Cinque anni dopo il passaggio della Groenlandia dal controllo della corona norvegese al protettorato danese, all’insaputa dei ghiacciai che ancora perdurano sotto il cielo più alto del mondo, John Keats, in una lettera a Georgia e a Georgiana, raccontava la storia della rosa esposta a un vento gelido e improvviso, “preda del mondo come la natura dell’uomo”.

In Groenlandia il calcio consiste in circa settanta squadre che si affrontano per tre mesi, approfittando del periodo meno freddo e interpretando una collinetta di pietra a mo’ di tribuna in stile nature. Boldklubben-67 e Nagdlunguaq-48 non sono i nomi di due navi spaziali impegnate in una guerra intergalattica fantascientifica, ma sono i club più titolati del campionato di calcio più isolato del pianeta. Isolato non soltanto dalla quota formale del futbol, ma da cause di forza maggiore che inibiscono la disponibilità dei fondamentali utili allo svolgimento più canonico del gioco del calcio.

Basterebbe immaginare quanto sia difficile far crescere l’erba in un luogo che per quasi dieci mesi all’anno viene ricoperto dalla neve e dal ghiaccio, e in cui, se tutto va bene, ogni tanto la temperatura raggiunge i 15 gradi, abbastanza per dare respiro al periodo idoneo a disputare i due gironi di massima categoria, dai quali escono le squadre che si sfidano per la fase finale.

Basterebbe una visita ufficiale dal papa per convincere le autorità del calcio mondiale ad ammettere la Groenlandia? Chissà cosa ne penserebbe Pio XIII, “The Young Pope”, sacerdote d’imprevedibilità costretto a ricevere il primo ministro dell’isola più grande del mondo, in grado di regalargli la sua avvenenza, il pesce pescato al largo della sua gelida terra e una canzone di Nada, ripescata da Paolo Sorrentino per sorprendere quasi quanto il suo “giovane papa”. Magari lui, il papa bello, potrebbe far ridiscutere alcuni parametri, peraltro non del tutto equi ed univoci, al conservatorismo del massimo organismo mondiale del soccer, così da dare una ragione in più ai groenlandesi per ballare, come, sembra, piaccia a loro.

Secondo la FIFA, tornando al calcio, possono essere ammesse e riconosciute soltanto le federazioni nazionali appartenenti a paesi autonomi a loro volta riconosciuti dall’ONU. La Groenlandia è ancora protettorato danese, come le isole Fær Øer, anch’esse volta costitutive del Regno di Danimarca (davanti ai poteri del Folketing, la camera del Rigsdag che amministra anche la Groenlandia), ma ammesse nei tornei internazionali della FIFA.

Intanto, mentre alcuni investitori locali stanno realizzando progetti per la realizzazione di campi in erbetta sintetica, la diplomazia sportiva lavora per l’affiliazione alla FIFA anche della Federazione groenlandese. La nazionale della Terra verde, come detta una delle due origini etimologiche del suo nome, non si è sottratta alle furibonde faccende politiche della storia del calcio, giocando, nel 2001, una partita con il Tibet, incontro che ha causato forti reazioni da parte del governo cinese, generando tensioni che, secondo le minacce di Pechino, avrebbero interrotto l’acquisto del pesce del governo cinese a vantaggio della Groenlandia, che fa della pesca la sua principale risorsa economica. La gara è stata comunque disputata, a Copenaghen, registrando la vittoria dei padroni di casa per 4-1. Intanto, la Groenlandia continua a vendere il pesce.

Il miglior piazzamento in campo internazionale i groenlandesi lo hanno ottenuto con il secondo posto agli “Island Games”, competizione che si disputa ogni due anni, dal 1989, e alla quale partecipano le nazionali di varie isole e di altri territori iscritti all’International Island Games Association. Le sconfitte storiche, invece, per i groenlandesi sono arrivate nel 2006, nella Fifi Wild Cup, dove la Groenlandia ha rimediato due sconfitte, contro Zanzibar e Cipro del Nord. Bermuda, Minorca, Isole Cayman, Rodi, Fær Øer, per citarne alcune, compongono un microcosmo di rappresentative calcistiche che rievoca antiche e nuove mitologie, di natura storica, letteraria, per un umanesimo del calcio che sopravvive ai mostri del futbol capitalistico. E pensare che negli anni ‘cinquanta la Coca Cola aveva sponsorizzato il primo campionato groenlandese. Ancora oggi, il campionato nazionale di calcio groenlandese si chiama Coca Cola GM.

Niklas Kreutzmann, calciatore simbolo della nazionale della Groenlandia, è tra i pochissimi ad essere riuscito ad approdare nel calcio europeo, sia pur accontentandosi di giocare terzino destro nell’Aarhus Fremad, squadra attualmente in seconda divisione danese. Il calciatore più celebre proveniente dalla Terra degli uomini, il significato dettato dall’altra origine etimologica del nome Groenlandia, è senza dubbio Jesper Grønkjær, nato a Nuuk, la capitale, nel 1977. Jesper Grønkjær ha giocato in grandi club europei come Chelsea, Atletico Madrid e Ajax, vincendo una Coppa d’Olanda, una Coppa di Danimarca e quattro campionati danesi con la maglia del Copenaghen.

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Fra il 2000 e il 2002, la Groenlandia ha potuto contare sulla guida tecnica di Sepp Piontek, ex giocatore del Werder Brema e della Germania Ovest, successivamente diventato un allenatore molto conosciuto che, dal 1979 al 1990, è stato alla guida di squadre come Werder Brema, la stessa nazionale danese e la Turchia. Non mancano, a quanto pare, scampoli onorevoli e concreti alla storia del calcio di un luogo per cui le sue vicende, per adesso, sembrano averle assegnato un’identità legata ad altre storie.

Eppure, il viaggio sportivo, il Voyages au Groenland, per dirla sempre in termini cinematografici, non si esaurisce soltanto con la collina-tribuna dello stadio-non-stadio di Nuuk, né con le curiose quanto particolarissime partite di golf che si disputano tra i ghiacciai groenlandesi, né con le esibizioni di automobili da corsa, ma proseguono nell’affrontare il rigore del ghiaccio e del gelo, nel silenzio che tiene ancora in disparte gli appassionati di queste colonie in pace con se stesse, preservandoli, allo stesso tempo, da tutto quello che non ha interesse a riconoscerle. 

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E allora, come del resto tocca pure a chi qui vi scrive, tanto vale la pena immaginarsela così, quest’isola vastissima, eppure apparentemente tanto ostile quanto serena, che quasi separa il ghiaccio gelido e celeste che la ricopre, dal buio che lassù va verso l’universo. Al calcio, del resto, non poteva mancare anche questo. L’unica colonizzazione che ancora può essere tollerata. E che avvenga in silenzio, senza clamori, vissuta da chi vuole viverla e sa goderne anche così, al freddo. Che le sue rose, nonostante tutto, resistano.