Da quando esiste il calcio professionistico e di conseguenza il calcio mercato, ovvero dagli anni ‘80 dell’Ottocento in Inghilterra, i casi come quello di Simone Verdi sono una marea. Giocatori che decidono di dire di no ad una proposta economicamente allettante di un club più forte di quello in cui giocano ce ne sono stati a tutte le latitudini e per i motivi più vari. Soldi, famiglia, rivalità, legami affettivi, voglia di giocare: c’è tanto dietro un No, grazie detto dal Grande Campione così come dall’ultimo degli attaccanti di Serie C. La storia del calcio italiano è piena di episodi del genere e la vicenda del #9 del Bologna ci dà lo spunto per un tuffo nel passato.

Ferenc Puskas nel 1947 ha 20 anni ma è già un giocatore divino con quel sinistro che incanta tutti, soprattutto la Juventus. I bianconeri provano a convincerlo a lasciare Budapest, l’Honved e l’Ungheria e sbarcare in Piemonte per contrastare l’egemonia della rivale cittadina, non un Torino qualsiasi ma il Grande Torino. Puskas prima tentenna, poi si convince e sta per accettare ma il pianto a dirotto della fidanzata Elisabetta, sua futura moglie, lo persuade a rimanere lì dov’è.

Non sarà l’ultimo rifiuto che la Juve incasserà nella sua storia. Gigi Riva più volte respinge il corteggiamento della Vecchia Signora perché sa che non avrebbe retto le lacrime non della sua compagna, non di tutta Cagliari ma di tutta la Sardegna. Nell’estate del 1970 arriva l’offerta di un miliardo di lire al club e uno stipendio triplo al giocatore ma non c’è niente da fare: Riva vuole rimanere a casa sua. Neanche il Milan nel ‘74 riesce nell’impresa nonostante le pressioni della dirigenza rossoblu.

Anche un sardo non acquisito ma purosangue come Pietro Paolo Virdis si nega alla Juve una prima volta nel ‘76, nonostante la retrocessione in B, ma non può opporsi l’estate successiva: è un sì legato soprattutto al voler aiutare le casse del suo Cagliari, malinconicamente vuote.

In epoca più recente, nell’estate del 2010, Antonio Di Natale vuole rimanere ad Udine non cedendo alle lusinghe della Juve. Anni dopo Totò motiva quella scelta con la volontà di non spostare la famiglia da quella che, come per Riva con Cagliari, era diventata la sua Casa d’adozione. E infine c’è Domenico Berardi, che alla Juventus ha preferito almeno per ora il Sassuolo. “Il no alla Juventus, in realtà, per come lo dissi io, non fu un no. Il mio era un sì ai neroverdi, il sì che a loro fra l’altro non avevo mai detto”: parole che assomigliano molto a quelle di Simone Verdi, pur nella diversità delle situazioni.

Domenico Berardi (Getty Images)

+

C'è anche chi ha preferito rimanere alla Juve come Pavel Nedved che declinò il corteggiamento di Mourinho per portarlo all'Inter. Nerazzurri che sempre nell'estate del 2009 incassarono il no del bielorusso Aljaksandr Hleb, in forza al Barcellona, che preferì lo Stoccarda. Mou ripiegò poi su Wesley Sneijder e non gli andò malissimo.

Non si può considerare davvero clamorosa la serie di No pronunciati da Francesco Totti. Nel corso della sua carriera il Pupone è stato più volte tentato, soprattutto dal Real Madrid e dalle milanesi, ma non se l'è mai sentita di lasciare la sua Roma. Neppure quando la società avrebbe avuto bisogno dei soldi della sua cessione per rimettersi in sesto. Legame indissolubile, impossibile da spezzare: Totti è la Roma, la Roma è Totti. Anche adesso che si è tolto la 10 e si veste in giacca e cravatta.

Discorso applicabile anche per Marek Hamsik con il Napoli - no al Milan nel 2011, no alla Juve nel 2015 - e per Gabriel Batistuta con la Fiorentina. Batigol però alla fine ha dovuto cedere non tanto alle lusinghe della Roma, quanto al fatto che nel 2000 la Viola versava già in pessime acque finanziarie. E ovviamente al primo incrocio con il suo amore calcistico Bati segna, eccome se segna.

Tenetevi il miliardo! Una frase ad effetto che torna utile anche come titolo del libro nel quale Cristiano Lucarelli racconta il rifiuto all’offerta del Torino nel 2004 pur di rimanere a Livorno. Di fatto la comproprietà tra i due club la decide il giocatore, troppo voglioso di giocare con la maglia amaranto e per i suoi concittadini. Un amore che, per le vicende del Corriere di Livorno e altre vicissitudini giudiziarie, sembra essere finito ma questa è un’altra storia.

A volte succede poi che siano gli stessi tifosi a dire no, ad impedire il trasferimento di un loro beniamino. Il caso più eclatante è senza dubbio datato 11 giugno 1995: i sostenitori della Lazio si riversano nelle strade di Roma per ritrovarsi sotto la sede del club perché di vedere Giuseppe Signori ceduto al Parma proprio non ne vogliono sapere. L’affare è già definito ma la reazione dei tifosi fa saltare tutto: il patron biancoceleste Cragnotti e gli altri dirigenti sono costretti a fare marcia indietro. Lo stesso Cragnotti minaccia di vendere il club ma poi resterà al suo posto. Signori vincerà la classifica cannonieri ‘95-’96 ma non durerà ancora a lungo a Roma: nel dicembre ‘97 va alla Samp e questa volta senza sommosse popolari.

Ci sono poi due casi più curiosi di altri e che riguardano entrambi stranieri trattati a lungo dai nostri club ma che poi hanno declinato l'offerta. Nel 2006 la Roma è a meno di un passo da Lee Young-Pyo, terzino sudcoreano in forza al Tottenham. I giallorossi hanno l'accordo con gli Spurs e con il procuratore del giocatore che però a cose praticamente fatte blocca tutto. "Non viene per motivi religiosi" fa sapere l'allora ds della Roma Pradè. "Non è vero: ho altri motivi personali. Quali? Non posso dirlo" ribatte Lee. Resta il mistero a distanza di anni.
Non c'è mistero invece nel No di Jan Ceulemans. Uno dei più talentuosi belgi di tutti i tempi e colonna del Bruges nel 1981 è vicinissimo al Milan, anzi si può dire che l'affare è chiuso. Accordo con il club, accordo con il giocatore. Tutto fatto? Macché. "Tu in Italia? Non se ne parla! Tu resti in Belgio": Jan obbedisce a mamma Ceulemans e la trattativa salta.