Si chiude quest’altra settimana di Inter, sette giorni che hanno fruttato sette punti, colti contro Juventus, Empoli e Bologna, un bel carico di buone sensazioni circa la lievitazione della squadra e qualche indicazione su quello che è il “metodo De Boer”.

Partiamo dal campo, dunque da Inter-Bologna: nerazzurri, privi di Joao Mario e Murillo, sulle cui assenze torneremo più avanti, che sbagliano l’approccio alla gara, contrariamente a quanto fatto vedere ad Empoli, con i felsinei che passano subito alla cassa, con Destro, su azione nata da una palla persa da Kondogbia. Poi le cose migliorano, anche per “induzione” dalla panchina, con Gnoukouri spedito in campo in fretta e furia, in luogo proprio dell’ex Monaco, già prima dello scoccare del 30’ di gioco. Il gioiello di Ivan Perisic, a fissare l’1-1, sul tramonto del primo tempo, che illude il Meazza di poter assistere alla rimonta, nella ripresa. Nulla di tutto ciò: Inter volenterosa, ma confusa, che non riesce a mettere sotto la squadra di Donadoni, pur creando qualche palla-gol interessante. Il debuttante Gabigol non ha inciso, ma sarebbe stato chiedergli troppo.

Per la quinta volta su sei gare di campionato, l’Inter si è ritrovata a dover rincorrere il risultato, dopo aver subìto lo svantaggio: non è un caso, quindi è un elemento su cui De Boer dovrà martellare il gruppo, perché recuperare un risultato non è mai facile, soprattutto se al tuo cospetto si presente una delle squadre più organizzate della nostra serie A, quale è il Bologna di Donadoni.

Altro aspetto che emerge in tutta la sua evidenza è che la rosa a disposizione di De Boer, pur essendo numericamente pletorica, risulta male assortita, tale è il divario fra quei sette-otto calciatori che possiamo definire “titolari” ed il resto della truppa. L’assenza di Joao Mario ha esplicitato il concetto che il portoghese è già insostituibile, con la sua intelligenza, il suo modo di interpretare diversi frangenti della gara e la sua qualità. De Boer sta concedendo fiducia a Miangue (interessante!) sugli esterni, e a Gnoukouri (piace e non poco!) in mezzo al campo, ma è evidente che vi sia uno squilibrio fra il livello di alcuni e gli standard di rendimento di altri. Per questo motivo, desta qualche perplessità la decisione presa dal tecnico olandese di rinunciare a Banega nel momento decisivo della gara, essendo la sua squadra già priva di Joao Mario. Non che l’argentino avesse fatto molto per non meritare la sostituzione, ma una “mente pensante” in campo è sempre preferibile averla, soprattutto se ti accingi, almeno nelle intenzioni, ad assaltare in maniera convulsa l’area di rigore degli avversari.

Il succo, purtroppo, è che dovranno giocare, più o meno, sempre gli stessi se si vuole proporre un certo tipo di calcio, se si pensa di aderire ad una filosofia che prevede il controllo della partita. Altrimenti l’Inter, questa Inter, diventa un’altra cosa. Molto più simile a quella che abbiamo visto l’anno scorso.

La squadra di De Boer, nel suo processo di miglioramento, ha fatto registrare un piccolo stop per quanto riguarda l’impostazione d’assalto che l’olandese ha dato l’impressione, confermata a più riprese dalle sue parole, di voler conferire all’Inter: è venuta a mancare l’intensità, oltre alla presunzione di poter imporre la propria interpretazione della gara rispetto all’avversario. Ha pesato, e non poco, l’assenza di Murillo, uno che qualche errore lo fa un po' troppo sepsso, ma che è sempre pronto a difendere in modo aggressivo, portandosi anche nella metacampo avversaria, in ossequio a quelle “marcature preventive” che De Boer cita come se fosse un mantra. Non che Ranocchia abbia demeritato, anzi – certo, quel gol mangiato pesa nella valutazione –ma il centrale ex Bari e Genoa ha altre qualità, di certo non l’aggressività, anche perché poi sarebbe penalizzato nelle lunghe rincorse che dovrebbe esibire per coprire tanti metri di campo.

