La maggior parte di noi, fidatevi, ancora non ha realizzato cos'è appena successo. Me compreso, ovviamente, visto che sono qui, davanti ad un PC, con le pupille rivolte verso il monitor e contemporaneamente, per assurdo, con lo sguardo perso nel vuoto.

Già. L'Italia è fuori dai Mondiali, e stavolta prima ancora che comincino.

Le lacrime di Buffon, che a 40 anni non potrà avere un'ultima, favolistica, occasione.

Il silenzio di Ventura, che per decine e decine di minuti ha guardato col capo chino la verde erbetta di San Siro, e che per decine e decine di giorni ha vissuto, inconsapevolmente, una fase di inconcepibile cataratta tecnico-tattica.

L'asfissia di milioni di italiani. Che, no, non hanno ancora capito. E non lo faranno domani, né la prossima settimana, né tra un mese, perché già da sabato sfogheranno la propria rabbia repressa nel consueto odio tra tifoserie. Si, perché quanto di male ed imprevisto è successo stanotte, e venerdi scorso a Solna, e negli ultimi mesi della Nazionale, lo pagheremo a caro prezzo solo a maggio del 2018. Quando vedremo il resto del Mondo pallonaro armarsi di coraggio e bardato di sogni, pronto a volare verso l'avventura più bella e agognata di ogni sportivo. Di ogni calciatore. Di ogni bambino.

Noi no.

Organizzeremo un paio di amichevoli per dare il via al nuovo corso, che sarà affidato ad un selezionatore certo più esperto, oltre che più solido e meno attaccabile, di Gianpiero Ventura. Che sì, ha fallito miseramente, ma contro il quale inveire, adesso, non ha alcun senso. Le sue dimissioni - che poi siano, formalmente, revoca del rinnovo contrattuale per via dell'eliminazione, poco cambia - arriveranno nelle prossime ore, quando inizierà anche il processo a Carlo Tavecchio, che a sua volta dovrà moralmente farsi da parte. La ricostruzione a partire dalle fondamenta, da qualcuno tanto auspicata ed addirittura - folli - sperata, anche a costo di non partire per la Russia, è già iniziata. Il nuovo ciclo vivrà non più di Buffon, di De Rossi e di Barzagli, ma di tanti giovani e giovanissimi che già hanno dimostrato di poterci far risorgere. Basterà, non basterà, boh. Solo il tempo ce lo saprà dire. Quel che è certo è che abbiamo detto le stesse cose dopo i Mondiali del 2010, e dopo quelli del 2014. E le cose, sino a prova contraria, sono addirittura peggiorate, se si escludono i due buoni Europei disputati, che in ogni caso nulla hanno a che vedere con la kermesse che, se tutto andrà bene, potremo ricominciare a vivere tra 5, lunghissimi, anni. Una maledizione che non ci meritiamo, nonostante le prove opache di molti dei nostri giocatori, le scelte scellerate del tecnico e la scarsa lungimiranza della Federazione. Non ce lo meritiamo perché nessuno, neanche il non aver segnato neanche un gol in 180' contro la Svezia, ci convincerà che siamo peggio di Berg, Johannson, Krafth, Rodhen, Granqvist e Augustinsson. Niente basterà a renderci edotti del fatto che per tornare a nuova vita serve prima morire. E non ci saranno mai parole tali da farci realizzare che, dopo due anni di qualificazioni, non parteciperemo al Mondiale. Per la prima volta in 60 anni. Forse perché semplicemente non è vero. O, più probabilmente, perché ancora non ce ne siamo resi conto. E, tutto sommato, forse è l'unica cosa buona degli ultimi quattro giorni. Da oggi sino ad allora, al momento dell'elaborazione del lutto, però, vagheremo nei buio e nell'ignominia. Che è sempre peggio di tutto. Anche della sconfitta.