Chissà cosa sta pensando in questo momento Giampiero Ventura. Ormai le sue beghe con la Federazione sono risolte, d'altra parte, e lui potrà serenamente pensare a tutto il resto. Tra cui il calcio giocato, ovviamente da spettatore, visto che per qualche tempo difficilmente tornerà a respirare l'odore pungente ma piacevole dell'erbetta del rettangolo da gioco. Il conto in banca, intanto, è salvo: non essendosi dimesso nonostante la peggiore figura che l'Italia calcistica abbia mai fatto negli ultimi 60 anni, Tavecchio l'ha esonerato, motivo per cui l'ormai ex CT percepirà anche l'ultimo dei centesimi che il suo contratto prevedeva. Funziona così, d'altra parte, nel calcio (e non solo): facciamocene una ragione, d'altra parte non sono soldi nostri. Anzi, no.

Dicevamo, Ventura. E' passata quasi una settimana dal dramma nazional-collettivo di San Siro. Ormai dovremmo aver digerito e realizzato quanto di male ci è toccato ma che soprattutto ci toccherà.

O forse no?

Lui, Ventura, di sicuro. Chissà se in serata ha dato un occhio a quanto la Serie A ha ancora da offrire. E non è poco, per inciso. Perché il meglio del meglio che il calcio italiano possa offrire, in quanto a gioco, è sicuramente, ed indiscutibilmente, il Napoli. Sarebbe già questo un ottimo motivo per valutare in Maurizio Sarri, che a fine anno comunque vada lascerà la Campania, una prima, valida alternativa ad Ancelotti, che ha detto no a questo Presidente federale. Ovvero, Carlo Tavecchio, che nel frattempo si fa venire gli occhi lucidi in TV ma non si dimette, perché vuole restare ancorato al suo scranno sino a fine mandato, per la cronaca 2020. Ma anche di questo avremo modo e tempo di parlare. Perché la più bella e splendente creatura del tecnico toscano, candidata forte al suo primo scudetto post maradoniano, è stata paradossalmente la fonte di minor ispirazione durante l'incarico neanche biennale di Ventura. Che non ha mai impiegato il 4-3-3, e che contestualmente ha anche messo in freezer per il suo intero ciclo il regista migliore del campionato - Jorginho - insieme al miglior attaccante di sinistra - Insigne. L'italo-brasiliano è stato ripescato dal cilindro solo in zona Cesarini, nei suoi 90' finali di incarico. E solo, non dimentichiamolo, perché Verratti s'è fatto ingenuamente squalificare. Altrimenti avrebbe giocato lui, contro la Svezia, e Jorginho probabilmente alla fine avrebbe detto sì al Brasile. Il fato, quindi, ha scongiurato l'addio prematuro alla Nazionale di colui intorno al quale sarebbe cosa buona e giusta provare a rifondare, magari giocando sulla sua capacità di far girare la squadra. Cosa mostrata tanto a Verona, che contro gli svedesi, oltre che contro il Milan. E chissà cosa ha pensato l'ex CT, nel preciso istante in cui dai suoi piedi fatati è partito quel lancio al bacio per lo scatto sul filo del fuorigioco di Insigne. Già, Insigne. Reo, probabilmente, di non aver gradito l'essere utilizzato a centrocampo, per 13', all'andata, ed in panchina per la sua intera, ultima, partita da selezionatore. 

E allora chissà cosa ha pensato sempre il CT, una frazione di secondo dopo il lancio di Jorginho, quando proprio lui ha trafitto Donnarumma. Boh. Forse avrà pensato che Gabbiadini, insieme a Immobile o Belotti, era l'arma ideale per far male a Lindelöf e Granqvist. Non Insigne, che d'altra parte avrebbe impiegato da intermedio del centrocampo a 5, o peggio ancora da esterno sinistro del 4-2-4 che a posteriori s'è rivelato solo un modo innovativo di ridefinire i canoni e la terminologia del 4-4-2.

E chissà cosa avranno pensato loro, Jorginho e Insigne, gli unici due italiani della squadra che guida la classifica di Serie A, protagonisti decisivi dell'anticipo del San Paolo, e semplici gregari d'un gruppo senatoriale che, pur non avendoli storicamente con sé, aveva capito più del CT la necessità di fare riferimento a loro, per giovarne tutti. E, infine, chissà cosa pensa adesso quel gruppo, che s'è rituffato nelle fatiche e nelle ansie delle rispettive squadre di club, e che ha visto i loro due compagni messi in disparte in azzurro fare le gioie d'un altro popolo, sempre azzurro, che fa parte d'un popolo più ampio, che poi è lo stesso che a giugno e luglio del prossimo anno si sentirà solo e orfano della sua più bella ed aggregativa delle abitudini.

Rabbia e frustrazione, è la risposta a tutte queste domande che più retoriche non si può. Per gli italiani, per Jorginho, per Insigne, per gli altri azzurri. Rabbia e frustrazione, per chi scrive, forse anche per chi legge, e per chi verrà, chiedendosi come mai sia stato possibile per l'Italia non andare ad un Mondiale. Manca però ancora la risposta a cosa avrà pensato, e provato, l'ex CT, durante la visione di Napoli-Milan. Rabbia e frustrazione? Chissà. Orgoglio per la coerenza delle proprie scelte? Forse. Più probabilmente un misto di tutto questo, condito da una serie stuzzicante e velenosa di piccoli e grossi dubbi. Ipotizzando che in questi giorni il sonno suo sia agitato almeno quanto quello di Tavecchio, di certo è meglio così. Come diceva il Manzoni, d'altra parte, è sempre male minore l'agitarsi nel dubbio che il riposare nell'errore.