Nel calcio l'equivalente dell' "E' nato prima l'uovo o la gallina?" è una domanda sibillina che riguarda gli allenatori. Gli allenatori, ed il peso specifico che hanno nell'incisività, positiva o negativa, della propria squadra. Ovvero, detto in soldoni: quanto può essere merito del tecnico se una squadra vince? E quanto può dipendere da lui se una squadra perde? 

Spesso questi enigmi non hanno soluzione. E, anzi, si danno meriti in più ad allenatori che hanno solo e semplicemente gestito un gruppo fatto da calciatori talmente grandi da renderne il contributo un mero complemento formale. O, viceversa, si penalizzano (e esonerano) figure che, avendo in mano squadre pessime, pur traendone fuori il massimo, non riescono a raggiungere i minimi risultati necessari a sopravvivere. 

In questo buco nero del gioco del pallone è ricaduto, clamorosamente, anche il Milan. Il nuovo Milan dei cinesi, che in estate, pur indebitandosi peggio che Paperino nei confronti di Zio Paperone, è riuscito a mettere in piedi una rosa che sulla carta avrebbe dovuto agilmente cavalcare in direzione quarto posto. E, forse, anche fare qualcosina di più. D'altra parte i valori messi in campo non erano minimamente paragonabili a quelli del 2016-2017, che pure avevano portato una SuperCoppa italiana ed il 6° posto. Facile e scontato per chiunque, quindi, prevedere che quella stessa squadra, con degli upgrade oggettivi, avrebbe avuto le caratteristiche, tecniche e mentali, per scalare almeno un paio di posizioni in classifica. Anche per il sottoscritto, ovviamente, che nella sua griglia di inizio stagione aveva collocato proprio all'ultimo posto valido per la Champions una rosa che nel suo "campetto" iniziale aveva Bonucci e non Paletta, Conti e non Abate, Rodriguez e non De Sciglio, Biglia e non Montolivo, Kessie e non Kucka, Calhanoglu e non Honda, Musacchio e non Gomez, Kalinic e non Bacca. Circa 250 milioni di investimento, più o meno equamente "spalmati" lungo i reparti nevralgici del campo. E, peraltro, senza perdere (anzi, blindando contrattualmente) neanche uno dei 4 migliori della rosa antecedente, ossia Donnarumma, Romagnoli, Suso e Bonaventura

[Montella prima]

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Rideva, anzi sorrideva, delle scelte fatte, anche Vincenzo Montella. A sua volta forte di un rinnovo, fresco fresco, fino al 2019, e con un ingaggio portato da 2.2 a 3 milioni di euro. Saldo come non mai alla guida di un gruppo che non vedeva l'ora di plasmare tatticamente. Partendo dall'amato 4-3-3, ma consapevole del fatto che, per le caratteristiche dei ragazzi a sua disposizione, avrebbe potuto anche giocare con un trequartista e due punte, col 3-5-2, col 4-2-3-1 e con qualsiasi altro modulo il suo estro calcistico gli avrebbe suggerito. Insomma, le condizioni ideali per fare bene. Tutte. 

Ciò che è successo da fine agosto a oggi si visualizza anche solo esclusivamente attraverso i numeri. Il Milan viaggia stancamente a metà classifica, in campionato ha convinto a pieno in una sola occasione (1-4 a Verona di qualche giorno fa), e per il resto s'è sempre stancamente appoggiato alla classe di Suso. Per il resto ha rimediato 5 sconfitte in 11 partite, ha un attacco sterile, ed in difesa fa acqua da tutte le partite. Il dato più inquietante, da questo punto di vista, riguarda i clean sheet concretizzati: solo 3, sinora, e contro squadre che si barcamenano in zona retrocessione (Genoa, Spal, Crotone). Davanti Kalinic è un riferimento piuttosto futile e isolato, André Silva viene sostanzialmente utilizzato solo in Europa League contro squadre di basso livello, e l'unico a fare la differenza, per mentalità e "fame", è un ragazzo di 19 anni di nome Cutrone. Che, peraltro, insieme al nuovo Borini reinventato da esterno a tutta fascia, rappresentano le due migliori cose fatte da Montella, in stagione, per questo Milan.

[Montella poi]

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L'alibi dell'infortunio di Conti vale, ma fino a un certo punto, proprio perché il tecnico è stato bravo a riciclare nella sua posizione una risorsa che, altrimenti, non sarebbe sostanzialmente servita. Ecco perché le colpe, oggi, inevitabilmente, ricadano su di lui. Ma non solo su di lui. Questo, sì, sarebbe ingiusto.

Perché se Bonucci e Biglia - i due uomini cardine, per esperienza, leadership e capacità di impostare gioco e azione - per il momento sono l'uno leader solo sui social network e l'altro solo dei passaggi in orizzontale, non può esser colpa solo di Montella. E se Calhanoglu - che avrebbe i mezzi per fare davvero la differenza - non s'è ancora ripreso dalla lunga squalifica, né s'è adattato ad un calcio non facile come quello italiano, le responsabilità evidentemente sono un po' anche del ragazzo. E se Kessie e Romagnoli non sono ancora diventati "grandi" è perché, forse, ancora non sono pronti per esserlo. E se Donnarumma, da quando ha rinnovato a cifre imponenti, ha perso la fame dei giorni in cui era quello che guadagnava meno di tutta la rosa, può darsi anche che quelle cifre non le meritasse (almeno per il momento). 

