso non ad una diretta avversaria per la Champions, ma ad una squadra che quella stessa Champions ancora deve conquistarsela, a morsi e sudore, ritornando sé stessa. Riconsegnandosi quell'identità che pur non essendo sfavillante, quantomeno garantiva un rendimento costante e lineare. Due parole che con Dalbert (o Santon) e Brozovic in questo momento non possono andare a braccetto. E neanche con Perisic e Icardi, ovviamente. Che però, nonostante il momento pessimo di entrambi, visto quanto fatto finora non possono non tornare ai livelli che conosciamo.