Fu così che il Napoli ritrovò il suo centravanti nella sua assenza. Chissà se un giorno questo Ciuccio sarà ricordato anche per questo. Una fase offensiva di grande rendimento senza un centravanti cosiddetto “puro”. Dopo il saluto di Higuain, a suo tempo Sarri ha potuto contare su quel Milik sfortunatissimo che prima del doppio infortunio riuscì in poche partite a far dimenticare il numero nove che appena pochi mesi prima aveva incantato la tifoseria partenopea con il record assoluto di segnature in serie A.

Sarri, che ha sempre apprezzato le qualità di Milik, non aveva perso tempo a ottimizzare le sue caratteristiche riscontrabili con numeri immediatamente di primissimo livello. Poi, l’infortunio. Poi, insieme alla contemporanea assenza di Albiol per due mesi, la necessità di rielaborare la fase offensiva scoprendo un Mertens capace di far registrare un rendimento altrettanto notevole in un ruolo, quello della punta centrale, per cui molti allenatori preferiscono impiegare il classico nove, ma che l’allenatore del Napoli, ai tempi di Higuain, aveva già impiegato con la bussola del rifinitore. Sin dalle prime uscite, infatti, il gioco di Sarri aveva mostrato la tendenza ad affidare alla punta centrale del 4-3-3 (inizialmente sperimentato, senza molto successo, nel 4-3-1-2, annullando di fatto questa possibilità pii rivelatasi di successo) non soltanto la funzione di terminale, ma pure di numero dieci, per dirla alla vecchia maniera.

L’assenza forzata di Milik, che aveva e che avrebbe ricoperto il suo ruolo sia come realizzatore che come punto di riferimento per la manovra offensiva (per caratteristiche, differenti dal suo predecessore, più incline a lavorare di sponda e a muoversi per creare equilibri tattici più vantaggiosi), ha fatto “nascere” il nuovo Mertens, formula evoluta e ancora più funzionale di quella Higuain, più incline a servire il centravanti. Una volta riorganizzato l’assetto tattico, il Napoli, dal dicembre del 2017, ha iniziato quel percorso da cui nasce il rendimento che, erroneamente, viene considerato “miracoloso”, ma che non deve affatto sorprendere, perché si origina da un andamento già registrato da prima della fine del girone di andata dello scorso campionato. Infatti, se il Napoli non avesse dovuto affrontare quei due mesi della suddetta rielaborazione, avrebbe realizzato un rendimento da competizione per il primo posto già nella scorsa stagione.

I 60 goal messi a segno in campionato fino a questo momento, equamente divisi in casa e in trasferta, dicono di uno sconto che alla voce Mertens fa 16 goal, e che, di conseguenza, divide altri 44 goal tra gli altri calciatori, per l’esattezza 12, tanti sono quelli che fino a questo momento sono andati a segno in serie A. Il Napoli, pur non essendo la prima squadra per numero di reti realizzate e per numero di calciatori mandati in goal (Juventus e Lazio fino a questo momento hanno fatto meglio), ha trovato, oltre che maggiore solidità difensiva, una diversa distribuzione delle segnature rispetto agli anni precedenti, quando soffriva alcuni “spicchi” di gara soprattutto per la fase offensiva.

Guardando i report della divisione di goal realizzati nei sei periodi di partita (nei frammenti di 15 minuti), si legge una forbice che va dal 13% (tra il 1’ e il 15’ minuto) al 20% (tra il 30’ e il 45’) di reti segnate. Gli altri spicchi, con due dal 18%, uno da 17% e un altro (quello dal 75’ al 90’) da 14% non registrano periodi di particolare sofferenza, dimostrando una capacità realizzativa estesa in tutti i 90 minuti di gara. Significativo è anche il fatto che il Napoli segni meno nel primo quarto d’ora, quando quasi sempre la squadra di Sarri deve affrontare il tentativo di feroce pressione degli avversari, costretti poi a calare atleticamente dopo i primi venti minuti in alcuni casi e nella ripresa in altri. Non a caso il Napoli ha subito quasi la metà dei goal (il 47%) nello spicchio tra il 1’ e il 15’.

Tornando all’apparente “assenza” del numero nove, il Napoli negli ultimi quindici mesi ha sviluppato evoluzioni di gioco che nella fase offensiva, grazie anche alle stesse caratteristiche di Mertens, alla maturazione di Insigne, il cui processo di crescita inizia dal primo anno di Benitez, e alla cura della posizione di Hamsik, presentano soluzioni sempre diverse, in alcuni casi anche nuove e imprevedibili. È migliorata, per esempio, la capacità offensiva su calcio d’angolo, così come è migliorata la vena realizzativa di Allan (già a 4 reti, quando il suo score personale non aveva mai superato le 2 segnature).

Inoltre, mentre prima il Napoli soffriva gli assetti difensivi avversari molto stretti e bassi, adesso riesce, grazie a un possesso palla e a un palleggio tra i più ammirati d’Europa, a eludere sistemi difensivi esasperati, facendo muovere le squadre avversarie spostandole sul terreno di gioco, grazie alla capacità di muovere tutti i dieci calciatori contemporaneamente. Le transizioni offensive e difensive sono state raffinate, consentendo soluzioni inizialmente meno adottate, come lanci in profondità, anche sulle stesse verticali. Nelle due gare casalinghe con Milan e Lazio, per esempio, questo tipo di giocata, consolidata anche in altre partite soprattutto tra i piedi di Jorginho e di Hamsik (abilmente effettuata anche da Diawara a Genova), ha consentito di sbloccare situazioni tattiche non del tutto agevoli.

Oltre alle qualità dei tre attaccanti, diventa fondamentale il lavoro dei centrocampisti, che, spesso con l’aiuto dei fluidificanti, costringono le mediane avversarie a seguirli in marcatura, lasciando all’uno contro uno la linea difensiva, in conseguente sofferenza a causa della rapidità di Callejon, Mertens e Insigne.

Inutile sottolineare che questo tipo di interpretazione può essere possibile soltanto se a metterlo in pratica ci siano calciatori dotati dal punto di vista tecnico. Compreso Reina, il Napoli nel suo undici da campionato non ne difetta. Un totale che nel calcio dimostra il significato della parola completezza. Anche in “assenza” di centravanti.