Ecco perché Montella potrebbe e dovrebbe pagare. Ma, come sempre, quando si esonera un allenatore, anche colpe non strettamente sue. Che, per inciso, ha almeno un paio di carichi pendenti da espiare. Anzitutto, il non avere ancora - a distanza di tre mesi - individuato né un modulo né un undici titolare su cui puntare. Il turn-over frenetico ed il cambio modulo in scioltezza sono risorse che solo le grandissime squadre possono permettersi, e dopo anni di rodaggio. Il Milan, invece, è passato dal 4-3-3 al 4-4-2, al 3-5-2 ed al 3-4-2-1 nel giro di una ventina di partite, senza peraltro mai presentarsi in campo con la stessa formazione titolare. Roba da manicomio, anche per i calciatori. Che certo non sono degli automi, o delle pedine da scambiare a piacimento come se si fosse in una modalità carriera di FIFA. Ed hanno bisogno di certezze e consapevolezza. L'unica, ad oggi, è invece che - al netto di infortuni e squalifiche - Biglia, Bonucci, Kessie e Kalinic giocano sempre, anche se male. Anche se confusi, affaticati, acciaccati. Condizioni, peraltro, verificatesi spesso. Troppo spesso.  

The Best FIFA Football Awards (getty) 

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Colpa del preparatore atletico? Parrebbe, visto che Marra è stato cacciato. Peraltro, nel momento in cui l'esonero di Montella sembrava più probabile. Un capro espiatorio, per molti, che è servito a dare all'aeroplanino altre settimane di "gentile concessione" della società, che però ora lo aspetta al varco. E per espressa convinzione di Mirabelli, che ha poco diplomaticamente spiegato che, in soldoni, si è tutti a tempo, soprattutto l'allenatore. Che ora ha dinanzi a sé due partite - AEK in Grecia e Sassuolo a Reggio Emilia - che senza una duplice vittoria gli costeranno il posto. Anche ieri sera, nell'immediato post gara, il Milan ha confermato la sua guida tecnica, ma stando alle ultime gli ha concesso altre due occasioni di confermare i progressi mostrati al Bentegodi. Anche perché, dopo la sosta, toccherà viaggiare alla volta del San Paolo, dove in queste condizioni il Milan rischia di prendere un'imbarcata pesante anche a livello mentale, che alle porte della fine del girone d'andata non può certo permettersi. 

La scossa, in questi casi, viene sempre dall'esonero e dal subentro di un nuovo allenatore. Per inciso, il fatto che sulla piazza non ce ne siano, di oggettivamente convincenti e benvoluti a piazza e dirigenza, è servito sinora per rimandare la scelta. Che, però, non potrà essere procrastinata all'infinito. Anche perché se Ancelotti non ha voglia di tornare, e Conte è ad oggi solo un sogno, per l'estate 2018, i vari Mazzarri e Sousa tutto sembrano, fuorché dei traghettatori.

Brutto termine, soprattutto quando - facendo un arduo giro di parole - lo si spiega ai diretti interessati. Perché nessuno, tra i succitati, accetterebbe un incarico a orologeria. E farebbe bene, viste le responsabilità. Servirà normalizzare, piuttosto: scegliere un modulo e portarlo avanti, dare dei compiti chiari e semplici, e farli rispettare. Cosa che probabilmente neanche Gattuso, che come allenatore deve ancora farsi a pieno, sarebbe in grado di fare. L'unico, su piazza, capace di semplificare, e senza particolari aspettative, sarebbe Guidolin, che però buona parte della tifoseria non accetterebbe. Eppure parliamo di un mister che ha dalla sua una carriera ventennale in Serie A, per buona parte portata avanti con moduli affini a questa rosa (3-5-1-1, 3-4-1-2 e 4-2-3-1) e che non a caso è già stato contattato da Udinese e Torino, che hanno bisogno della stessa cosa del Milan: rendere normale ciò che oggi sembra eccezionale. Anche e soprattutto per capire dove sia stato il peccato originale. Perché se anche il nuovo, possibile, allenatore, non riuscirà a trovare il bandolo della matassa, allora le responsabilità ricadranno inevitabilmente sulla dirigenza. Che pur avendo investito tanto, e bene, avrà compiuto molte scelte sbagliate, dando così ragione a tutti coloro che oggi ribadiscono, come un mantra, il ritornello in base al quale in estate sarebbe stato preferibile fare solo 3-4 innesti, di valore (e costo) assoluto, piuttosto che ricostruire ex novo la squadra con dieci acquisti di valore oggi ritenuto insufficiente. Solo a quel punto si saprà chi era Montella, e cos'era il suo Milan. Dove sbagliavano entrambi, e cosa serviva per rigenerarlo. 

Sempre a meno che chi subentri ci riesca. E stante ciò che si è visto in campo nell'ultimo mese e mezzo, non è assolutamente detto che ciò accada.