Non può essere, ovviamente, solo un problema legato all’assenza di Murillo, ma il combinato disposto con la mancanza di Joao Mario, le tre gare in sette giorni ed un processo di adattamento al pensiero calcistico di De Boer che, giocoforza, necessita di tempo, spiegano l’1-1 contro il Bologna.
Non è assolutamente il caso di lasciarsi andare a toni d’allarme, né tantomeno di rimettere in discussione quanto di buono s’è visto nella settimana che ci lasciamo alle spalle.

Oltre al campo, De Boer sta imprimendo il proprio marchio anche nella gestione del gruppo: i casi Brozovic e Kondogbia sono esemplificativi dell’intransigenza del tecnico ex Ajax: la disciplina, innanzitutto, questo può essere il motto da affibbiare a De Boer, laddove per disciplina bisogna intendere anche il fornire risposte adeguate e tempestive alle sollecitazioni che il mister trasmette ai calciatori. Va inquadrato in quest'ottica il comportamento di De Boer nei confronti di Kondogbia, dapprima sostituito dopo 28’ di Inter-Bologna e poi rampognato davanti le telecamere nel post gara.

Kondogbia, ormai possiamo dirlo con ragionevole certezza, è un ragazzo sin troppo timido, introverso e che ha patito, più del dovuto, il passaggio ad una realtà nuova. È indubbio che non si sia ancora integrato e che non abbia compreso quello che è necessario mettere in campo per poter essere utile alla squadra.
Detto questo, la scelta del tecnico nerazzurro, orientata ad utilizzare solo il bastone e (quasi) mai la carota, con il francese ex Siviglia e Monaco, è un indirizzo che condividiamo, anche se non totalmente. Per essere chiari: va bene sostituire il ragazzo se in meno di mezzora di gioco sbaglia di tutto e di più, cosa effettivamente accaduta. Meno bene, ma è pur sempre una opinione di chi scrive, se ci si presenta davanti ai media a “massacrare” un proprio calciatore. Forse sarebbe stato più opportuno difenderlo, davanti ai microfoni, in modo tale da fargli sentire una certa vicinanza, una solidarietà, che è poi ciò che sta alla base del gruppo. Nulla avrebbe impedito a De Boer, alla ripresa degli allenamenti, di poter prendere da parte Kondogbia e spiegargli che se vuole giocare in questa squadra deve necessariamente cambiare passo, prima nel modo di porsi e di pensare, e poi in campo.

La “sveglia” suonata da De Boer è di quelle forti, pesanti: un “Nessun dorma” rivolto sì ai due diretti interessati, Brozovic e Kondogbia, ma si tratta di un “avviso ai naviganti” da estendersi a tutto il gruppo. Il tecnico olandese si sta dimostrando molto rigido, quasi inflessibile e, nel caso di Kondogbia, addirittura spietato, nella gestione di questi “casi” spinosi. Ciò viene fatto a tutela dell’intero gruppo, il quale sa bene che vi sono determinate regole, non solo comportamentali, come già detto, ma anche di applicazione “professionale” e che è necessario rimanere sempre all’interno del perimetro tracciato da queste regole, per poter stare nel branco.
Attenzione ad eventuali crisi di rigetto del gruppo nei confronti di De Boer: anche se questo, ad oggi, appare assai improbabile, proprio perché De Boer si è comportato così in nome di ciò che è più importante: proprio il gruppo.

Le “impressioni di settembre”, volendo scomodare la Premiata Forneria Marconi, sulla nuova Inter di De Boer, sono state alquanto ondivaghe: dal pessimismo cosmico scaturito dopo le prime partite, all’esaltazione più totale dopo la vittoria contro la Juve, fino alla gara di assestamento, contro il Bologna: si è capito che si potrà fare tanto, e bene. Ma è evidente anche che per fare bene è necessario che in campo ci siano sempre i migliori. Kondogbia e Brozovic potrebbero essere fra questi. Ma occhio, che De Boer ha già capovolto la clessidra: e la sabbia scorre giù molto velocemente.

Tramontate, stelle! Ma in fretta, che all'alba manca poco tempo!